La convivenza con figli adolescenti ai tempi del Covid19.

La scuola è chiusa dal 23 febbraio… Un mese ormai.

La felicità che questo virus aveva regalato inizialmente ai nostri ragazzi, che potevano godere di giornate soleggiate senza compiti né lezioni per stare tutto il giorno al parco con gli amici, ha lasciato spazio all’irritazione, al nervosismo, alla frustrazione… Persino all’ansia e allo stress.

Gli adolescenti, abituati a vivere una sorta di vita parallela a quella della loro famiglia, si ritrovano chiusi in casa, a dover seguire ore di video-lezioni in aule virtuali che, chiamate così hanno un non so che di avveniristico, ma in pratica sono piccoli o grandi spazi della loro casa in cui non si sentono davvero liberi di essere se stessi come in classe, perché i compagni non ci sono e manca l’occhiata complice, il messaggio scritto di fretta sul diario aperto, le risate in diretta e le imitazioni dei prof.

Non solo.

Manca quella vicinanza fisica che per gli adolescenti è fondamentale.

Penso alle amiche che si confidano e poi si abbracciano; agli innamorati che si tengono per mano e si baciano teneramente; ai compagni di scuola a cui si tirano i “coppini” durante l’intervallo…

E’ solo un mese, ma a molti ragazzi sembra un’eternità.
E la cosa peggiore è che non c’è una “scadenza”… Sì, insomma, come quella sulle confezioni, che non può essere posticipata. Quella sì è una certezza.
Ma di certezze non ne hanno gli adulti, figuriamoci i ragazzi che vivono tutto amplificato.
Basta un messaggio su Whatsapp mal compreso che scoppia la tragedia!
E il rischio è alto in questo senso, perché è raro trovare chi padroneggia così bene la lingua italiana da scrivere in modo inequivocabile ciò che gli passa per la testa…

E ai ragazzi ne passano davvero tanti di pensieri!

C’è chi, avendo avuto insufficienze nel primo quadrimestre, teme di non poter più rimediare;
chi aveva già fissata la data della discussione di laurea e ora non sa più quando sarà;
chi aveva un elenco di esami programmati, che ora sono stati sospesi.
Una ragazza universitaria, in un momento di sfogo, mi dice: “Sì, ho molto più tempo, ma vivo nell’incertezza e non so più cosa fare!”.

Ecco il nocciolo: l’incertezza.

I ragazzi si fanno mille domande: la scuola riprenderà? Potrò rivedere i miei amici? Potrò riabbracciare il mio ragazzo/a? Potrò riprendere ad allenarmi? Potrò andare in vacanza?…

Le risposte però mancano e non serve chiedere agli adulti, perché l’incertezza è condivisa.
Forse è la prima volta che figli e genitori sono d’accordo su qualcosa: provano le stesse emozioni di paura, di speranza, e si sforzano di trovare un senso alle loro giornate sempre più ripetitive.

Tutti in famiglia sperimentano la convivenza “h.24” e non è tutto rose e fiori come nei film.
Sì, ci sono giornate buone e altre molto meno.
Secondo i ragazzi manca del tutto la privacy…
E non importa se hanno una camera tutta per sé…
Il “nemico” è in agguato! Il genitore ascolta.
Loro lo avvertono.
E su questo non hanno proprio torto.
Quante volte gli adulti – approfittando di questa “clausura” – origliano o sbirciano attraverso la porta? Magari quando i ragazzi stanno facendo la video-lezione, per spiare la prof. che spiega, o per vedere che cosa si raccontano con gli amici nelle video-chiamate…

Molti genitori relegati in casa non vedono l’ora di tornare al lavoro fuori casa, ma questo vale anche per i ragazzi. Uno di questi mi ha detto: “Era meglio andare a scuola che vivere così!”.

… perché gli adolescenti hanno bisogno di stare “nel mondo”, di confrontarsi con gli amici, di sperimentare, di avere un ruolo…
E quello di “figlio” e basta va loro un po’ stretto.

Ecco perché talvolta sono insofferenti.

E allora come possiamo aiutarli?
Come possiamo rendere la nostra e la loro vita di “reclusi” meno pesante?

Certamente accordandoci, che non significa imporre il nostro volere di genitori, ma sederci a un tavolo e ammettere che nessuno potrà più continuare a seguire le vecchie abitudini.

Bisogna coinvolgere i ragazzi: chiedere loro cosa ne pensano, invitarli a trovare soluzioni.

Stabilire insieme, seduti a tavolino, quali nuovi orari dovremo rispettare e quali aiuti dovremo portare alla famiglia. E’ un modo per crescere in modo responsabile.

In questo momento di totale incertezza, i ragazzi hanno bisogno di “certezze”, di punti fermi: la famiglia lo è, se non è soffocante.

E allora perché non partire dalla condivisione dei propri bisogni e desideri?
Esprimerne un paio a testa e chiedere al resto della famiglia di rispettarli?
Metterli persino per iscritto… in bella mostra!

Noi adulti non dobbiamo apparire per forza positivi e sereni se non lo siamo.
Certo, è il caso di evitare sempre di scaricare sui figli preoccupazioni, insoddisfazioni, tensioni.
Ma chi l’ha detto che i figli adolescenti non siano in grado di “capire” i nostri bisogni e le nostre difficoltà? Basta esprimerli nel modo giusto: niente lagne né continui lamenti.

Solo comprendendo i bisogni dell’altro saremo genitori e figli migliori.
Perciò… usiamo questo tempo per farlo.

Madre Teresa di Calcutta: “Messaggio per donne straordinarie”.

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi, i giorni si trasformano in anni….

Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.

Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea d’arrivo c’é una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’é un’altra delusione.

Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.

Non vivere di foto ingiallite.

Insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’é in te.

Fai in modo che al posto della compassione, ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.

Però… non trattenerti mai!!!

Impariamo a smascherare gli opportunisti.

Credo che a tutti sia capitato nel corso della vita di essere delusi da certe persone.
Avete presente quella sgradevole sensazione, quel senso di sofferenza che si prova quando ci si accorge che la persona che abbiamo frequentato – felici di farlo – è tutt’altro che sincera, leale, onesta e non prova per noi l’affetto che noi proviamo per lei?
Può trattarsi di un collega, un conoscente, ma anche di un amico e persino di un parente.

Dai, provate a pensarci: quante volte vi è capitato?

La domanda, però, è: ma sono state davvero loro a “cambiare” o siamo stati noi a non prestare attenzione ai campanelli d’allarme?

Mi racconta una donna: “Sa, credevo fossimo diventate amiche: si sfogava con me, mi chiedeva consigli e poi, tutto d’un tratto, ha smesso di frequentarmi. Ora in ufficio mi tratta come un’estranea e mi risponde in modo sbrigativo. Frequenta un’altra collega che ha sempre criticato. E dire che quando era appena arrivata, le ho dato tutte le dritte possibili!”.

Cosa è successo?

Semplice: ha aperto il suo cuore a un’opportunista e si è sentita stupida, ingenua per non essersene accorta.
Ma come può rendersi conto che la stanno usando se non è come loro, se è una persona “autentica” e buona?

Impresa ardua, ma non impossibile!

Ecco degli indizi:

  • L’opportunista è incapace di vera amicizia: fa solo ed esclusivamente il proprio interesse.
  • Si affianca a chi gli fa comodo in quel momento, ma una volta ottenuto ciò che vuole, cambia “amico”.
  • Ha le idee chiare su quello che vuole dagli altri e “chiede” sempre, ma non dà nulla senza un tornaconto.
  • Si prende gioco delle persone e le “usa”.

Facciamo qualche esempio di soggetti opportunisti:

  • quello che “scrocca” sempre il passaggio in macchina quando uscite in compagnia;
  • quella che vi chiede di “ritirarle” sempre il figlio da scuola, perché lei non può;
  • quello che si abbuffa al ristorante, tanto poi si divide;
  • quello che si fa aggiustare il pc o si fa aiutare ad usarlo (così risparmia i soldi del tecnico);
  • quella che vi invita fuori o vi telefona solo per sfogarsi (e poi non si fa più sentire per un bel po’);
  • quella che vi chiede di andare a correre o al cinema, perché non ha nessun altro in quel momento;
  • quella che si è appena trasferita nel vostro paese o nel vostro ufficio, non conosce nessuno, ma diventa “amica” vostra perché vede che avete buoni amici e un’ottima reputazione (e stare con voi le apre le porte).

Insomma, i motivi sono tantissimi e io spero di aver “aperto gli occhi” a chi di voi è buono e sensibile, affinché non cada nella trappola.

Perciò… se avete realizzato di avere accanto qualche opportunista… prendete le distanze!
Anzi, tagliatelo fuori dalla vostra vita!
Solo così eviterete tante sofferenze.

La lettera che ogni figlia vorrebbe ricevere.

Figlia mia,
ricordati sempre di essere te stessa.

Non cadere nell’errore di “voler piacere” a tutti i costi, perché è sciocco, inutile e finiresti poi col non piacere più a te stessa, cioè a colei che ti amerà sempre più di chiunque altro.

So che arriverà il momento in cui sentirai il bisogno di compiacermi, magari meritando sempre bei voti a scuola oppure vincendo una gara sportiva, oppure comportandoti sempre come una “brava bambina”.

A chiunque farebbe piacere avere una figlia così, ma non a me se ciò significasse saperti angosciata al pensiero di non riuscire a ottenere un bel voto.
Non voglio poi che dall’esito di una gara dipenda la tua autostima e non voglio che tu sia la bimba perfetta né quella “sempre più brava, più gentile e più educata” di tutti gli altri.

Sii sempre te stessa, anche se dovrai lottare con i denti per non farti travolgere da quello che desiderano gli altri per te.

Impara ad ascoltare il tuo cuore: senti come batte?

Quella sei tu : sono le tue emozioni, sono i tuoi desideri…
Sono quello che conta di più, se vuoi vivere felice.
… ascoltandoti, infatti, scoprirai che per te esistono cose davvero importanti  e altre assolutamente inutili.

Sai, sarò felice se ti vedrò studiare con la passione di chi vuole imparare cose nuove e non per uno sciocco voto dato da un’insegnante che magari non ha capito niente di te.

Perché sai che cosa conta davvero nella vita?

L’impegno, la costanza, l’energia e l’entusiasmo… che guidano le nostre azioni verso i nostri obiettivi.
Se riuscirai a credere in questo, ti sentirai sempre speciale e nessuno riuscirà a farti sentire debole, fragile, incapace di camminare da sola.

Non permettere a nessuno di dirti come sei!

Lungo il tuo cammino, vedrai, ti capiterà certamente di incappare in quelli che sputano sentenze e si permetteranno di venirti a dire che “sei tagliata per…, ma limitata in…”, che “sei un tipo lunatico oppure sempre allegro” , che “sei una frana in…”, che “si vede che non ti interessa questo o quest’altro”, che “hai bisogno di un uomo così e così”.

Lasciali tutti parlare, figlia mia.
E più ne incontrerai e più dovrai trovare un angolo di pace in cui rifugiarti per guardarti dentro e per poter gridare al mondo: “Io sono io!”.

Ascolta le mie parole…
Ricorda che ti starò sempre vicina e che ti amerò per sempre.

                                                                                                                            La tua Mamma

Il segreto per sentirci felici è usare al meglio le nostre potenzialità.

Sapete quante persone “inconsapevoli” delle proprie potenzialità ci sono?

Tantissime!
E ne ho la conferma tutte le volte che inizio un percorso di Coaching.

Chi è forte, ma dice di sentirsi fragile;
chi è coraggioso e si considera debole;
chi è integro, sincero, onesto e pensa di avere problemi di adattamento;
chi è creativo ed è convinto di non esserlo solo perché non lavora né come pubblicitario né come artista…

Conoscere le proprie potenzialità è fondamentale, ma bisogna essere guidati a farlo.

Conosco una donna adulta che quando ne è diventata consapevole ha pianto dall’emozione e dalla gioia: si era sempre dipinta come i familiari l’avevano descritta, senza potersi rendere conto che quella non era lei.

La mamma e il papà l’avevano sempre definita in un certo modo e lei aveva messo insieme le loro “definizioni” e se le era cucite addosso come etichette, convinta che le appartenessero…

Ma quella NON era lei!
Per niente!

E infatti, arrivata ad un certo punto della vita, quelle “definizioni” hanno cominciato a starle strette, perché la stavano schiacciando e lei faticava a sopportarle.

Di fatto, però, non sapeva chi era e si osservava come fosse un’estranea.
Si era “persa”… ed era entrata in un momento terribile, di vera crisi.

Ma quello aveva segnato l’inizio della sua ricerca e della sua rinascita.

Per vivere pienamente, infatti, ed essere soddisfatti dobbiamo conoscere chi siamo: scoprire le nostre potenzialità e usarle al meglio in tutto ciò che facciamo.

Allora, sì, potremo sentirci felici, perché non c’è nulla di più gratificante di essere in armonia con noi stessi, con i nostri bisogni e con i nostri desideri.

Non festeggiare San Valentino se…

San Valentino è la festa di “chi è innamorato”.
Per questo ho pensato di sintetizzare il pensiero di alcuni illustri studiosi che parlano di amore “vero”, in modo da chiarirci le idee e valutare se festeggiarlo o meno.

Ecco 15 VALIDI MOTIVI per “NON FESTEGGIARLO”:

1) Perché credi di essere innamorata, ma non lo sei.
Infatti, provi una forte attrazione e pensi continuamente al partner, ma dopo aver provato per un po’ queste emozioni, perdi di interesse per lui.

2) Perché quando ti chiedono se sei “innamorata” del partner, rispondi elencando tutte le sue straordinarie qualità, ma non ti viene in mente di dire che cosa provi TU per lui.

3) Perché del partner vedi SOLO le mille qualità e quando, improvvisamente, compaiono i difetti, ti senti ingannata, tradita.
In realtà hai fatto tutto da sola.

4) Perché, sebbene tu ti senta “sulle nuvole”, non hai un PROGETTO COMUNE che ti leghi a lui.

5) Perché, anche se è trascorso molto tempo e dici di stare bene con l’attuale partner, in realtà NON hai sotterrato il passato e continui a soffrire per il tuo ex.

6) Perché hai una paura folle del futuro (invece chi è innamorato veramente non ce l’ha).

7) Perché non riesci ad avere piena fiducia nel tuo partner, ad abbandonarti e affidarti a lui.

8) Perché non senti l’importanza di essere “vera”, autentica e trasparente con il tuo partner.

9) Perché tra te e il tuo partner NON c’è l’apprezzamento (reciproco) di essere unici, straordinari e insostituibili per l’altro.

10) Perché NON ti senti accettata per ciò che sei e quindi cerchi di diventare ciò che il partner vorrebbe.

11) Perché con il tuo partner ci sono sempre continui SCONTRI. Una sorta di vita senza felicità “vera”. Un semplice “tirare avanti”.

12) Perché stai ormai facendo la CONTABILITÁ del dare e avere: “Io ti ho dato e tu no”.

13) Perché non senti il desiderio di chiedere spesso al tuo partner “Che cosa pensi?”
(chi è innamorato, invece, vuole sapere dell’altro, della sua vita, dei suoi pensieri nascosti).

14) Perché quando il partner ha dei problemi NON ti senti coinvolta, perciò gli dici: “Ti amo, ma risolvi prima i tuoi problemi e poi torna da me” (se sei innamorata, invece, i problemi del partner diventano spontaneamente anche i tuoi, da risolvere insieme).

15) Perché dici di amare il tuo partner, ma non lo porti con te nella tua vita: lo tieni separato dal tuo lavoro, dai tuoi amici, dai tuoi progetti per il futuro.
Continui la tua vita, senza modificare nulla, conservando sempre i tuoi rapporti (dai quali il partner viene escluso), mentre lui deve stare alle tue regole, sempre in attesa.

Se ti ritrovi in molti di questi punti NON sei innamorata (oppure non lo è il tuo partner di te).
Perciò a che serve “festeggiare”?

“Mi sentivo vuota e senza stimoli: per questo sono felicissima del mio percorso di Coaching!”.

Conoscevo Laura solo di nome.
Di lei sapevo che era una prof di scuola media, perché ne avevo sempre sentito parlare benissimo da genitori che l’avevano avuta.
Poi un giorno ho scoperto che era anche una Life Coach!

Bene!, ma cos’è una Life Coach???
Ho poi capito che era tutto quello di cui avevo davvero bisogno

Stavo vivendo un periodo particolarmente duro: avevo dovuto affrontare un grave lutto e una gravidanza.
Qualcosa in me non andava più bene…

E’ difficile da spiegare, ma non ero più io… O meglio: non mi “sentivo” più io.

Mi sentivo vuota e senza stimoli: volevo uscirne, ma non sapevo come.

Così, anche se ci ho messo un po’, alla fine mi sono decisa a comporre il suo numero.
Già da quella chiacchierata al telefono, Laura ha subito capito la mia situazione e io, dopo tanto tempo, finalmente mi sono sentita capita!

Ricordo il primo incontro…
Ricordo benissimo il sorriso con cui mi ha accolta: un sorriso difficile da dimenticare.

Cosi è iniziato il mio percorso alla scoperta delle mie potenzialità e non solo.

Laura mi ha aiutata a capire quale obiettivo pormi per tornare a sentirmi me stessa e mi ha aiutata a costruire il “ponte” per raggiungere la mia meta.

Mi ha vista piangere e sorridere, ha gioito con me per ogni mio piccolo traguardo raggiunto, mi ha spronata e a volte anche bacchettata.

Non potrò mai smettere di ringraziarla per il lavoro fatto con me!

La mia vita ha una strada ancora lunga… ma se guardo indietro sono felicissima del cammino che ho fatto.

Anzi!, che “abbiamo” fatto. 😊

Alessia B.

Se vuoi figli felici, non metterli sotto una campana di vetro.

Ci sono aspetti dei figli che sfuggono anche ai genitori più attenti e che finiscono per preoccuparli.
Parliamo di ragazzi che ci appaiono ansiosi, inquieti, che sembrano non riuscire a sopportare le tristezze e i dolori della vita… Sì, insomma, ragazzi che talvolta definiamo “disorientati”.

Queste caratteristiche (se prive di cause oggettive) ci danno un’informazione preziosa, a cui magari non abbiamo mai pensato, ovvero che

i ragazzi abbiano un concetto di felicità legato solo ai “piaceri immediati”,

quelli del presente, di ciò che va consumato al momento, come il pomeriggio alla Spa, la serata in discoteca, la cena al “All you can it”, i week-end fatti per “staccare la spina” che regalano un benessere molto limitato.

Un piacere che dura il tempo del momento, ma che poi non li fa stare bene, ma li costringe ad una continua ricerca di felicità.

Ed ecco, allora, che anche il rientro dalle vacanze diventa un dramma.
E quando i genitori vedono i figli infelici, nonostante ciò che di bello hanno vissuto, iniziano a pensare che qualcosa in loro non vada.

Il sospetto viene poi confermato dalle affermazioni degli altri: “Eh, ma come mai non è felice? Con la vacanza che gli avete fatto fare…”.

E così i genitori attenti cominciano ad indagare: prima con semplici domande “Ma che cos’hai?”, “E’ successo qualcosa?” e, trovandosi di fronte un figlio/a infelice che non sa nemmeno spiegare il perché, temono il peggio e corrono ai ripari con visite, esami e poi cure.

Il risultato però non cambia: il figlio resta infelice.

E allora l’aggettivo che comincia a definirlo più spesso è “poverino”! Già, perché evidentemente le cure non funzionano e non è certo colpa sua se è così abbattuto e in ansia.
“Forse è depresso”…

Vedete, con questo atteggiamento però noi li facciamo sentire delle vittime e quindi togliamo loro qualsiasi responsabilità nell’affrontare ciò che crea loro disagio.

Sono giù di morale, tristi, infelici: tutte emozioni negative da cui vogliono fuggire.
Desiderano essere felici e stanno male se devono convivere con ciò che li mette a disagio.

Ma noi sappiamo bene che la Vita è piena di avversità più o meno pesanti da affrontare.

I ragazzi oggi cercano una vita priva di problemi e spesso i genitori fanno in modo di “regalargliela”.
Solo che questo stile educativo indebolisce i ragazzi, perché non li allena ad affrontare le avversità.

Se amiamo i nostri figli, dobbiamo lasciare che affrontino le difficoltà.
Solo così li aiuteremo a crescere, a far emergere le loro risorse.

Quindi, se vogliamo il bene dei nostri figli, non spianiamo loro la strada.

E sapete perché così facciamo loro un regalo prezioso?

  • Diamo loro la possibilità di migliorare la stima che hanno di sé, perché potranno scoprire le loro capacità nascoste.
  • Le avversità (come un lutto, un divorzio, un licenziamento, una malattia in famiglia) diventeranno un filtro nelle loro relazioni sociali. Pian piano impareranno a separare gli amici del sabato sera da quelli veri, a cui si affezioneranno ancora di più, visto che li avranno avuti vicini nel momento del bisogno.
  • Miglioreranno il senso della vita, perché – affrontando problemi anche seri – cambieranno le loro priorità.

Perciò… non sostituiamoci ai nostri figli, non mettiamoli sotto una campana di vetro: non trasformiamoli in esseri fragili e indifesi.

Troveranno la vera felicità solo quando saranno capaci di superare le difficoltà e non avranno paura di fare dei progetti e di realizzarli.

Vuoi farti notare? Usa meglio lo smartphone!

Oggi la gente ama farsi notare per come si veste, per ciò che possiede, per le persone che frequenta, per i followers che ha sui social.

Uno degli elementi che vengono meno considerati per farsi notare è l’educazione.

Parliamo pure in generale, ma fateci caso: è proprio così.
Eppure “essere educati” significa adottare comportamenti positivi, che rendono migliori noi, ma anche i nostri figli e quindi l’intera società.

Sono forse un’illusa? Non credo proprio.

Migliorare il mondo in cui viviamo è possibile: dipende da ciascuno di noi.

E allora perché non partire dall’uso dello smartphone?
Quell’oggetto che ormai è parte integrante di noi, quasi una sorta di appendice?

Vediamo cosa possiamo fare concretamente per dimostrare agli altri che “essere educati” fa bene a tutti:

  • Quando siamo in mezzo agli altri, evitiamo di “urlare” al cellulare. Basta usare un tono di voce che non disturbi e che non obblighi gli altri ad ascoltare i fatti nostri.
  • Quando siamo in pubblico, non mettiamoci a discutere, litigare, raccontare fatti privati facendo nomi e cognomi. Le persone hanno già i propri problemi e non è il caso che si sorbiscano anche i nostri.
  • A tavola non teniamo il cellulare sul tavolo (vicino al tovagliolo). Il pasto è il momento di guardarsi in faccia e di scambiare qualche parola, perciò niente tablet né cellulari.

Sì, vabbè Coach, ma come facciamo a farlo rispettare ai figli?

Vi suggerisco un modo semplice ed efficace: puntate un timer da cucina su quanto tempo prevedete che durerà il pranzo o la cena e, finché non suonerà, il cellulare resterà in un’altra stanza o in una cesta apposita. 😉

  • Al ristorante o a casa di amici, mettiamo in vibrazione il cellulare ed evitiamo di far “suonare” le notifiche: in questo modo dedicheremo tutta la nostra attenzione agli amici, che lo apprezzeranno.
  • Nei luoghi culturali (teatro, cinema, mostre e musei), ma anche nelle chiese o nelle aule universitarie e scolastiche, mettiamo la modalità “silenzioso” e teniamola per tutto il tempo necessario. Sarà per noi un vero stacco dalla quotidianità e dimostreremo rispetto per chi lavora o visita questi luoghi.
  • Usiamo il vivavoce solo se siamo da soli, magari in macchina. Anche per ovvie questioni di privacy.
  • In linea generale, a proposito di lavoro, a meno che la professione della persona a cui telefoniamo non preveda la reperibilità h.24, cerchiamo di chiamare tra le 9 e le 18 e non al di fuori. E se proprio non possiamo farne a meno, chiediamole: “Può parlare in questo momento?” e aggiungere “Oppure vuole che la richiami?”.
  • Con amici, familiari e parenti, invece, vale sempre la buona norma di non telefonare durante i pasti (ad esempio h.12.00-13.45 e h.19.30-21), ma nemmeno dopo le h.22, perché potrebbero allarmarsi.

Se ci pensate sono piccoli accorgimenti che però fanno la differenza.
A noi non costano nulla, ma ci fanno guadagnare in “immagine” oltre che in sostanza.

Che ne dite?

Abbandonate i soliti propositi per l’Anno Nuovo e date vita a veri obiettivi.

L’anno nuovo porta sempre con sé dei buoni propositi che solitamente sono legati ad alcuni desideri che teniamo nel cassetto da tanto tempo.

Magari sono anni che vorremmo rientrare in quei bei blu-jeans o iscriverci a un corso di inglese o ancora andare in palestra o addirittura sistemare il nostro curriculum per cercare un nuovo posto di lavoro.

Che si tratti di sport, di studio, di qualsiasi altra cosa… l’importante è trasformare il nostro desiderio in un vero obiettivo.

Sembra una cosa semplice, ma non lo è. Quantomeno non è così immediata come crediamo, perché dobbiamo metterci a tavolino e pensare, oltre che scrivere.

E dobbiamo farlo da soli, perché la prima regola per raggiungere il nostro obiettivo è far sì che dipenda esclusivamente da noi.

Sì, vabbè, Laura ma non c’è niente che dipenda solo da me! Quindi che faccio?!

In realtà ci sono obiettivi che possiamo portare a termine da soli.

Pensate alla dieta, ad esempio. Tocca a noi informarci da quale dietologo/nutrizionista farci seguire. Dipende da noi seguire poi la dieta e resistere alle tentazioni.
Pensate allo sport: siamo noi a decidere, in base ai nostri impegni, quanto tempo dedicare all’allenamento, in quali giorni farlo e in quali fasce orarie.
Lo stesso per lo studio, dove siamo noi a stabilire “quante pagine” studiare al giorno, per quanti giorni, in quali giorni e per quante ore.

Perciò, come vedete, sono parecchi gli obiettivi sotto il nostro totale controllo.
Quindi scegliete il vostro!

E ora andiamo a definirlo meglio, perché soltanto così lo porteremo a termine con grande soddisfazione.

Siete pronti?

Ecco le domande a cui dovete rispondere (per iscritto):

  • Avete espresso il vostro obiettivo in modo preciso e dettagliato? (es. Voglio dimagrire 3 kg in tre mesi).
  • Vi sembra realistico?
  • Siete in grado di farlo?
  • E’ una sfida che vi motiva o che vi mette ansia?
  • E’ davvero un vostro obiettivo o “arriva” dall’esterno? (dal partner, dal genitore, ecc)
  • Riuscite a “immaginarvi” mentre spuntate il vostro obiettivo? E come vi sentite?
  • Avete stabilito in quanto tempo raggiungerlo?
  • E’ sotto il vostro totale controllo?

Ecco, se avete risposto per iscritto a queste domande, avete sotto agli occhi la verità, ovvero se l’obiettivo che avete scelto fa davvero per voi, se vi interessa veramente e se vi sentite motivati a spuntarlo.

Troppe volte, infatti, gli obiettivi che ci poniamo sono frutto di influenze esterne: dimagrire per piacere di più al partner, andare in palestra per perdere peso, studiare perché lo vogliono i genitori…

Perciò ricordate: se l’obiettivo non “viene da voi”… non lo raggiungerete mai. Garantito!