Chi è nato negli anni ’60 quasi certamente avrà avuto genitori piuttosto autoritari che non lo iperproteggevano né accontentavano in tutto. Le regole erano ben chiare e venivano fatte rispettare in modo rigido e intransigente.
I genitori raramente chiedevano scusa per i loro sbagli e i figli, finché vivevano in casa dei genitori, dovevano adeguarsi. Regole, educazione e ordini stavano alla base della crescita dei figli.
Oggi pensare a questo tipo di educazione fa un po’ rabbrividire (sebbene tutti i figli di allora siano sopravvissuti).
Tuttavia, come ben notiamo, il modello educativo che ha sostituito quello degli attuali nonni non è certo migliore né ha prodotto risultati migliori.
Siamo passati dall’autoritarismo al totale permissivismo e mi trovo d’accordo con Daniele Novara, pedagogista, nel sottolineare che la causa è la mancanza di un progetto educativo chiaro e condiviso.
La maggior parte dei genitori di oggi NON ha idea di quali regole dare né di come fare a farle rispettare.
Manca una vera e propria organizzazione e si guidano i figli sull’onda delle emozioni.
Mi viene in mente una conoscente che è solita urlare alla figlia adolescente frasi umilianti per poi – un’ora dopo – cercarla e abbracciarla come se nulla fosse accaduto.
Niente di più deleterio!
Per crescere sani, passatemi il termine, ci vogliono regole chiare e soprattutto condivise da entrambi i genitori.
Se la madre dice al figlio di rimettere a posto i giochi e il papà commenta: “Ma non fa niente! Che importa!” vanifica tutti gli sforzi della moglie e ottiene che la moglie si infurierà e il figlio si farà l’idea che “papà è buono e mamma cattiva”, senza capire che mettere in ordine i giochi crea una positiva routine.
Oggi abbiamo genitori che “fanno gli amici”, si mettono sullo stesso piano dei figli, li coinvolgono in argomenti riservati agli adulti e li trattano come dei piccoli principi, permettendo loro di “comandare”.
Questo genera nei figli una grande confusione di ruoli. Chi è il genitore? Chi deve stabilire le regole?
Una 28enne, che ho seguito con il Coaching, mi ha confessato che da adolescente invidiava le amiche a cui i genitori imponevano orari di rientro a casa la sera, perché “si capiva che ci tenevano”. A lei non erano mai stati dati “perché a loro non importava nulla di me” diceva.
Quindi SERVONO REGOLE.
La spontaneità e l’improvvisazione in campo educativo vanno bandite, perché bisogna riflettere sulle regole da dare e farle rispettare in modo coerente.
LA REGOLA NON E’ SINONIMO DI COMANDO.
Come precisa Novara, il comando è: “Stai seduto!”, mentre la regola educativa è: “A tavola si mangia seduti” .
“La regola deve essere qualcosa di impersonale e oggettivo. Occorre evitare i comandi e stabilire regole oggettive: come si mangia a tavola; l’orario in cui si va a dormire; il tempo per fare i compiti; l’ora di rientro alla sera”.
Ovviamente, nel DECIDERE QUALI REGOLE DARE AI PROPRI FIGLI è importante essere d’accordo col partner e chiedersi – come suggerisce Novara – se e in che modo una regola è UTILE ALLA CRESCITA dei propri figli.
Dietro a tutto ci deve sempre essere un intento pedagogico.
E COSA C’ENTRANO LE URLA?
C’entrano, perché di fronte a un figlio disubbidiente, i genitori permissivi vanno in crisi e non sanno più cosa fare, perciò… URLANO!
E il figlio non capisce.
Non serve fare lunghi discorsi, ma è utile essere chiari nella spiegazione e trovare soluzioni semplici, come fargli preparare la cartella la sera prima se ci si è accorti che il proprio figlio dimentica spesso a casa astuccio o quaderni.
In tutto questo, IL RUOLO DEI PAPA’ è FONDAMENTALE.
Siamo onesti: oggi i papà si defilano spesso, demandano alle mamme o diventano “mamme tenere” a loro volta.
Così i bambini hanno due madri – figure protettive – e nessun papà.
Ma il ruolo del padre è diverso. Deve esserlo.
E’ lui a dover trasmettere quella giusta spinta a “fare esperienza”, a misurarsi con ciò che non si conosce, a trovare il coraggio di affrontare le difficoltà.
Novara infatti spiega: “Il padre che consente al figlio di fare da solo mette le basi perché il figlio, una volta cresciuto, se la sappia cavare nella vita”.
E’ il papà quindi a dover affiancare il figlio per fargli “sentire” che ce la farà.
E questo, insieme all’accudimento della madre, farà crescere il “cucciolo” sicuro di sé e delle proprie capacità… senza il ricorso a urla e strilli.