Il 2020 che finisce… è davvero tutto da buttare?

Il 2020 sta per scomparire, ma di lui parleranno i libri di storia.
Tutti non vedono l’ora che si chiuda, ricordando tutto il male che ha provocato: morti, ospedali al collasso, economia in ginocchio, perdita del lavoro, paura e lacrime.
Ha stravolto anche la nostra vita, togliendoci quelle certezze che davamo per scontate, come frequentare la scuola in presenza.

Ci ha tolto quei gesti spontanei che caratterizzavano il nostro essere umani, come le strette di mano, gli abbracci, i baci.
Ci ha tolto persino la possibilità di mostrare le nostre emozioni attraverso le espressioni del viso.
E abbiamo smesso di vedere sorrisi e risate, con l’uso della mascherina.

Ci siamo divisi in negazionisti, complottisti e non. E ci siamo scagliati gli uni contro gli altri.

Abbiamo scandito le nostre giornate sulla base dei dpcm a cadenza quindicinale.
Ci siamo sentiti confusi, spaventati, persi.

Abbiamo imparato a rispettare le regole per proteggerci e per proteggere le persone che amiamo, come i nonni o i genitori anziani.
Abbiamo accettato, sconvolti, di fare ore di coda per comprare cibo o medicine.
E durante il lockdown abbiamo trasformato le nostre case in uffici, aule scolastiche, palestre e panetterie.

La tecnologia, che spesso avevamo criticato aspramente, ci ha permesso di restare in contatto, di “vederci” attraverso uno schermo, di pranzare insieme seppure a distanza.

È ormai un anno che viviamo così e a volte ho quasi paura di dimenticarmi com’era la vita prima del Covid-19.

Molti infatti, perdendo la speranza, sono caduti in depressione, mentre altri hanno sviluppato paure e sindromi che impediscono loro di vivere a colori.

Un anno quindi da cancellare, da dimenticare, da sotterrare… o forse no, perché ci ha scossi così tanto dal nostro torpore, dal nostro dare tutto per scontato, acquisito, certo, da rimettere in discussione la scala dei nostri valori.

La Vita e la salute sono tornate al primo posto. Così come la famiglia e gli affetti.

Famiglie che si incontravano a mala pena la sera, a cena, si sono ritrovate a mangiare insieme, guardandosi negli occhi. Non più pasti veloci per poi uscire o badare ai propri impegni.

Il tempo si è dilatato. L’abbiamo dovuto riempire.
E allora abbiamo riscoperto la bellezza di stare insieme.

La casa, da carcere, è diventata “nido”: un luogo sicuro e pieno di calore.
Abbiamo visto genitori e figli sui balconi, cantare insieme e appendere messaggi di incoraggiamento, ma anche cucinare e fare ginnastica insieme.

Una condivisione impensabile, senza il Covid-19.

E allora non è un anno da buttare via.
Ci ha dimostrato che gli affetti sono la vera ricchezza; che i figli sono impegnativi, ma stare con loro dà gioia; che i genitori sono un punto di riferimento importante e che i nonni mancano, quando non si possono incontrare.

Gli studenti hanno scoperto di apprezzare così tanto la scuola in presenza, da sentirsi tristi e demotivati, senza.
Ciascuno di noi, poi, si è potuto “guardare dentro”, facendosi domande che mai si sarebbe posto se avesse continuato a correre, dividendosi tra lavoro e impegni vari.

Abbiamo rivalutato certe amicizie e deciso di cancellarne altre, perché superficiali e false.
Abbiamo avuto tempo per guardare negli occhi il nostro partner e ricordarci perché l’abbiamo scelto, apprezzandone il sostegno e le qualità.

Sì, lo so, non per tutti è stato così… Ma siamo così abituati a cogliere il peggio che c’è, da scordarci ciò che di positivo può regalarci un anno…
Eh, sì, anche un anno come questo.

Buon 2021!

Genitori tossici: ecco come riconoscerli.

Sentiamo spesso parlare di relazioni tossiche, ma raramente leggiamo di “genitori tossici”, che con i loro comportamenti procurano ai figli sofferenza e scarsa autostima.

Credo importante parlarne, per saperli identificare, perché ci potrebbe capitare di incappare in uno di loro (magari fra i nostri amici, parenti o peggio, se si trattasse del nostro partner) e sarebbe bene provare a convincerli a farsi aiutare da uno specialista, come lo psicologo, per non danneggiare ulteriormente i figli.

Vediamo quindi le caratteristiche.

Il genitore tossico è iper-critico: non gli va mai bene niente.
Se il figlio a scuola riceve un bel 9, lui si mostra scontento perché non ha preso 10.
Perciò commenta in modo secco, duro, senza preoccuparsi di ferire il figlio.

Di solito è focalizzato sui suoi desideri e non tiene conto dei bisogni dei figli.
Vuole controllare tutti e spesso usa le urla per ottenere ciò che vuole oppure insinua in loro dei sensi di colpa.

Ama essere al centro dell’attenzione dei propri figli e lo fa mostrandosi preoccupato o arrabbiato, così i figli se ne fanno carico, soffrendo nel vederlo infelice.
Praticamente, al posto di alleggerire i figli, li carica di pesi che a quell’età non dovrebbero portare.

I genitori tossici sono negativi e si lamentano di continuo coi figli.
Nulla va bene!

Le conseguenze sono davvero pesanti per i figli, perché crescere con genitori tossici significa essere delle vittime e accumulare rabbia che spesso non si riesce a sfogare.
Significa anche dover vivere in un ambiente che fa star male, che fa soffrire e che spinge a mettere in dubbio i propri bisogni, per assecondare e appagare quelli del genitore.

D’altra parte, il genitore tossico fa sentire i figli inadeguati.
Per lui non sono mai “abbastanza” bravi, così loro crescono sentendosi sempre in difetto, sbagliati e imperfetti.

Lui non si mette mai in discussione, è perfetto così, mentre i figli sono sempre più insicuri e la loro autostima si sgretola pian piano ogni giorno di più.

Ecco, se pensiamo di aver riconosciuto un genitore tossico tra i nostri parenti o amici, proviamo a parlargli per vedere se è disposto a mettersi in discussione e a cambiare.
Facciamolo con delicatezza, però, perché i genitori tossici difficilmente riconoscono i propri errori.

Tuttavia… tentar non nuoce!

Se vuoi trasmettere a tuo figlio di non tenere a lui, lascia che rientri sempre più tardi.

Siamo in piena estate e – Covid o meno – i ragazzi in vacanza o a casa pressano per uscire la sera e soprattutto per rientrare sempre più tardi.

A mezzanotte ormai rientra solo cenerentola… perché gli adolescenti, anche se minorenni, tendono a rientrare tra l’una e le quattro del mattino…

Alcune madri disperate, ma rassegnate, mi hanno detto: “Cerco di stare sveglia ad aspettarlo, ma poi crollo!” oppure “Io e mio marito ci diamo il cambio: un po’ sto sveglia io e un po’ sta sveglio lui, finché nostra figlia non rientra”…

Ma c’è stata una madre che mi ha detto seccata: “Mia figlia non ne vuole sapere di tornare a casa entro mezzanotte, ma perché io non posso godermi il riposo che aspetto tutto l’anno?”.

E l’obiettivo è proprio questo: essere felici voi e i vostri figli. Non solo loro.
Non dimenticate che i ragazzi hanno i loro bisogni, ma voi avete i vostri.

Meglio quindi raggiungere un compromesso.
Ad esempio: proponete il coprifuoco a mezzanotte, così vostro figlio chiederà l’una e arriverete a mezzanotte e mezza.

Anche se dovete avere ben chiaro qual è il limite per voi.
Le 3 di notte, onestamente, sono ingiustificate, visto che non vanno a scuola e quindi gli amici possono vederli durante il giorno.

Il concetto è porre un limite che sia utile a salvaguardare la loro sicurezza e incolumità. Quindi una regola educativa, non punitiva.

E se si lamentano che “tutti stanno fuori fino alle 3”, senza polemica né tono seccato, ribadite che – secondo voi – non vi è motivo di stare in giro fino a quell’ora. E non raccogliete le provocazioni, non state a discutere. Il limite è questo. Punto.

Dite: “Non ce l’ho con te, anzi! Ti voglio bene e proprio per questo non trovo sicuro che tu stia in giro fino a tarda notte”.

Non dico che sarà una passeggiata… ma provateci! E fatemi sapere!

Genitori e nonni, riappropriatevi del vostro fondamentale ruolo educativo.

Stiamo tornando pian piano alla normalità e si nota anche nella gestione delle relazioni familiari. Basta trascorrere una giornata all’aperto in mezzo agli altri per rendersi conto che nulla, proprio nulla è cambiato. Il Covid-19, ad esempio, non ha fatto riscoprire a certi giovani il valore e la gioia di avere ancora in vita i nonni né la fortuna di avere al fianco i genitori… Tutto è rimasto scontato.
Mi riferisco all’atteggiamento di molti figli nei confronti dei genitori e di parecchi nipoti nei confronti dei nonni.
Ora, d’accordo che non siamo più nell’Ottocento e nemmeno nel Novecento, ma vi pare corretto che un bambino si rivolga al genitore o alla nonna con tono arrogante, aggressivo e gesti che farebbero irritare anche un santo?
Smettiamola di giustificare questi comportamenti con la solita frase: “Sono bambini!”, perché poi diventa la giustificazione usata quando diventano adolescenti e poi giovani.

Perché abbiamo così tanta paura di “fare gli adulti”? Di assumerci il ruolo di educatori? Perché dobbiamo mostrarci e comportarci per forza come “compagni di merenda”, complici della scorrettezza dei più piccoli?

Il problema che si pone, infatti, non è “il bambino maleducato”, ma l’adulto che proprio non vuole assumersi la responsabilità (e lo stress) di intervenire, di spiegare, di fermare certi atteggiamenti che, in altre nazioni (ve lo garantisco), non sarebbero tollerati.

Vi faccio degli esempi.

Un padre che, vedendo in casa la figlia dodicenne truccarsi come un’adulta appariscente, commenta con tono scherzoso: “Cos’è questo trucco così pesante? Non ti sembrerebbe il caso di evitare, considerata la tua età?!” e poi la lascia uscire comunque, non ha capito nulla del suo ruolo, che non è solo quello di educare, ma anche di proteggere, perché una ragazzina totalmente inesperta della Vita, che appare come una maggiorenne navigata… be’, va certamente incontro a dei seri rischi.

Gli adulti devono avere ben chiaro quali sono “i paletti” da mettere per segnare i confini entro i quali far muovere i figli. Se non lo fanno… la colpa delle azioni e reazioni dei figli è solo loro.

Non è questione di rigidità, ma di ragionare, riflettere coi figli: comunicare loro il senso delle proprie scelte, ma senza lasciare ai piccoli il potere di cambiarle o rifiutarle.

Non è nemmeno questione di severità, perché per vivere in mezzo agli altri dobbiamo essere capaci di condividere e rispettare regole che non vengono da noi (e che magari nemmeno ci piacciono).

Allora, la nonna che permette alla nipotina di otto anni di trattarla come uno zerbino, non sta dimostrando “pazienza e amore”, ma disinteresse e totale mancanza di dignità.
Non solo, ma crea alla bimba l’illusione di essere onnipotente, di poter maltrattare gli altri (come fa con lei). Cosa farà quando si troverà davanti le regole da rispettare a scuola e nel mondo?

Sapete, credo profondamente nell’educazione ai valori e ai principi che regolano le relazioni con gli altri, nel rispetto della libertà (propria e altrui) e davvero non mi capacito di come un adulto con esperienza possa liberamente scegliere di eludere il suo fondamentale compito.
Nessun cucciolo d’uomo dovrebbe permettersi di trattare un adulto come un coetaneo: significherebbe non aver compreso la differenza di ruoli né la gerarchia. Principi fondamentali che regolano la vita nella società.

Ma questi cuccioli non possono educarsi da soli: hanno bisogno di noi, di adulti responsabili, con le idee chiare su cosa è giusto e cosa no, su quali sono i confini da non oltrepassare.

Un ruolo fondamentale , quello dell’adulto, che deve essere disposto a difendere con convinzione, energia e costanza. Quando tutti gli adulti (genitori, nonni, insegnanti, allenatori, ecc.) interiorizzeranno questa grande verità e si riapproprieranno del loro importante ruolo educativo… allora sì le cose potranno cambiare. Ma fino ad allora…

Didattica a Distanza: tutti promossi! E ora come lo spiego a mio figlio?

Ormai tutti i docenti e pure i genitori hanno capito come si concluderà l’anno scolastico: praticamente, tutti promossi!

Così, dopo aver raccolto commenti ed esclamazioni di preadolescenti e genitori, ho deciso di mettermi in campo come Coach per aiutarli.

Questo articolo non è “per tutti”: è per chi ha figli nella scuola secondaria di primo grado (la ex scuola media) e “crede” nel valore della scuola e dello studio, tanto da spronare i figli ad applicarsi sempre, in presenza o a distanza. E’ per i genitori di quei figli che si impegnano, che ci tengono a meritare un bel voto e che, in questo periodo di Covid-19, hanno continuato a dare il massimo, senza imbrogli né aiuti.
Parlo di quei ragazzi a cui docenti e genitori hanno detto: “Se vuoi essere promosso, devi studiare!”. E loro l’hanno fatto! Eccome se l’hanno fatto!

Ma ora si sentono confusi nel rendersi conto che quel compagno, che non ha mai partecipato a una video-lezione né mai consegnato compiti né studiato, be’, verrà promosso esattamente come loro.
Un profondo senso di ingiustizia, misto a frustrazione e rabbia.
Ecco cosa esprime quel “Ma non è giusto!”.

E come dar loro torto?!
A quell’età, poi, sono particolarmente sensibili alle ingiustizie, perché la coerenza e le promesse per loro sono sacre.

In realtà la pensano così anche molti genitori, che ben conoscono quel disagio, perché l’hanno già vissuto sia a scuola, da piccoli, sia sul lavoro, da grandi…
E così cercano di aiutare i figli a digerire il boccone amaro, dicendo:

“Non importa! Tu hai fatto il tuo dovere” o “A me degli altri non interessa nulla!”.
Sono frasi buttate lì perché non si sa davvero cosa dire, solo che vengono colte come una mancanza di comprensione e allora… apriti cielo!

Come possiamo aiutarli davvero?

Dobbiamo far centro “dentro di loro”: colpirli a tal punto che la nostra osservazione gli rimanga per sempre e serva a motivarli, nonostante l’ingiustizia.

Il Coaching insegna che la vita è un continuo “allenamento”: ci si allena a impegnarsi, a porsi obiettivi, a fare delle scelte, a essere onesti, determinati, resilienti…

E allora parliamo loro di questo, perché nello sport – che loro praticano spesso a livello agonistico – sanno che tutti si devono allenare in vista della grande gara finale.

Perciò, raccontiamo loro questa storiella (ciascuno la adatti come vuole allo sport praticato dal figlio):
Immagina di giocare in una squadra che dovrà affrontare un campionato importante.
Tu ti alleni sempre, mentre un tuo compagno no.
Arrivati a una settimana prima della partita, il campionato viene sospeso.
Tu senti che non è giusto, ma comunque ti sei preparato: hai imparato tecniche e strategie che ti saranno utili per vincere, quando ripartirà il campionato, mentre al tuo compagno è andata di pura fortuna. Già, perché se il campionato si fosse svolto, non sarebbe stato in grado di affrontarlo e l’allenatore l’avrebbe escluso.

Cosa vuol dire? Che la fortuna oggi c’è, ma domani chissà!

Tu hai puntato su ciò che era sotto il tuo controllo: l’impegno, la costanza, la fatica, la determinazione…
E quando punti su questo, è impossibile non “giocare il campionato”!
La fortuna, invece, è fuori dal tuo controllo: può andarti bene oppure male, ma non dipende da te.
Perciò, non perdere tempo a pensare alle ingiustizie: concentrati su quello che è importante per “giocare in campionato”.
Poniti un obiettivo: nella scuola può essere “Venire promosso”, meglio ancora “Essere promosso con 8 in inglese!”.
Scegli tu l’obiettivo, che sia per te coinvolgente, motivante… E poi non pensare più ad altro se non a raggiungere quello!
Perciò… ecco a cosa è servito il tuo “allenamento” quest’anno: a ripartire alla grande nel prossimo campionato!”.

Sono certa che così molti genitori faranno breccia, offrendo ai propri figli un nuovo punto di vista.
E’ quello che farei io, come Coach!

Didattica a Distanza: se suggerisci a tuo figlio, non hai fiducia in lui.

Siamo in dirittura d’arrivo: non manca molto alla fine della scuola e – sebbene a distanza – è tempo di verifiche e di interrogazioni di recupero per chi ha dimostrato lacune o scarso impegno.
La Didattica a Distanza è un palliativo: utile a tamponare una situazione di emergenza, ma non paragonabile al lavoro in presenza.
Una cosa però è certa: se bisognava studiare prima, si deve studiare anche ora.
Se si vuole imparare qualcosa, a qualsiasi età, bisogna mettersi seduti, concentrarsi e … studiare.
E trovo rassicurante rendermi conto che gli studenti onesti siano rimasti tali e affrontino le verifiche senza imbrogliare.

Però – ahimè – sono parecchi i docenti che hanno lamentato la presenza di genitori che suggeriscono, che forniscono le risposte ai test, alle verifiche.

Mi riferisco alla scuola secondaria di primo grado, la cosiddetta ex scuola media, dove i genitori si ritrovano spesso a seguire i figli non ancora completamente autonomi.

E non mi riferisco certo a quei bravi genitori che in questi mesi si sono prodigati nell’affiancare i figli nello studio, nell’eseguire insieme quei problemi di matematica che risultavano incomprensibili, a quelli che – libro aperto alla mano – hanno “provato la lezione” per accertarsi che i figli la sapessero…
Non mi riferisco a quei genitori che hanno ripreso a ripassare inglese, francese, spagnolo… O che hanno cominciato a studiarlo da zero pur di essere d’aiuto…
Insomma, a quei genitori che hanno sostenuto, affiancato, preparato i propri figli giorno dopo giorno, compreso nel week-end, ma che poi li hanno lasciati “liberi” di affrontare le verifiche e le interrogazioni da soli, in piena autonomia.

Perché, vedete, suggerire o sostituirsi a un figlio durante una prova che prevede una valutazione, non è solo imbrogliare. Sul piano educativo significa allenare i figli ad essere disonesti, furbi, a considerare che “il fine giustifica i mezzi”. Della serie: perché fare fatica se c’è una facile scappatoia?

E allora penso che per qualche ragazzo il passo, in futuro, a commettere un illecito sia breve. Lavorare? E perché mai?! Basta rubare…
E se a insegnare una mentalità tanto scorretta è il genitore… quello che gli vuole bene… Allora significa che è giusto e non sbagliato.

Non solo.

Suggerire le risposte è un atto di sfiducia nei confronti di un figlio. E’ esattamente come dirgli: “Credo che tu non sia in grado di superare questa prova senza il mio aiuto”.

Se ci pensate, è come sottolineare la sua inadeguatezza.
Pensate alla sua autostima: secondo voi, ne uscirà rafforzata in questo modo? Oppure diventerà ancora più insicuro, più incerto?
E come credete che si sentirà, ricevendo un bel 9 o 10 immeritato?
Al posto di aiutarlo, lo demoliremo.

Gli insegneremo a vivere di bugie, di apparenza.

Già, perché se quel voto non è frutto di ciò che sa, “apparirà” studioso, bravo, ma non lo sarà veramente.
Tutti i docenti si aspetteranno da lui grandi prestazioni… Voti che, ripresa la didattica in presenza, non sarà più in grado di mantenere. E allora… quale delusione, quale frustrazione!

I preadolescenti hanno bisogno di crescere, di fare esperienze, di vivere i fallimenti e di superare gli ostacoli. In questo senso devono avere la certezza che saremo lì, al loro fianco, per sostenerli e incoraggiarli. Persino per stare in silenzio e lasciar parlare il nostro abbraccio.

Hanno bisogno di adulti responsabili, seri, di “valore”.
A loro non servono adulti falsi, furbi, che vivono di apparenza…
Perché ciò che desiderano di più è “essere autentici” ed essere apprezzati per ciò che sono davvero.

Un voto è solo un numero. Misura la prestazione di quel momento.
Ciò che sei o diventi, invece, è per sempre.

Non dimentichiamocelo!

Genitori, non è che per caso state crescendo “un narcisista”? Scopritelo!

Scrivo e parlo spesso di “autostima”, soprattutto rivolgendomi ai genitori, affinché crescano figli con una buona stima di sé.
E infatti sono tanti i genitori che si preoccupano dell’autostima dei figli, soprattutto quando è scarsa e i figli manifestano per questo una serie di disagi.
L’istinto, perciò, di molti adulti è quello di evitare in tutti i modi di avere un figlio insicuro, timido, che si sente inadeguato, fragile, indifeso…
E per farlo, ricorrono alle lodi, agli incoraggiamenti, ai premi, all’esaltazione di tutto ciò che il figlio fa.

Ma siamo sicuri che questa sia la strada giusta?
Non è che – senza accorgercene – stiamo crescendo un figlio “narcisista”, cioè un figlio che si crede superiore agli altri e che pensa di avere più diritti di tutti?

Vediamo, allora, gli ERRORI che non dobbiamo commettere:

  • Non lasciamo che nostro figlio pensi di essere infallibile.

Non illudiamolo! Facciamogli capire che potrà capitare che lui sbagli e che da questo potrà soltanto imparare. Cadere è normale e serve proprio a capire come fare a rialzarsi.

  • Paragonarlo sempre agli altri e fargli notare che “lui è migliore”.

Quante volte capita, con le migliori intenzioni, di fare paragoni tra nostro figlio e i suoi coetanei? Questo, però, provoca in lui un forte stress, perché si sente in competizione, non volendo deludere i genitori. Allora cerchiamo di “riconoscere le sue capacità”, ma senza fare paragoni con altri.

  • Non mostriamo ai nostri figli di essere incapaci di accettare le critiche (costruttive) che ci vengono mosse dagli altri.

Se le respingiamo perché pretendiamo di avere sempre ragione, anche i nostri figli lo faranno, convincendosi di essere sempre nel giusto. Meglio invece mostrare loro di saper cogliere l’opportunità di una buona critica per cambiare e migliorarci.

  • Vantarci di nostro figlio e giustificarlo sempre.

Possiamo essere orgogliosi di lui, ma non per questo prendere sempre le sue difese.
Se ha sbagliato, ha sbagliato: giustificare i suoi comportamenti scorretti per farlo sentire sempre “il migliore” non è educativo.
Dall’altro lato… OK, ha sbagliato: non è il figlio perfetto che credevamo d’avere, ma non c’è nulla di male se di tanto in tanto commette degli errori. L’importante è che impari da essi.

  • Quando siamo con lui, criticare gli altri bambini.

Eh, sì, ci sono genitori che fanno pessimi commenti sul compagno di scuola meno dotato, meno intelligente, meno studioso, meno ben vestito del proprio e gli muovono critiche, lo deridono, lo sminuiscono con lo scopo di sottolineare che è inferiore al proprio figlio.
In questo modo trasmettono al figlio una superiorità che in realtà non avrà mai.

Attenzione, allora, genitori! Autostima sì, narcisismo no!

La convivenza con figli adolescenti ai tempi del Covid19.

La scuola è chiusa dal 23 febbraio… Un mese ormai.

La felicità che questo virus aveva regalato inizialmente ai nostri ragazzi, che potevano godere di giornate soleggiate senza compiti né lezioni per stare tutto il giorno al parco con gli amici, ha lasciato spazio all’irritazione, al nervosismo, alla frustrazione… Persino all’ansia e allo stress.

Gli adolescenti, abituati a vivere una sorta di vita parallela a quella della loro famiglia, si ritrovano chiusi in casa, a dover seguire ore di video-lezioni in aule virtuali che, chiamate così hanno un non so che di avveniristico, ma in pratica sono piccoli o grandi spazi della loro casa in cui non si sentono davvero liberi di essere se stessi come in classe, perché i compagni non ci sono e manca l’occhiata complice, il messaggio scritto di fretta sul diario aperto, le risate in diretta e le imitazioni dei prof.

Non solo.

Manca quella vicinanza fisica che per gli adolescenti è fondamentale.

Penso alle amiche che si confidano e poi si abbracciano; agli innamorati che si tengono per mano e si baciano teneramente; ai compagni di scuola a cui si tirano i “coppini” durante l’intervallo…

E’ solo un mese, ma a molti ragazzi sembra un’eternità.
E la cosa peggiore è che non c’è una “scadenza”… Sì, insomma, come quella sulle confezioni, che non può essere posticipata. Quella sì è una certezza.
Ma di certezze non ne hanno gli adulti, figuriamoci i ragazzi che vivono tutto amplificato.
Basta un messaggio su Whatsapp mal compreso che scoppia la tragedia!
E il rischio è alto in questo senso, perché è raro trovare chi padroneggia così bene la lingua italiana da scrivere in modo inequivocabile ciò che gli passa per la testa…

E ai ragazzi ne passano davvero tanti di pensieri!

C’è chi, avendo avuto insufficienze nel primo quadrimestre, teme di non poter più rimediare;
chi aveva già fissata la data della discussione di laurea e ora non sa più quando sarà;
chi aveva un elenco di esami programmati, che ora sono stati sospesi.
Una ragazza universitaria, in un momento di sfogo, mi dice: “Sì, ho molto più tempo, ma vivo nell’incertezza e non so più cosa fare!”.

Ecco il nocciolo: l’incertezza.

I ragazzi si fanno mille domande: la scuola riprenderà? Potrò rivedere i miei amici? Potrò riabbracciare il mio ragazzo/a? Potrò riprendere ad allenarmi? Potrò andare in vacanza?…

Le risposte però mancano e non serve chiedere agli adulti, perché l’incertezza è condivisa.
Forse è la prima volta che figli e genitori sono d’accordo su qualcosa: provano le stesse emozioni di paura, di speranza, e si sforzano di trovare un senso alle loro giornate sempre più ripetitive.

Tutti in famiglia sperimentano la convivenza “h.24” e non è tutto rose e fiori come nei film.
Sì, ci sono giornate buone e altre molto meno.
Secondo i ragazzi manca del tutto la privacy…
E non importa se hanno una camera tutta per sé…
Il “nemico” è in agguato! Il genitore ascolta.
Loro lo avvertono.
E su questo non hanno proprio torto.
Quante volte gli adulti – approfittando di questa “clausura” – origliano o sbirciano attraverso la porta? Magari quando i ragazzi stanno facendo la video-lezione, per spiare la prof. che spiega, o per vedere che cosa si raccontano con gli amici nelle video-chiamate…

Molti genitori relegati in casa non vedono l’ora di tornare al lavoro fuori casa, ma questo vale anche per i ragazzi. Uno di questi mi ha detto: “Era meglio andare a scuola che vivere così!”.

… perché gli adolescenti hanno bisogno di stare “nel mondo”, di confrontarsi con gli amici, di sperimentare, di avere un ruolo…
E quello di “figlio” e basta va loro un po’ stretto.

Ecco perché talvolta sono insofferenti.

E allora come possiamo aiutarli?
Come possiamo rendere la nostra e la loro vita di “reclusi” meno pesante?

Certamente accordandoci, che non significa imporre il nostro volere di genitori, ma sederci a un tavolo e ammettere che nessuno potrà più continuare a seguire le vecchie abitudini.

Bisogna coinvolgere i ragazzi: chiedere loro cosa ne pensano, invitarli a trovare soluzioni.

Stabilire insieme, seduti a tavolino, quali nuovi orari dovremo rispettare e quali aiuti dovremo portare alla famiglia. E’ un modo per crescere in modo responsabile.

In questo momento di totale incertezza, i ragazzi hanno bisogno di “certezze”, di punti fermi: la famiglia lo è, se non è soffocante.

E allora perché non partire dalla condivisione dei propri bisogni e desideri?
Esprimerne un paio a testa e chiedere al resto della famiglia di rispettarli?
Metterli persino per iscritto… in bella mostra!

Noi adulti non dobbiamo apparire per forza positivi e sereni se non lo siamo.
Certo, è il caso di evitare sempre di scaricare sui figli preoccupazioni, insoddisfazioni, tensioni.
Ma chi l’ha detto che i figli adolescenti non siano in grado di “capire” i nostri bisogni e le nostre difficoltà? Basta esprimerli nel modo giusto: niente lagne né continui lamenti.

Solo comprendendo i bisogni dell’altro saremo genitori e figli migliori.
Perciò… usiamo questo tempo per farlo.

Scopri se sei un “genitore elicottero” e impara a rendere liberi i tuoi figli.

L’espressione inglese “genitore elicottero” indica il genitore che – come gli elicotteri –  è sempre “sopra” ai propri  figli e cerca di provvedere in ogni modo ai loro bisogni, risolvendo loro i problemi prima ancora che si manifestino.

Il termine, nato per definire quei genitori eccessivamente concentrati sui figli preadolescenti e adolescenti (che hanno cioè un’età per poter risolvere da soli i propri problemi, assumendosene tutta la responsabilità), oggi viene esteso a tutti i genitori che tendono a impedire ai propri figli di esplorare da soli, affiancandoli nel gioco o dicendo loro che cosa devono o non devono fare in ogni occasione.
Alla scuola primaria, i genitori “elicottero” potrebbero spingere i figli a scegliere di frequentare certi compagni e altri no oppure a voler seguire un certo allenatore piuttosto che un altro o ancora a preferire una maestra rispetto ad un’altra.
Questi genitori affiancano sempre i propri figli quando devono fare i compiti scolastici e li assistono per tutto il tempo, anche se i figli potrebbero fare da soli e, oltre a questo, scelgono per loro quali sport o quale strumento o quali attività devono seguire dopo la scuola.
Alla (ex) scuola media, i genitori “elicottero” interferiscono con il programma scolastico ed entrano in conflitto con gli insegnanti quando i figli ottengono voti bassi.

I comportamenti di questi genitori sono dettati da buone intenzioni, ma portano a conseguenze negative.

A tutti i genitori dispiace vedere il proprio figlio in difficoltà, ma spianargli la strada non è ciò di cui ha realmente bisogno.
Amare i propri figli non significa rendere loro più facili le sfide della vita, ma insegnare loro ad affrontarle, avendo fiducia nella loro capacità.

Essere “genitori elicottero” quindi porta con sé effetti negativi sui figli.
Vediamo quali:

    1. Scarsa autostima.
      Se un genitore sta troppo addosso ad un figlio, il messaggio che gli trasmette è che non si fida di lui e che non lo considera capace di gestire i compiti scolastici da solo.
    2. Aumento dell’ansia.
      I figli di genitori “pressanti”, autoritari, hanno maggiori probabilità di soffrire di ansia o depressione.
    3. Scarso sviluppo delle abilità pratiche.
      Se il genitore si occupa sempre delle cose che riguardano i figli (prepara loro i vestiti, il pranzo, sparecchia, rifà loro il letto, mette in ordine la loro stanza…), essi non svilupperanno mai le capacità di cui hanno bisogno per svolgere questi compiti da soli.
    4. Incapacità di gestire lo stress.
      Se i genitori sono sempre pronti ad aiutare i figli, questi non svilupperanno le abilità di cui hanno bisogno per affrontare la perdita, il fallimento o la delusione. Questo costituirà un problema quando dovranno affrontare lo stress della vita da soli.
  • Se vi siete resi conto di essere “genitori elicottero”, ecco cosa fare per “liberare” i vostri figli:

– Lasciateli esplorare.
I più piccoli, ad esempio, hanno bisogno di imparare a camminare ed esplorare da soli (calciare o lanciare una palla, correre in uno spazio aperto). Incoraggiateli a salire le scale, a esplorare piccoli spazi, senza perderli di vista. Se sarete entusiasti di offrire loro la libertà, svilupperanno fiducia in se stessi piuttosto che avere paura del mondo che li circonda.

– Lasciate che facciano delle scelte.
Dai diciotto mesi ai tre anni, fate in modo che i vostri figli possano scegliere a quale gioco giocare. Mettete loro a disposizione i vari giocattoli e rendeteli facilmente accessibili, così che possano prenderli. Non dite loro quali attività potrebbero essere divertenti, in modo che i vostri figli possano capire da soli cosa desiderano fare.

– Evitate di sostituirvi a loro.
Permettete ai vostri figli di provare la delusione, di affrontare le difficoltà o addirittura di fallire in un compito. Lasciate che si mettano alla prova, altrimenti non sapranno mai di esserne capaci o meno. Cercate di capire quando è il momento di allontanarvi, in modo che i vostri figli possano diventare autonomi.

– Ricordatevi della loro forza.
E’ importante tenere traccia dei piccoli successi ottenuti dai vostri figli.
Scriveteli su un foglio e usateli per incoraggiare i vostri figli, quando si sentiranno insicuri. Serviranno a far loro notare che sono stati capaci di farcela da soli. Allo stesso tempo, questo elenco vi sarà utile per ricordare a voi stessi quando sarà il momento di fare marcia indietro e lasciare che i vostri figli risolvano i problemi da soli.

La lettera che ogni figlia vorrebbe ricevere.

Figlia mia,
ricordati sempre di essere te stessa.

Non cadere nell’errore di “voler piacere” a tutti i costi, perché è sciocco, inutile e finiresti poi col non piacere più a te stessa, cioè a colei che ti amerà sempre più di chiunque altro.

So che arriverà il momento in cui sentirai il bisogno di compiacermi, magari meritando sempre bei voti a scuola oppure vincendo una gara sportiva, oppure comportandoti sempre come una “brava bambina”.

A chiunque farebbe piacere avere una figlia così, ma non a me se ciò significasse saperti angosciata al pensiero di non riuscire a ottenere un bel voto.
Non voglio poi che dall’esito di una gara dipenda la tua autostima e non voglio che tu sia la bimba perfetta né quella “sempre più brava, più gentile e più educata” di tutti gli altri.

Sii sempre te stessa, anche se dovrai lottare con i denti per non farti travolgere da quello che desiderano gli altri per te.

Impara ad ascoltare il tuo cuore: senti come batte?

Quella sei tu : sono le tue emozioni, sono i tuoi desideri…
Sono quello che conta di più, se vuoi vivere felice.
… ascoltandoti, infatti, scoprirai che per te esistono cose davvero importanti  e altre assolutamente inutili.

Sai, sarò felice se ti vedrò studiare con la passione di chi vuole imparare cose nuove e non per uno sciocco voto dato da un’insegnante che magari non ha capito niente di te.

Perché sai che cosa conta davvero nella vita?

L’impegno, la costanza, l’energia e l’entusiasmo… che guidano le nostre azioni verso i nostri obiettivi.
Se riuscirai a credere in questo, ti sentirai sempre speciale e nessuno riuscirà a farti sentire debole, fragile, incapace di camminare da sola.

Non permettere a nessuno di dirti come sei!

Lungo il tuo cammino, vedrai, ti capiterà certamente di incappare in quelli che sputano sentenze e si permetteranno di venirti a dire che “sei tagliata per…, ma limitata in…”, che “sei un tipo lunatico oppure sempre allegro” , che “sei una frana in…”, che “si vede che non ti interessa questo o quest’altro”, che “hai bisogno di un uomo così e così”.

Lasciali tutti parlare, figlia mia.
E più ne incontrerai e più dovrai trovare un angolo di pace in cui rifugiarti per guardarti dentro e per poter gridare al mondo: “Io sono io!”.

Ascolta le mie parole…
Ricorda che ti starò sempre vicina e che ti amerò per sempre.

                                                                                                                            La tua Mamma