I figli non nascono razzisti: lo diventano. Ecco come evitarlo!

Sapete quanti ragazzini dicono “Io non sono razzista”, ma poi preferiscono non stare in banco con un compagno di colore? Quanti evitano di trascorrere l’intervallo con il compagno indiano e quanti non lo inviterebbero mai a casa loro per fare i compiti o giocare insieme?
Tantissimi! Direi la maggior parte.

Secondo voi qual è la motivazione?

Gli esseri umani non nascono razzisti, perciò dobbiamo davvero riflettere.

Se si tengono alla larga da chi non è “uguale” a loro… dobbiamo davvero farci delle domande.

Ascolto spesso da parte di genitori la frase: “Ah, ma io e mio marito non siamo mica razzisti! Non capisco come mai mio figlio non voglia stare in banco con il tal dei tali!” (che guarda caso è straniero).
Poi, durante momenti di dibattito in classe,

il ragazzino esce con frasi del tipo: “Ci rubano il lavoro”, “Sì, ce ne sono anche di buoni, ma la maggior parte sono delinquenti”, “Vengono qui e pretendono tutto”.

Lo so, sono le solite frasi fatte, ma… da qualche parte le avranno pur ascoltate.

Credo che oggi più che mai si debbano educare i figli a saper distinguere il bene dal male, il vero dal falso, l’onesto dal disonesto, il giusto dall’ingiusto, l’apparenza dalla verità.

Quando parlo ai ragazzi, amo sottolineare che

“veniamo tutti dallo stesso stampo: quello umano”

e li guido a immaginare che è come se qualcuno prendesse uno stampo (tipo la “formina per giocare con la sabbia”) e riproducesse tante figure per poi abbellirle, dipingendole di colori diversi, curando i dettagli in modo da avere “stampi originalissimi” (con colori di occhi e capelli diversi).

La diversità può davvero essere una ricchezza, perché accogliere senza paura chi è diverso da te è un modo per allenarsi ad avere una mente aperta, libera da pregiudizi e catene.

In un documentario legato all’Intercultura mi ha colpita una frase molto bella:

“Siamo tutti ospiti su questa Terra”

ed è profondamente vero.
Non possediamo la Terra: oggi viviamo in un posto e domani potrebbe capitare di vivere in un altro. E ai ragazzi d’oggi è possibile che succeda.
Dunque, cresciamoli “aperti” al mondo, facendo loro capire cosa c’è di buono.

E come possiamo fare?

  • Prendiamoci un lungo momento di riflessione con noi stessi, per analizzare ciò che finora abbiamo detto davanti ai figli: commenti, giudizi che sono “scappati fuori” di fronte a certe notizie dei TG.
  • Scegliamo (coinvolgendo anche il partner) che cosa dire davanti ai figli e che cosa censurare, perché frutto di uno sfogo, di una reazione a caldo, di una arrabbiatura.
  • Avviciniamo i figli a nuove culture, magari partendo con l’assaggiare sapori diversi (non solo quelli “di moda” come il sushi).
  • Cerchiamo letture che raccontino le storie vere di bambini che hanno rischiato la vita per salvarsela (ce ne sono tantissime). Leggiamo queste storie ad alta voce, insieme a loro e al resto della famiglia, commentando e riflettendo.
  • Guardiamo film che parlino di paesi lontani e di culture diverse. Film di storie vere a lieto fine, dove i giovani protagonisti superano ostacoli inimmaginabili per noi pur di poter studiare, di ricongiungersi alla loro famiglia, di vivere in un paese senza la guerra.

Iniziamo così: in modo semplice e a costo zero.
E in futuro, se le nostre finanze lo permetteranno, potremo anche fare un viaggio all’estero autogestito o mandare nostro figlio a fare un’esperienza formativa all’estero, anche se solo per una o due settimane. Qualcosa che lo avvicini a chi è diverso da lui.
Perciò… niente resort di lusso o college esclusivi…
Ma questo… chi vuole conoscere veramente il mondo, lo sa già.

Se vuoi bene a tuo figlio, non giustificarlo sempre.

Un ragazzo di vent’anni mi confida di aver assunto cocaina per “allontanarsi dai suoi problemi”:
il padre lo giustifica perché “è solo, non ha fratelli e io e sua madre abbiamo appena divorziato”.
Un adolescente rischia di perdere l’anno scolastico a causa delle assenze accumulate: i genitori si lamentano, ma lo giustificano, dicendo che “non si sentiva mai pronto all’interrogazione o alle verifiche”.
Un undicenne al parco alza le mani su un ragazzino che l’ha pesantemente insultato. Entrambe le madri giustificano i figli, l’una dicendo che è stata una reazione naturale, visto che è stato provocato, e l’altra minimizza la pesante offesa lanciata dal proprio figlio, perché “stava scherzando”.
Ad un corso di formazione, una donna si lamenta perché i due figli adulti non se ne vogliono andare di casa e se ne stanno a bighellonare tutto il giorno, ma quando la trainer le indica cosa fare per tagliare il cordone ombelicale, lei risponde: “Be’, ma come posso fare così… Come fanno a mantenersi? Non possono mica lavorare otto ore al giorno per guadagnare una miseria!”.

Di esempi del genere potrei farvene a centinaia…

Ma il succo di tutto è che molti ragazzi vengono sempre giustificati dai genitori e magari pure dai nonni e da certi insegnanti o allenatori.

Viene quindi spontaneo domandarsi:
“Ma giustificare sempre e comunque i figli, va bene?”.

Certamente no!

Anzi, è pure pericoloso per la loro crescita, perché non capiranno mai che cos’è un limite né impareranno che esistono dei confini. E che dire della morale e delle regole?

I figli hanno bisogno di avere dei “paletti” entro i quali muoversi serenamente.

Devono conoscere le conseguenze delle loro azioni e spetta agli adulti metterli di fronte a ciò.

Chi giustifica sempre un figlio… non gli vuole bene!

Sceglie il quieto vivere, ovvero una posizione di comodo, che regala un’apparente serenità in famiglia, ma non fa crescere nessuno.

I genitori hanno il dovere di responsabilizzare i figli e questo è possibile se spiegano loro che cosa fare e che cosa no.

Non si tratta di colpevolizzare i figli per come “sono”, ma per ciò che hanno fatto di sbagliato.

Non bisogna quindi dire: “Tu sei un disastro”, ma “Tu ti sei comportato male, per questo e quest’altro motivo”.
Diventa quindi necessario spiegare ai figli in che cosa hanno sbagliato e dimostrare loro che è possibile rimediare, ma soltanto dopo aver compreso i propri errori.

Sono i genitori al timone e tocca a loro definire i limiti.

Non possono farlo i figli, perché non sono adulti e hanno bisogno di essere guidati con mano sicura, giusta e ferma.

I genitori devono sì sforzarsi di “comprendere” perché un figlio si è comportato male, ma questo non vuol dire giustificarlo. Per essere autorevoli devono imparare a dire “no” ai figli, senza paure o dubbi.

Devono aiutare i figli a riflettere sugli errori commessi e sulle conseguenze di certe azioni e farlo con calma, senza gridare, né accusare.
I figli, d’altro canto, devono capire di aver sbagliato (non di essere sbagliati) ed essere pronti a non ripetere l’errore.

Ecco come avere dei figli “positivi”!

Quante volte ci stupiamo di fronte a certi atteggiamenti rinunciatari e timorosi dei nostri figli?

Vorremmo vederli sicuri di sé, grintosi, aperti a cogliere le piccole o grandi sfide della vita e invece li vediamo impauriti e spaventati all’idea di un insuccesso a tal punto da non provarci nemmeno.

“Tanto lo so, mamma, la verifica andrà male come la volta scorsa!”.
“A che serve tutto questo studio? Tanto poi va male!”.

Abbiamo ascoltato parecchie frasi simili a queste e magari l’istinto ci ha spinti a replicare:
“Ma io non so dove prendi tutta questa negatività!”.

Eh! Bella osservazione!

Ma cosa possiamo fare per avere figli “positivi”?

Intanto chiariamo che “positivi” non significa guardare alla realtà in modo distorto, con gli occhiali rosa, in modo irrealistico.

Positivi significa “ottimisti”, ovvero capaci di guardare il bicchiere mezzo pieno: fiduciosi nelle proprie capacità e sulla buona riuscita delle proprie azioni, oltre che di buona compagnia e socievoli.

Praticamente, figli capaci di pensare positivo, di vedere il lato buono della vita. Figli che guardano alla vita con il desiderio di vivere esperienze positive.

No, non stiamo parlando di extraterrestri!

Avere figli così è possibile! Ma molto dipende da noi.

Se siamo di quegli adulti che si alzano al mattino cupi e già si lamentano per la giornata che avranno davanti, con tutte le rogne di cui occuparsi al lavoro e tutti gli impegni a cui far fronte, be’ non saremo un gran bell’esempio! Non è questione di fingere, ma di non alimentare la negatività.

Lamentarsi è un’abitudine e, come tale, può essere modificata.
Se siamo genitori ottimisti, anche i nostri figli lo saranno!
Il primo “lavoro”, quindi, è quello su noi stessi.

Facciamo piccoli cambiamenti:

  • Al mattino evitiamo di lamentarci perché dobbiamo andare al lavoro.
    Se è possibile, facciamo colazione insieme a loro (magari alzandoci un pochino prima del solito) e parliamo di qualcosa di positivo (come, ad esempio, di chissà quali nuove cose interessanti impareranno a scuola).
  • Alla sera, a cena, possiamo dedicarci a “il racconto della giornata”, ovvero il racconto di ciò che abbiamo vissuto, con la regola di trovare “3 cose positive” da evidenziare.
  • Prima di dormire, possiamo leggere loro una bella storia a lieto fine.
    (Ci sono libri per bambine, ad esempio, che raccolgono storie di “femmine” che sono riuscite a realizzare i propri sogni, diventando scienziate, artiste, musiciste… Tutte storie positive, quindi).

Buone pratiche che fanno bene a loro, ma anche a noi!

Un’altra cosa importante, ma che comporta una certa attenzione da parte nostra, è legata al linguaggio e ai messaggi che invia al cervello.

Dobbiamo sforzarci di far caso alle frasi che i nostri figli sono soliti usare.

Se dicono spesso: “Non ce la faccio” (es. “Mi aiuti, mamma? Non ce la faccio”), “Ma io non sono capace!”, “Non ci riesco”, “Non sono bravo a calcio” o “In matematica sono negato!”, “In scienze non capisco niente!”, dobbiamo intervenire e modificare la loro frase in:

  • “Posso farcela!”
  • “Ci provo” o “Voglio provare a …”.
  • “Sono bravo in…”.

Questo li aiuterà a essere più positivi e a non generalizzare in negativo.

Se, ad esempio, dicono che il loro disegno fa schifo, facciamo notare loro che non è così: troviamo gli elementi positivi, senza ingannarli o illuderli. Ad esempio: “Del tuo disegno mi piace molto questo elemento” (troviamo un dettaglio che apprezziamo).

E per quanto riguarda noi, stiamo attenti alle parole che diciamo loro, soprattutto quando siamo irritati:

“Sbagli sempre!”, “Possibile che non ne fai una giusta?”, “Non cambi mai!” sono generalizzazioni che fanno danni.
Meglio essere più precisi e dire:
“In questa cosa hai sbagliato, ma puoi migliorare” oppure
– “Stavolta non è andata tanto bene, proviamo in un’altra maniera!”.

In questo modo, i bambini capiscono quello che non va bene, ma il nostro intervento è costruttivo, non distruttivo.

Quindi non si tratta di dire a nostro figlio delle falsità, ma di incoraggiarlo a “parlarsi” in modo diverso, perché i messaggi che manderà al suo cervello gli permetteranno di affrontare in modo positivo le difficoltà e gli ostacoli della vita.

Allora insegniamogli a farsi i complimenti per ciò che riesce a fare:
– “Sono stato bravo”,
– “Sono capace di…”,
– “Mi voglio bene”.

Deve rendersi conto di avere le capacità per fare di tutto, ma sapere che per farlo bisogna impegnarsi, concentrarsi e mirare all’obiettivo.

Aiutiamolo allora e stimoliamolo con queste frasi, soprattutto quando dubita di sé:

  • “Ho fiducia in te e nelle tue capacità”,
  • “ti voglio bene e ce la farai”,
  • “lo sai fare come gli altri, devi aver fiducia”
  • “la vita è fatta anche di insuccessi, quindi se questa volta è andata così la prossima volta andrà meglio”,
  • “si è capaci anche se qualche volta si sbaglia”.

Per riuscire a guardare alla vita con positività, nostro figlio deve imparare a dare il giusto peso agli eventi ed è tutta questione di “allenamento”.

Guardare alla realtà senza negativizzare tutto richiede continuità: va fatto tutti i giorni.
Magari iniziando dal buon umore, che trasmette serenità, speranza e allenta le tensioni.

Cerchiamo dunque di “sorridere” più spesso: i nostri figli (e non solo) ne godranno tutti i benefici.

Non illudiamoci però: i nostri figli non diventeranno positivi “per magia” e da un giorno con l’altro!

Dobbiamo educarli noi a questo atteggiamento: noi, che siamo le persone più influenti nella loro vita.

E a chi si lamenta, dicendo: “Anche questo devo imparare?!?”, rispondo che fare il genitore è un duro lavoro da svolgere tutti i giorni e, come tutti i lavori, prevede un continuo apprendimento se si desidera migliorare.

Il potere che ne deriva è enorme: influenzare l’intero futuro dei propri figli.

 

 

 

Come faccio a gestire l’aggressività di mio figlio?

Hai un figlio aggressivo? E’ adolescente?

Ti senti impotente di fronte a lui e provi paura, preoccupazione, persino rabbia?

Sai già che “essere arrabbiati” è tipico dell’adolescenza, ma forse non sai ancora che

è un modo inconscio che tuo figlio ha per separarsi e differenziarsi da te.

Significa che devi sopportare e giustificare tutti i suoi attacchi? No di certo.

Tuttavia è importante che tu ti chieda: “Ma che cosa mi sta comunicando la sua aggressività?”.

E soprattutto è necessario che tu abbia ben chiaro come comportarti.

Ecco alcune dritte che possono esserti utili:

1) Non litigare con tuo figlio, perché non aspetta altro che un’occasione per scontrarsi con te:

osservalo, ascoltalo per capire qual è la vera causa della sua rabbia (magari nasce dal fatto che tu continui ad elogiare il fratello perché è bravo a scuola o nello sport)

2) Dagli il buon esempio,
cioè dimostragli di saper discutere senza alzare la voce né ferirlo;

3) Non provocarlo, ovvero non innescare altra aggressività, ma contienilo:

se tuo figlio è arrabbiato, rimanda qualsiasi confronto o discussione a quando sarete entrambi più calmi.

4) Valuta bene quali “no” dirgli, perché se sono troppi e continui, sono dannosi e alimentano gli scontri. Meglio poche regole, definite bene e facilmente comprensibili per lui.

5) Dimostragli di apprezzare i suoi comportamenti positivi, anche se si tratta di piccole cose (come rimettere in ordine la sua stanza).

6) Non essere permaloso quando tuo figlio critica tutto ciò che fai:

lo sta facendo apposta per provocarti, ma inconsciamente sta cercando di separarsi da te, per non essere più il bimbo che ha bisogno del genitore.
Perciò… non fare il suo gioco, vai oltre: cerca di capire che cosa sta succedendo.

Affiancare nella crescita un figlio adolescente è difficile, ma adottare alcune buone pratiche può renderlo meno pesante.

Aspetto le tue riflessioni e… il tuo LIKE. J

Ragazzi, il “pisolino” è meglio dei social: dà la carica!

Ehi, sei di quegli studenti che “dormono” nel pomeriggio?
Tua madre ti rimprovera per questo?

Bene, sappi che il “pisolino” dopo pranzo può risultare una buona abitudine, ma non per tutti.

Se, ad esempio, hai problemi di insonnia, evita!
E poi stai attento a “quanto” dormi, perché

lo scopo del pisolino è di ricaricarti, di fornirti nuova energia e non di farti trascorrere il resto della giornata assonnato o con il mal di testa.

Come sfruttare al meglio il “pisolino”?
1) L’orario ideale è dopo il pranzo, tra le ore 13 e le ore 15;
2) non superare la mezz’ora di riposo, perché il rischio è di stare peggio;
3) scegli un posto tranquillo, indisturbato, buio e senza rumori;
4) punta la sveglia e alzati quando suona;
5) sciacqua la faccia con acqua fredda;
6) mangia e bevi qualcosa di leggero;
7) cammina per casa e sciogli i muscoli del collo;
8)  ricomincia a studiare, evitando distrazioni inutili, dato che ora sei fresco.

Ricorda che il “pisolino” è uno solo ed è il tuo corpo “a chiamarlo”.

In che modo?

Se dopo il pranzo hai brividi, occhi pesanti e tanta stanchezza, vuol dire che hai bisogno di riposo.

Ma ricorda: se supera la mezz’ora può provocarti nel tempo disturbi del sonno notturno.

Quali sono i benefici del pisolino?

Studiosi tedeschi dicono che renda la memoria cinque volte più potente, mentre studiosi americani sostengono che la creatività aumenti del 40%.
Addirittura la Nasa ha comunicato che dormire per una ventina di minuiti, nel pomeriggio, ha migliorato del 34 % le prestazioni professionali dei suoi piloti!

Il sonnellino quindi è un vero toccasana, ma ricorda che è la notte il momento in cui dormire veramente.
Perciò, a parte quella mezz’oretta, cerca di restare sveglio e attivo durante il giorno, anche se sei stanco, perché noi siamo fatti così: per stare svegli di giorno e dormire la notte.

Perciò, usalo bene il sonnellino!
E potrai migliorare anche i tuoi voti… Sempre se studi, ovviamente!

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” (28/11/2018).

Colloqui scolastici e… madri “fuse” coi figli.

Avete presente i colloqui scolastici?
Sono quei momenti durante i quali un genitore si trova faccia a faccia con chi si occupa di suo figlio e al contempo ha il dovere di “valutarlo” per comportamento e rendimento.
Niente di peggio, vero?

Le madri sono quelle a cui tocca quasi sempre questa incombenza: chi ci va in preda all’ansia, chi preoccupata, chi arresa… Poche sono quelle veramente serene.

Come docente e Coach, immagino sempre quali possano essere gli stati d’animo di una madre e cerco di cogliere il suo legame profondo col figlio, attraverso il linguaggio e le espressioni verbali e non verbali che usa.

Ci sono le mamme ansiose, con le mani sudate, che parlano poco oppure molto velocemente: chiedono rassicurazioni e consigli.
Poi ci sono quelle preoccupate, che arrivano con la fronte già corrucciata e tengono spesso le mani chiuse a pugno l’una dentro l’altra: si rilassano solo dopo aver sentito che va tutto bene.

Ce n’è un “tipo”, però, molto particolare: quella che appare sicura di sé, che tende il braccio per salutare e ha una stretta di mano forte. Quella che sembra avere tutte le risposte e quindi non accetta alcuna osservazione sul figlio.
Se il giudizio sul comportamento non è come si aspetta lei,… apriti cielo!

Tutte le volte che mi capita di incontrare donne del genere, penso a quale grosso problema abbiano con il loro essere madri e a quanta inconsapevolezza si trascineranno per tutta la vita, danneggiando pure il figlio.

Sono mamme che continuano a vivere in uno stato di “fusione” col figlio.
E la cosa è grave, perché la fusione esiste, ma per brevissimo tempo dopo la nascita. Non oltre.

Se, come madre, non riesco a vedere e a vivere mio figlio come un essere separato da me

allora, tutto ciò che gli altri diranno di lui, sarà una critica che mi colpirà sul piano personale, come fosse mossa a me direttamente.

Questo non ha nulla a che vedere col sentirsi dispiaciute per il proprio figlio.

Queste madri, sentendosi un tutt’uno col figlio, si sentono giudicate in prima persona e quindi in dovere di difendersi:

“Guardi che io sono una brava madre, eh! Non una di quelle che abbandona a se stesso il proprio figlio!”. Frase tipica, pronunciata spesso all’inizio del colloquio, senza che il docente abbia detto nulla a riguardo.

Ma questo figlio è un essere a sé, con emozioni, sentimenti e comportamenti diversi dalla madre, ed è sano che sia così.

Una madre, quindi, dovrebbe fare il grande passo di accettare questa inevitabile separazione e di accoglierla come un momento di crescita per sé e per il figlio.

Significa fare “il proprio dovere di mamma”, senza pretendere che tutto vada come si vuole o in modo perfetto.

Significa mettersi in discussione, con lo scopo di migliorarsi e non di “fustigarsi”.

Vuol dire accettare se stesse, ma senza cadere nel “come sono brava, non potrei fare di meglio”, perché

lo scopo è porsi delle domande e diventare consapevoli di sé, in modo da vivere più serenamente la propria genitorialità.

Ragazzi, ecco come non “procrastinare”!

La parola su cui lavorare questa settimana è “procrastinare”.
Forse è un verbo che usate poco, ma certo lo conoscete: significa “rimandare ad un altro giorno qualcosa, senza stabilire mai quando agire”.

Avete presente quando dovete iniziare un nuovo compito, un nuovo progetto o prendere una decisione difficile e… vi sentite come bloccati?

Non capite come mai, ma non riuscite a partire perché il vostro cervello si rifiuta di concentrarsi su quello.

Il fatto è che iniziare qualcosa di impegnativo assorbe tante energie mentali e pensare a cosa dobbiamo fare, a come dobbiamo svolgere quel compito – magari poco gradito – ci prosciuga la mente.
Ecco perché rimandiamo!

In realtà, a farci restare in attesa è l’ansia, che ci spinge a fare qualsiasi altra cosa pur di rimandare ciò che dobbiamo.
E’ come se il nostro cervello si difendesse dalla fatica.

Avete presente quando, al posto di rimettere in ordine la vostra stanza, spendete il tempo inventandovi altri lavori?
In fondo non è che non state facendo nulla, vero?
Non ve ne state con le mani in mano! Però… non fate nemmeno ciò che vi è stato chiesto.

Praticamente state procrastinando.

Se vi siete resi conto di essere così e volete migliorare, un modo c’è!

Scegliete di svolgere l’attività che avete stabilito oppure non fate assolutamente nulla.

Facciamo un esempio.
Se dovete studiare o svolgere un lavoro che vi ha affidato la mamma, avete due possibilità: 1) lo portate a termine, 2) non potete fare nient’altro: niente chat, niente play, niente tv, niente pc.
Non è una punizione né un ricatto, ma almeno

il vostro cervello capirà che se non svolgete ciò che dovete, si dovrà mettere in stand by.
E dato che il cervello odia annoiarsi… sarà più disponibile a concentrarsi su ciò che gli chiedete di fare!

Questa strategia funziona davvero, perché riduce le vostre scelte e quindi vi spinge all’azione.

Vedrete che, pur di non stare immobili, vi metterete a svolgere i compiti!
Non ci credete?
Provate!

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” (2/10/2018).

Sii l’adulto che avresti voluto accanto quando eri piccolo.

Quante volte non ci riconosciamo o non sappiamo più chi vogliamo essere?

La Vita cambia le persone e capita di ritrovarsi adulti e di non piacersi o di non sapere che tipo di genitore essere.

La naturale tendenza dovrebbe essere quella di guardarsi dentro e “migliorarsi”, ma ci sono molte persone che in realtà, nel tempo, fanno emergere solo il peggio di sé o perché sono scontente e si sentono vittime del sistema o perché sono state deluse da qualcuno o da se stesse. Altre si sono incattivite per i torti subiti e altre ancora si sono indurite per non soffrire più.

Ecco, allora, che una frase come “Sii l’adulto che avresti voluto accanto quando eri piccolo” può fare da guida.

Si tratta di ripensare seriamente a “che cosa ci è davvero mancato” durante la nostra infanzia e adolescenza.

E credo che a nessuno verrebbero in mente per prima cosa gli abiti griffati e gli oggetti costosi…
Anche se, magari, “quel motorino” che desideravamo tanto e non abbiamo mai avuto… ci brucia un po’, perché era un modo per essere indipendenti e sentirci grandi.
E probabilmente non penseremmo neanche alla totale libertà, senza regole né controlli da parte di un adulto che ci concedesse di tutto.

Se ci riflettete bene, vi accorgerete che i pensieri si spostano altrove.

Di che adulto avremmo avuto bisogno?

Di uno che ci regalasse cose che si comprano coi soldi oppure di uno che ci regalasse il suo tempo, che giocasse insieme a noi, che ci incoraggiasse a fare il nostro meglio senza criticarci né giudicarci?

Magari ci sarebbe piaciuto avere a fianco un adulto solare, capace di farci ridere al momento giusto, di farci sentire amati e apprezzati per ciò che eravamo…

Un adulto capace di gentilezza, seppure fermo sull’educazione e le regole
Un adulto in grado di ascoltarci in silenzio, ma anche di dialogare con noi

Un adulto che, al momento giusto, ci abbracciasse e ci dicesse: “Sono fiero del ragazzo che sei”

Ecco, ciascuno di noi sa che tipo di adulto avrebbe voluto accanto e questa “immagine” può davvero aiutarci a disegnare il ritratto di chi vogliamo essere nei confronti degli altri e in particolare dei figli (indipendentemente da ciò che abbiamo passato nella vita).

Un modo semplice per toglierci tutti i dubbi e renderci più determinati e perseveranti nel diventare “l’adulto” di cui avremmo avuto bisogno.
Un adulto che venga ricordato per ciò che di buono è riuscito a trasmettere e a condividere, per la gioia che è riuscito a suscitare e per la serenità che è stato capace di regalare.

Ragazzi, volete ottenere buoni risultati scolastici? Basta organizzarvi!

Ragazzi, avete presente quella brutta sensazione di arrivare all’ora di cena e rendervi conto di non aver terminato i compiti?
Che ansia!

Senza contare la frustrazione di aver rinunciato ad uscire con gli amici per avere più tempo per lo studio e notare che il tempo non vi è comunque bastato.

Le distrazioni sono frequenti, si sa, ma se invece avete spento il cellulare, la tv, il pc?
Come mai non siete riusciti a finire tutto?

Già mi sembra di sentirle le lamentele dei vostri genitori: “Possibile che ti riduci sempre all’ultimo per studiare?”.

Se pensate di avere qualcosa che non va, sappiate che spesso è solo un problema di “organizzazione”.

Già, ma come si fa a fare tutto?

Vi do qualche suggerimento da mettere subito in pratica per poter vedere i primi cambiamenti:

1) create una tabella della settimana (a mano o al computer);

2) su ciascun giorno, scrivete quali saranno i vostri impegni (es. dentista, studio, allenamenti sportivi);

3) a fianco di ciascuna voce, inserite per quanto tempo vi terranno impegnati (es. Allenamenti di calcio: 2 ore, dalle h.18 alle h.20);

4) sotto la voce “scuola”, scrivete le materie e ciò che dovete studiare per il giorno seguente (es. Inglese: studio da pag.20 a 26) e aggiungete anche i compiti scritti (es. Matematica: esercizi a pag. 38 n° 3,5, 9).

Avrete subito chiaro il quadro dei vostri impegni e vi renderete conto se sarà una giornata impegnativa o leggera.

Stabilite dunque un tempo per ciascuna attività: potete scegliere voi se partire dai compiti scritti o dallo studio.
Di certo evitate di studiare la sera tardi, quando siete stanchi.

Ogni 25 minuti di studio, fate 5 minuti di pausa per sgranchirvi le gambe o bere qualcosa.

Poi riprendete, seguendo il programma.

Se sul lunedì vedete pochi impegni, portatevi avanti: lo scopo è bilanciare la settimana e arrivare a scuola sereni per non aver lasciato nulla in sospeso.

Fatelo tutte le settimane e poi fatemi sapere come va!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei ragazzi de La Provincia di Como (4/12/2019).