Volete aiutare un figlio in crisi? Affidatevi ad un bravo professionista.

In questo periodo sto prestando particolare attenzione alle frasi che ascolto a proposito di “chiedere aiuto a professionisti” che lavorano in ambito psicologico, educativo e formativo, come psicologi, pedagogisti, Life e Teen Coach, Counselor.

Vi riporto alcune affermazioni che ho ascoltato di recente:
“Questi ragazzi! Altro che andare dallo psicologo! Mandali a lavorare! E poi vedi che gli passa tutto!” (un commercialista);
“Sono una brava madre e mio figlio non ha niente che non va… E’ solo che la scuola non gli piace!” (la madre di un adolescente);
“Se mia figlia è in crisi, la aiuto io ad uscirne! Le parlo, le sto vicina e tutto si supera!” (la madre di una quattordicenne).

Forse un fondo di verità c’è in tutte queste esclamazioni, ma… siamo proprio così sicuri di saper intervenire bene su tutto?

Io parto sempre da un principio di umiltà: se il problema che mi trovo di fronte non rientra nelle mie competenze professionali, mi affido agli addetti ai lavori.

Non mi sento “incapace” se non riesco a trovare le soluzioni a tutti i problemi che possono affliggere i miei familiari in alcuni momenti dalla vita…
Certo!, vorrei avere la bacchetta magica per vederli sempre felici, ma non è possibile e quindi mi affido a “chi ha studiato per risolvere quel problema”.

Non so come mai ci sia ancora tutta questa reticenza nel chiedere aiuto a figure che si occupano di “farci stare bene” a livello psicologico.

E come mai siamo subito pronti a consigliare e passare il nominativo e l’indirizzo di un bravo ginecologo (?!), mentre tacciamo quello di un Life Coach, di uno psicologo, di un pedagogista.

Dov’è il problema?

Io credo risieda nella nostra paura di essere etichettati e di apparire fragili, inadeguati, diversi.
Oppure nel desiderio di tenere “segreta” quella marcia in più conquistata grazie al sostegno di quel tipo di professionista.

Curioso, vero?
Mi viene in mente anche un altro esempio: se mio figlio ha un pessimo rendimento scolastico, non mi faccio problemi a dire che lo mando a ripetizioni da più professori. Anzi!, agli occhi degli altri sento di essere un genitore attento e presente, che ha a cuore il futuro del figlio.
Ma se mio figlio dovesse andare da un teen coach per apprendere tecniche e strategie utili alla sua vita (e quindi anche alla scuola)… beh, questo è meglio non farlo sapere.

E perché mai?

Come ho detto chiaramente durante l’intervista fatta a Radio Lombardia (e visibile nel mio sito), i genitori “illuminati” – come li chiamo io – sono quelli che capiscono subito di non avere gli strumenti per aiutare un figlio ad uscire da un periodo di crisi ed è per questo che si rivolgono ad un professionista. Amano così tanto il figlio da non voler perdere tempo. Mettono da parte l’orgoglio e usano l’intelligenza.

Eh, sì, perché quando un figlio studia, si impegna, ma durante le verifiche va in crisi e non capisce più niente… si risolve ben poco con la comprensione, i discorsi incoraggianti e gli abbracci consolatori (anche se fanno sempre piacere!).

Perciò non sentitevi a disagio nel riconoscere che avete bisogno di un appoggio: anche vostro figlio ne ha bisogno.
Cercate il professionista più adatto a risolvere il problema di vostro figlio e ricordate: nessun professionista potrà mai sostituirsi a voi genitori.
Semmai vi affiancherà e vi chiederà collaborazione perché vostro figlio possa tornare ad essere sereno e a guardare al futuro con fiducia e motivazione.

Ragazzi, giocate con le parole e il vostro lessico si arricchirà!

Questa settimana la sfida è legata al “linguaggio”.

Come ben sapete, avere un lessico ricco, conoscere il significato di molte parole e saperle usare al momento giusto porta parecchi vantaggi sia a scuola che nella vita.

A scuola ci permette di “guadagnare” buoni voti.
Pensate ai temi, dove saper usare sinonimi permette di ribadire concetti senza farli sembrare ripetizioni.
Oppure nelle interrogazioni, dove è possibile esprimersi senza giri di parole.

E nella vita?
Beh, chi non viene intimorito o colpito nell’ascoltare persone che si esprimono con parole inusuali?
Ci sono persino professioni che hanno nel linguaggio la loro forza.
Pensate ai politici, ad esempio, che usano “paroloni” (che la maggior parte della gente non capisce).

Insomma, spendere tempo per imparare sempre più parole ci fa guadagnare punti, perché ci permette di comunicare meglio con tutte le persone, sia quelle istruite sia quelle meno.

E se le parole non ci vengono in mente? Se sono il nostro punto debole?

Alcuni ragazzi a scuola pensano di essere poco intelligenti, perché sono “scarsi” quando devono esprimersi.
Tranquilli!
Questo tipo di intelligenza (eh, già, ne abbiamo tante di intelligenze!) si può allenare.

Sì, vabbè, adesso ci dirai che dobbiamo leggere!

Niente affatto!

Vi propongo invece un gioco che faccio spesso con i miei studenti.
Potete provarci anche voi, in famiglia o con gli amici. E magari trasformare il gioco in una “sfida”.

Il gioco per sviluppare la fluidità verbale dura UN MINUTO (perciò calcolate il tempo con un timer).

Il responsabile del “tempo” vi chiederà di scrivere sul vostro foglio tutte le parole che vi vengono in mente e che iniziano con una lettera dell’alfabeto che lui deciderà.

Vi faccio un esempio: Parole che iniziano con la “S”!

Al termine del minuto, farà il calcolo di quante parole corrette avete scritto.
Non valgono i nomi e cognomi di persone né i nomi di città.
Escludete anche i diminutivi (es. casa, casetta).

Poi passate ad un’altra lettera e così via.

Vedrete, sarà divertente!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato il 23/10/2018 su La Provincia di Como (pagina dei ragazzi).

Arriva un bebé e la coppia “scoppia”. Ecco come evitarlo!

Da fidanzati, tutto meraviglioso, perciò decidete di rafforzare il legame con il matrimonio o la convivenza.
E anche lì procede tutto bene, perciò… perché non pensare ad un figlio che consolidi il profondo legame già esistente?
Un “cucciolo” da amare e crescere insieme, felici come nelle fiabe del “e vissero per sempre felici e contenti”.

Peccato però che, dopo la nascita di un figlio, molte coppie… scoppino!

E come mai?
Quali sono i problemi che sorgono nella coppia?
E come fare a superarli?

Conoscerli può aiutare a prevenirli (se un figlio non c’è ancora) oppure ad identificarli e a risolverli (sempre che nella coppia ci sia dialogo e disponibilità all’ascolto).

Vediamo come:

1) Il carico dei lavori domestici.

Magari prima di diventare mamma la casa non era il tuo primo pensiero e rimandare le pulizie non era una tragedia. Ma ora che c’è il tuo bebè, la casa deve essere pulita e in ordine: i lavori domestici non si possono rimandare.
Il problema è che ti ritrovi “sola”: lui va al lavoro e tu resti a casa, ma fai tutt’altro che riposare.
E quando arriva la sera e lui rientra, tu sei distrutta e a lui sembra impossibile: avresti bisogno che lui facesse la sua parte, ma se non glielo chiedi “lui non ci arriva”. In fondo, tu sei quella che resta a casa! E così iniziano i malumori, i battibecchi.

Meglio intervenire subito e accordarti con il tuo partner su “chi fa cosa”, ovvero chi pulirà i fornelli la sera, chi il bagno, chi farà la spesa ecc.
Meglio definire anche i tempi, cioè stabilire insieme “quando” andranno fatte queste cose, in modo da non ritrovarti a dover sempre chiedere o ricordare.

2) Differenze negli stili educativi.

Magari prima che nascesse vostro figlio sembravate d’accordo su come crescerlo ed educarlo, ma ora che è lì davanti a voi, ecco sorgere le incomprensioni su tutto: l’ora della nanna, gli alimenti da introdurre pian piano, i comportamenti da considerare giusti o meno.
Di solito i neogenitori tendono a riprodurre il modello con cui sono stati cresciuti e non è detto che sia lo stesso. Perciò nascono i primi contrasti e le prime discussioni.
Ricordiamoci sempre, però, che trovare uno stile educativo da condividere è fondamentale per la crescita di un figlio.

Meglio quindi confrontarsi e adottare una linea comune.
Potreste anche valutare di affidarvi ad un esperto (ostetrica, pedagogista, family coach, ecc.) che vi guidi nei primi mesi e vi permetta di sentirvi più tranquilli, eliminando tutti i vostri dubbi.

3) Mancanza di sonno e di sesso.

Quando si diventa genitori, il sonno è un lusso! E questo purtroppo porta stanchezza, nervosismo e tensione sia nella coppia sia nei confronti del bimbo.
In più, il tempo per il sesso scarseggia.
Accade anche che la donna possa sentirsi stanca e poco attraente o che tema che il sesso sia doloroso. Capita anche che la neomamma si concentri completamente sul figlio e questo faccia sentire escluso e solo il partner.

Perciò, perché non parlarne? Perché non confessare apertamente i propri timori o le proprie difficoltà? Insieme potete trovare tutte le soluzioni!

4) Meno tempo per la coppia.

Se prima vi piaceva andare al cinema e a cena fuori insieme, ora che siete genitori non potete più farlo, a meno che non lasciate il bebè a nonni o babysitter.
Questo significa che i vostri stili di vita cambiano radicalmente: aumentano le uscite a tre (con vostro figlio) e si riducono o scompaiono quelle a due, di coppia.Fate però in modo di non trascurare del tutto questo tempo, perché altrimenti create una distanza fra voi.

Ogni tanto concedetevi una serata fuori, facendo ciò che amavate fare insieme.
Questo vi farà sentire di nuovo “coppia”.
Programmatela in anticipo, in modo da organizzare il tutto per bene e fare in modo che niente impedisca o rovini la vostra uscita.

5) Problemi finanziari.

Anche se lavorate entrambi e avete due stipendi, avere un figlio comporta delle spese che prima non c’erano, come le visite dal pediatra, i pannolini, i vestiti, ecc.
Questo può procurare preoccupazione e quindi tensione nella coppia.

L’ideale è stendere un piano delle spese, che comprenda ciò che è necessario, ma anche quello che può regalarvi serenità (es. un corso di yoga o di arrampicata che vi permetta di scaricarvi e di sentirvi appagati).
Valutate quindi a tavolino le spese che potete “tagliare” (abbonamenti, cene fuori, cellulari ultimo modello, ecc.) e di tanto in tanto fatevi un regalo.

Dodici passi per accrescere l’autostima dei figli.

Sapete qual è una tra le maggiori preoccupazioni dei genitori?
La scarsa autostima del proprio figlio.

Vediamo quindi qualche consiglio, prendendo spunto dalle affermazioni di Kenneth Barish, uno psicologo infantile che sostiene che lodare i figli per i loro successi li aiuti ad accrescere l’autostima.

1. Diciamo loro che siamo orgogliosi di ciò che fanno per “gli altri”.
E “gli altri” sono anche la mamma e il papà. Perciò è bene che rimettano a posto la loro camera, i loro giochi, apparecchino e sparecchino. A ciascuno il suo compito: la famiglia è una squadra!

2. Esprimiamo la nostra felicità per i piccoli-grandi successi che raggiungono.
Questo sarà il trampolino di lancio verso nuove sfide da cogliere senza timore.

3. Aiutiamoli a gestire e a manifestare le emozioni.
E’ importante che imparino a non fare un dramma di fronte a certe delusioni.
I problemi si possono risolvere.

4. Teniamoli lontani dai nostri momenti di rabbia e frustrazione.
Quando siamo nervosi o stressati, cerchiamo di isolarci e di “sbollire”.
Ricordiamoci che i nostri figli non sono responsabili del nostro malessere.

5. Non critichiamoli, ma incoraggiamoli.
Dire: “Ma io non lo critico: cerco solo di spronarlo” è una bugia.
Incoraggiarli significa far sentire loro che ce la possono fare ed è ben diverso che criticarli.

6. Insegniamo loro l’importanza di rispettare i bisogni e i sentimenti degli altri.

7. Ascoltiamo la loro versione della storia, quando “combinano” qualcosa.
E’ importante far capire che li ascoltiamo, anche se poi facciamo notare loro che cosa stanno sbagliando.

8. Alleniamoli ad aver pazienza.
Se stiamo parlando con qualcuno, se stiamo telefonando, cucinando, ecc. facciamo loro capire che non devono interromperci, ma attendere il loro turno.

9. Rendiamoli responsabili.
Affidiamo loro dei piccoli compiti di responsabilità (per esempio apparecchiare, o accudire e insegnare ai più piccoli). Questo permetterà loro di diventare degli adulti più premurosi e attenti alle esigenze degli altri.

10. Diciamo “no”, ma con calma e senza aggressività.

11. Facciamo capire ai bambini di aver infranto le regole.

12. Non iniziamo le frasi con “se non”.
Capita di voler ottenere qualcosa da loro e iniziare la nostra frase con “Se non…”. Ma sbagliamo!

Cari genitori, se vostro figlio è maleducato, la colpa è solo vostra!

Oggi parliamo di “parolacce” e dell’uso smisurato e non necessario che ne facciamo, salvo poi rimproverare i ragazzi che le dicono e bollarli come “maleducati”.
E’ stato scritto parecchio sull’uso “terapeutico” della parolaccia e non starò certo qui a ripeterlo. Che la parolaccia, se usata al momento opportuno, è liberatoria… l’abbiamo sperimentato un po’ tutti.

Tuttavia oggi siamo di fronte ad un abuso di queste parole volgari: il noto Sgarbi ci ha fatto i soldi, insultando gli altri a parolacce.

E che dire delle espressioni “colorite” utilizzate in casa da molti genitori, rivolte ai figli o usate come intercalare?
Un tale “allenamento” ad usarle, da diventare inconsapevoli del loro utilizzo e… farsele scappare anche durante colloqui scolastici con i professori… come fosse la normalità.
Sempre più spesso sento genitori esprimersi con parole o espressioni volgari.
Gli stessi genitori che poi vedo stupiti, scioccati, quando vengono convocati per tutte le parolacce che il figlio utilizza in ambiente scolastico.

La parolaccia non è il demonio, ma usarla quando non è necessaria, porta certamente ad un degrado.

Il bimbetto di cinque anni che dice “Pu**ana” alla mamma, col sorrisetto sulle labbra, NON è divertente e non fa ridere!
La ragazzetta undicenne che risponde a una compagna “Che c***o vuoi?!” non è in preda ad un attacco di ribellione adolescenziale!
Il ragazzo che, ridendo, risponde al padre: “Non mi rompere i co****ni” , non ha capito qual è la “gerarchia” (anche se è una parola che non mi piace).

Stiamo sottovalutando il problema. Lo stiamo addirittura banalizzando.
Ma immagino quanti leggeranno e muoveranno un sorrisetto di compatimento, pensando “che esagerazione!”.

Eppure basta ascoltare le lamentele dei genitori per rendersi conto che usare e permettere l’uso delle parolacce in casa porta pian piano ad una mancanza di rispetto.
Se tollero che mio figlio mi risponda (o commenti quanto gli dico) con parolacce, mi sono giocato il suo rispetto.
Certo che – se il primo ad usarle “simpaticamente” nei suoi confronti sono io – non posso pretendere che lui si rivolga a me senza usarle, perché i ragazzi fanno presto a dire: “Eh, ma lo fai tu! Perciò lo faccio anch’io!”. E come dar loro torto?!

Cari genitori, non possiamo pretendere un linguaggio rispettoso se non lo usiamo noi adulti per primi.

Sento spesso dire: “E’ colpa della società”.
Signori, ma la società siamo noi! Ciascuno di noi!
E se ciascuno facesse la sua parte, si sforzasse di essere più educato, più rispettoso… i ragazzi – automaticamente – farebbero lo stesso.

Non è mai troppo tardi, anche se i figli sono ormai grandicelli. Basta essere onesti con loro e ammettere di aver sbagliato per primi nell’aver usato le parolacce e chiedere a tutta la famiglia di impegnarsi a non dirle più. Non sarà una passeggiata, certo.

Ma si può sempre cambiare e migliorare.

Se invece preferite non fare questa fatica, se pensate che il rispetto sia slegato dall’utilizzo delle parolacce… fate pure.
Continuate così.
A me – non so perché – viene in mente solo il titolo di un articolo che ho letto e che recitava così: “Cari genitori, se i vostri figli sono maleducati, la colpa è solo vostra!”.

Cari genitori, voglio un modello a cui ispirarmi!

Di che cosa hanno bisogno i ragazzi?
Che cosa cercano gli adolescenti?
Per capire che cosa conta davvero per loro bisogna ascoltarli, osservarli, cercare di capirli.
Insomma, stare con loro.

Sapete cosa ho imparato in tanti anni al loro fianco?

Che i ragazzi di tutte le generazioni cercano un MODELLO al quale ISPIRARSI, ma non un modello qualsiasi.
Una persona con esperienza, che sappia consigliarli, senza mettersi sul piedistallo; una persona coerente, che non abbia paura di lottare per ciò che è giusto e di battersi contro le ingiustizie.
Un adulto che non imponga le sue regole in modo autoritario, ma li coinvolga nelle decisioni da prendere.

Diventa un modello chi si dimostra onesto, leale.
Chi riesce a farli sentire amati e importanti per ciò che sono, non per i voti che ottengono o per i capi firmati che indossano.

Gli adolescenti, anche i più “duri”, apprezzano un adulto capace di essere se stesso, “vero”, senza maschere né inganni.
Uno che, al momento opportuno, sappia dire senza esitazioni: “Ti chiedo scusa, perchè ho sbagliato”, senza per questo sentirsi vulnerabile.

I ragazzi prendono a modello chi sa trasmettere entusiasmo, forza e che dimostra di credere in loro.

A questo punto tocca a noi adulti scegliere: vogliamo essere un modello o no?
Io sono convinta che ne valga la pena.

Istruzioni per… essere un buon genitore!

Una delle domande più frequenti che si pongono i genitori in attesa è “sarò capace di essere un buon genitore?”.
L’istinto purtroppo non basta.
Perciò è meglio informarsi e magari seguire alcuni suggerimenti, in modo da placare ansie, dubbi e preoccupazioni. Purtroppo i figli non arrivano col manuale delle istruzioni!

Perciò… che tu sia prossimo a diventare genitore o che tu abbia già figli – piccoli o addirittura adolescenti – ecco alcuni buoni consigli!

1) Diventa un buon modello!
Non finirò mai di dirlo: i figli, di qualsiasi età, imparano da noi, imitandoci.
Perciò, insegnagli a distinguere ciò che è bene da ciò che è male; sii amorevole, empatico, positivo e porta loro il rispetto che vuoi per te.

2) Prenditi cura di te!
Significa che se sei troppo stanco, stressato, assonnato non puoi prenderti correttamente cura di un bambino.
Perciò, fai in modo di mangiare sano, bere liquidi e riposare.
E se riesci, per un’ora alla settimana cerca di dedicarti ad uno sport o ad una attività che ti piace: fai in modo di svolgerla fuori casa e senza tuo figlio, in modo da “staccare la spina”.

3) Sii organizzato!
Un genitore organizzato trasmette sicurezza e i bambini placano le loro ansie, se sanno com’è organizzata la giornata.
Perciò stabilisci degli orari fissi per cenare, andare a letto e definisci anche il tempo del gioco (che sia fuori casa o davanti ad un pc o sullo smartphone).
Tuo figlio deve conoscere questi orari e ciò che lo aspetta di giorno in giorno (come la visita dal dentista, lo sport, ecc.).
Assegna a tuo figlio un piccolo “dovere” (come rifarsi il letto o apparecchiare), perché tutti in famiglia ne hanno. In questo modo lo preparerai anche alla vita fuori casa.

4) Dai amore e abbracci!
Tuo figlio ha bisogno di sentire che lo ami tutti i giorni, perciò fagli sapere che è importante per te.
Mostragli il tuo amore, anche con un abbraccio: lo aiuterà ad accrescere la sua autostima e ad imparare ad amare gli altri.

5)Ascolta e comunica!
Sii un buon ascoltatore, in modo che tuo figlio sappia di poterti parlare sempre di qualsiasi cosa.
Se saprai ascoltare, è probabile che anche tuo figlio svilupperà questa qualità.
Se è già adolescente, affronta argomenti delicati come la droga, l’abuso di alcool, la guida spericolata, in modo che diventi consapevole delle conseguenze.
Parlagli dei veri amici e insegnagli a distinguerli dai falsi amici.
E quando comunichi con lui, usa un tono pacato, non urlare!
Altrimenti tuo figlio si chiuderà e non ascolterà più nulla di ciò che gli dirai.

5) Scegli le battaglie da combattere!
Non impuntarti su qualsiasi cosa: controlla che tuo figlio non faccia del male a sé o agli altri (in questo caso intervieni in modo fermo), ma se sbaglia qualcosa senza rendersene conto, non punirlo, ma dialoga con lui.

6) Sii positivo!
I figli amano essere lodati dai propri genitori, ma tu fallo senza esagerare, cioè quando ve n’è motivo.
Dimostragli di essere soddisfatto di lui, ma se desideri spronarlo a fare meglio, non dirgli: “Sono contento che tu abbia vinto la partita, MA potresti schiacciare meglio quella palla!”.
Prova invece così: “Sono contento per la vittoria! Ti va se il prossimo sabato lavoriamo sulle tue schiacciate?”.
Questo incoraggia tuo figlio ad avere una migliore immagine di sé, piuttosto che deprimerlo.

7) Metti dei limiti!
Stabilisci dei limiti per i tuoi figli e falli rispettare.
Loro proveranno a scavalcarli per avere più libertà.
Talvolta i bambini fanno fatica a capire che i limiti sono imposti per il loro bene, perciò parlagliene: cerca di farti capire, usa degli esempi concreti.

8) Lascia che prenda coscienza dei suoi errori!
Se tuo figlio commette un errore, aiutalo a pensare a come affrontarlo.
Così favorirai la sua capacità di problem solving e lo aiuterai a diventare più responsabile.

9) Lascia che sia indipendente!
Magari per te è difficile restare a guardare, mentre tuo figlio di tre anni insiste per vestirsi da solo con abbinamenti orribili o stravaganti.  Ma lasciaglielo fare (entro limiti ragionevoli)!
Se lui imparerà a fare da solo, tu sarai un po’ meno stressato!

10) Organizza delle uscite con la tua famiglia!
Ci sono tante cose da vedere e da vivere: musei, gite in mezzo alla natura per imparare a identificare le piante, gli alberi e i fiori, uscite al parco, in bicicletta, a cercare funghi o castagne, a giocare con la neve…
In questo modo trascorrerai del tempo con tuo figlio e contemporaneamente gli insegnerai qualcosa.

11) Leggi per lui!
Se hai un bimbo piccolo, finire la tua giornata leggendo qualcosa a tuo figlio, gli dimostra quanto tieni a lui e al tempo trascorso insieme. E’ un momento molto intimo, che ti connette a tuo figlio e gli trasmette inoltre il desiderio, un domani, di leggere.

Ora sai in quanti modi puoi diventare un genitore speciale…
Forza! Non ti resta che provare!

La lettera che tuo figlio adolescente non può scriverti!

Ho ritrovato questa bellissima lettera del 2015, scritta da Gretchen Schmelzer, psicologa e blogger statunitense, e ho pensato di condividerne la traduzione.

Caro Genitore,
questa è la lettera che vorrei poterti scrivere.

Di questa lotta in cui siamo, ora, ne ho bisogno. Io ho bisogno di questa lotta.
Non te lo posso dire perché non ho le parole per farlo e in ogni caso non avrebbe senso quello che direi. Ma, sappi, che ho bisogno di questa lotta. Ne ho bisogno disperatamente.

Ora ho bisogno di odiarti e ho bisogno che tu sopravviva a questo odio.
Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiarti e al tuo odiare me.
Ho bisogno di questo conflitto anche se, nello stesso momento, pure io lo detesto.
Non importa nemmeno su cosa stiamo a litigare: sull’ora di rientro a casa, sui compiti, i panni sporchi, sulla mia stanza incasinata, sull’uscire, sul restare a casa, sull’andare via di casa, vivere in famiglia, fidanzato, fidanzata, sul non avere amici, o sull’avere cattivi amici. Non ha importanza.

Ho bisogno di litigare con te su queste cose e ho bisogno che tu lo faccia con me.

Ho disperatamente bisogno che tu mantenga l’altro capo della corda. Che lo mantenga forte mentre io strattono l’altro capo dalla mia parte, mentre cerco di trovare appigli e punti d’appoggio per vivere dentro a questo mondo nuovo in cui mi sento.
Prima sapevo chi ero io, chi eri tu, chi eravamo noi. Ma ora, non lo so più.
In questo momento sono alla ricerca dei miei confini e a volte riesco a trovarli solo quando tiro questa fune con te. Quando spingo tutto quello che conoscevo al suo limite.
In quel momento io sento di esistere e per un minuto riesco a respirare.
E lo so che ti manca quel dolcissimo bambino che ero.
Lo so, perché quel bambino manca anche a me e a volte questa nostalgia è quello che rende tutto così doloroso in questo momento.

Io ho bisogno di questa lotta e ho bisogno di vedere che i miei sentimenti, non importa quanto tremendi o esagerati siano, non distruggeranno né me e né te.
Ho bisogno che tu mi ami anche quando sono il peggiore, anche quando può sembrare che io non ti ami.
In questo momento ho bisogno che tu ami te stesso e me, che tu ci ami entrambi.
Lo so che fa schifo essere antipatici e avere l’etichetta di “cattivo ragazzo”.
Anche io provo la stessa cosa dentro, ma ho bisogno che tu la tolleri, e che ti faccia aiutare da altri adulti a farlo. Perché io non posso farlo in questo momento.
Se vuoi stare insieme ai tuoi amici adulti e fare un “gruppo di auto-mutuo-aiuto-per-sopravvivere-al-tuo-adolescente”, fa’ pure. O parlare di me alle mie spalle, non mi importa.
Solo ti chiedo di non rinunciare a me, di non rinunciare a questo conflitto. Io ne ho bisogno.

Questa battaglia con te mi insegnerà che la mia ombra non è più grande della mia luce.
Questo conflitto mi insegnerà che i sentimenti negativi non significano la fine di una relazione.
Questo è il conflitto che mi insegnerà come ascoltare me stesso, anche quando questo potrebbe deludere gli altri.

E questa battaglia particolare, finirà.
Come ogni tempesta, sarà spazzata via. E io dimenticherò, e tu dimenticherai.
E poi tornerà di nuovo. E allora io avrò bisogno che tu regga la corda ancora. Avrò bisogno di questo ancora per anni.

Lo so che non c’è nulla di intrinsecamente soddisfacente in questa situazione per te.
Lo so che probabilmente non ti ringrazierò mai per questo, o neanche te lo riconoscerò.
Anzi probabilmente ti criticherò per tutto questo duro lavoro. Sembrerà che tu non faccia niente, che non sia mai abbastanza per me.
Eppure, mi affido interamente alla tua capacità di restare in questa battaglia.
Non importa quanto io polemizzi, non importa quanto io mi lamenti. Non importa quanto io mi chiuda in silenzio.

Per favore, resta dall’altro capo della fune. Sappi che stai facendo il lavoro più importante che qualcuno possa mai fare per me in questo momento.

Con amore, il tuo teenager.

© 2015 Gretchen L Schmelzer PhD

Qui il testo originale: The letter your teenager can’t write you

Quando i figli rifiutano il dialogo, cosa fare?

Prima erano dei bimbi adorabili, vi raccontavano e vi domandavano di tutto e per voi erano facilmente gestibili. Poi la trasformazione: tra gli 11 e i 17 anni cambia tutto e voi non li riconoscete più. Sbattono le porte, rispondono con un’alzata di spalle e a tavola stanno in silenzio. Poi si attaccano al telefono e parlano con tutti tranne che con voi.

MA CON CHI CE L’HANNO?

Siete voi genitori quelli da cui devono distaccarsi per “crescere” e diventare autonomi.
Perciò cercheranno di farvi sentire in colpa per il tempo che non potete dedicare loro e perché lavorate troppo.
Cercate di non perdere autorevolezza e non lasciate che i vostri figli diventino dei tiranni.

PERCHE’ PARLANO SOLO CON GLI ALTRI?

In casa stanno in silenzio e spesso si chiudono nella loro stanza: evitano di rispondere alle vostre domande, non vogliono parlare di sé. Con gli altri, invece, sono chiacchieroni, allegri e vivaci.
Ovvio che voi li sentiate sempre più distanti da voi, ma non significa che loro non vi amino.
Sentono il bisogno di crescere e per questo spostano la loro attenzione verso il “mondo esterno”, perché non vogliono essere risucchiati da voi e dal mondo che ormai sta loro stretto.

COSA FARE?
Sicuramente rispettare i loro silenzi e non forzarli a parlare.
Piuttosto siate voi genitori a parlare con loro, raccontando la vostra giornata o coinvolgendoli nelle decisioni che riguardano tutta la famiglia.

PARLA CON ME SOLO QUANDO VUOLE QUALCOSA.

Provate a domandarvi: “Ma io come comunico con lui?”.
Vi renderete conto che le vostre domande sono generalmente legate a fatti: “Hai fatto i compiti?”, “Hai messo in ordine la tua stanza?”, “Con chi esci?”.
Manca la “comunicazione interiore”, cioè quella delicata, sensibile.
“Ho notato che sei un po’ triste: va tutto bene con la tua ragazza?”, “Senti, ma quali sono le materie che ti piacciono di più a scuola?”.
In questo caso le domande non danno l’idea dell’interrogatorio e i figli capiscono che “ci siete” e sarete lì sempre per loro, anche se in quel momento non sono pronti a darvi una risposta.
Perciò, non state ad origliare le loro telefonate o a curiosare sul loro diario segreto…

Semmai, fate i conti con le vostre paure. Di che cosa avete davvero paura?

Siate sinceri con vostro figlio e ditegli la verità in modo semplice: “Ho paura quando esci, se non so con chi sei e che cosa farai”.
Se poi non ricevete risposta e vi ritrovate faccia a faccia col muso lungo di vostro figlio, be’, non iniziate una guerra verbale con lui. Tanto è inutile.
Senza rendersene conto, scarica su di voi la sua rabbia, che è l’unico modo per staccarsi da voi.

COME INTERVENIRE?

Siate distaccati, non fatevi coinvolgere.
Non perdete autorevolezza, ma evitate lo scontro.
Spiegategli che, se è arrabbiato per qualcosa che non c’entra con voi, vi dispiace, ma le delusioni e i dispiaceri sono una cosa normale nella vita. Si superano. Per questo è ingiusto che se la prenda con voi.

E SE SI CHIUDE IN CAMERA SUA?

I figli ne hanno bisogno: quando sono tristi, arrabbiati o hanno voglia di tranquillità.
Cercano uno spazio privato in cui sentirsi liberi.
Stanno sul letto e fissano il soffitto: in questo modo ritrovano se stessi, pensano, imparano a stare senza il gruppo, fanno pace con se stessi e tornano in forze per affrontare la Vita.

UNA BUONA OPPORTUNITA’: UN MENTORE.

Se proprio non riuscite a dialogare con vostro figlio, ma vi accorgete che lui ha stabilito un buon rapporto con uno zio o con un Teen Coach o con un insegnante di cui si fida, fatevi da parte e lasciate spazio a questo mediatore del quale avete fiducia.
Può essere una soluzione vincente, perché l’importante è che vostro figlio si confronti e parli con un adulto che sia capace di guidarlo.

Una “dritta” per comunicare bene coi figli.

Sapete quanti ragazzi mi dicono di parlare poco coi genitori per evitare di sentirsi dire: “Tu sei…”?

Già, perché di fronte ad un comportamento che non piace, viene spontaneo a un genitore dire: “Ecco, SEI un egoista!” o menefreghista o insensibile o quello che volete.
Niente di peggio se si vuole comunicare davvero coi ragazzi.
L’effetto è che si chiudano a riccio, perché si sentono etichettati negativamente in una fase della vita in cui stanno cercando di capire chi sono.

“Eh, sì!, allora cosa dobbiamo fare?! Dirgli solo cose carine? Magari false?!?”.

No di certo.

E’ importante far capire ai figli dove sbagliano, ma senza trasformare l’insegnamento in un giudizio sulla persona, altrimenti ne risentirà la loro autostima oltre che il rapporto con voi.
Al posto di dire “Sei un egoista!”, dite: “In quella situazione ti sei comportato in maniera egoista!”.

Già sento i possibili commenti: “Beh, non è la stessa cosa?”.
No.
Fate una prova: ditelo a voi stessi. Sentirete la differenza!

La cosa importante è precisare sempre “in quale momento o situazione” si è comportato in modo scorretto. Deve capire che lui non è “così”, ma quella volta si è comportato come tale e non va bene.
Nella frase “ In quella situazione ti sei comportato in maniera egoista!”, infatti, c’è spazio per rimediare: è capitato quella volta lì, ma puoi fare meglio.
Se invece diciamo che “lui è così” … perché mai dovrebbe cambiare? In fondo l’abbiamo già catalogato.

Altre parole da censurare sono gli avverbi “sempre e mai”.

Siamo onesti: a voi non dà fastidio quando qualcuno vi dice “Tu fai SEMPRE così!” oppure “Tu non sei MAI puntuale!” o “Sei SEMPRE nervosa (o stanca o silenziosa…)”, “Non mi ascolti MAI!”?
Io lo trovo fastidiosissimo e anche i ragazzi sono sensibili a questi “avverbi”.
Se, ad esempio, chiedete a vostro figlio di apparecchiare la tavola e lui se ne dimentica per ben due volte, è sbagliato dire che non lo fa MAI, perché non è vero. Con la vostra osservazione è come se gli mandaste un invito a non farlo del tutto.

Perciò, se volete ottenere dei risultati, sforzatevi di dire: “OGGI non hai apparecchiato” oppure “Sono due volte che ti dimentichi di apparecchiare”.

L’importante, però, è essere coerenti e, una volta deciso di cambiare modalità di comunicazione, farlo “sempre”. Altrimenti perderete di credibilità e riconquistarla diventerà un’impresa.