Come faccio a gestire l’aggressività di mio figlio?

Hai un figlio aggressivo? E’ adolescente?

Ti senti impotente di fronte a lui e provi paura, preoccupazione, persino rabbia?

Sai già che “essere arrabbiati” è tipico dell’adolescenza, ma forse non sai ancora che

è un modo inconscio che tuo figlio ha per separarsi e differenziarsi da te.

Significa che devi sopportare e giustificare tutti i suoi attacchi? No di certo.

Tuttavia è importante che tu ti chieda: “Ma che cosa mi sta comunicando la sua aggressività?”.

E soprattutto è necessario che tu abbia ben chiaro come comportarti.

Ecco alcune dritte che possono esserti utili:

1) Non litigare con tuo figlio, perché non aspetta altro che un’occasione per scontrarsi con te:

osservalo, ascoltalo per capire qual è la vera causa della sua rabbia (magari nasce dal fatto che tu continui ad elogiare il fratello perché è bravo a scuola o nello sport)

2) Dagli il buon esempio,
cioè dimostragli di saper discutere senza alzare la voce né ferirlo;

3) Non provocarlo, ovvero non innescare altra aggressività, ma contienilo:

se tuo figlio è arrabbiato, rimanda qualsiasi confronto o discussione a quando sarete entrambi più calmi.

4) Valuta bene quali “no” dirgli, perché se sono troppi e continui, sono dannosi e alimentano gli scontri. Meglio poche regole, definite bene e facilmente comprensibili per lui.

5) Dimostragli di apprezzare i suoi comportamenti positivi, anche se si tratta di piccole cose (come rimettere in ordine la sua stanza).

6) Non essere permaloso quando tuo figlio critica tutto ciò che fai:

lo sta facendo apposta per provocarti, ma inconsciamente sta cercando di separarsi da te, per non essere più il bimbo che ha bisogno del genitore.
Perciò… non fare il suo gioco, vai oltre: cerca di capire che cosa sta succedendo.

Affiancare nella crescita un figlio adolescente è difficile, ma adottare alcune buone pratiche può renderlo meno pesante.

Aspetto le tue riflessioni e… il tuo LIKE. J

Ragazzi, l’arte può aiutarvi a scoprire chi siete!

Vi è mai capitato di ammirare un quadro esposto in un museo ed emozionarvi così tanto da sentir scendere le lacrime sul vostro viso?
A me è successo di fronte ad un dipinto del Caravaggio in una chiesa a Malta.

Oggi, perciò, parliamo di “arte” e dell’importanza di coltivarla.

Possiamo essere creativi, dotati nel disegno e nella pittura o semplicemente degli appassionati frequentatori di pinacoteche:

la cosa importante è lasciarci catturare dalla bellezza di ciò che guardiamo.

Forse non lo sapete, ma la nostra vita può essere migliore se coltiviamo l’arte.

E’ noto, infatti, che l’arte migliori il nostro umore, perché godere di un capolavoro ci trasmette emozioni positive (fino alle lacrime di gioia!).
Sviluppa inoltre la capacità di cogliere i dettagli, libera le nostre potenzialità e ci spinge a coltivare le nostre capacità creative e… se proprio volete saperlo,

l’arte ci aiuta a essere meno ansiosi, a risollevarci il morale quando siamo giù,

perché essere in grado di cogliere la bellezza di un quadro, di una scultura ci fa sentire appagati della vita.

Perciò, ragazzi, non studiate l’arte “solo” perché è una materia di scuola: fatelo per rendere migliore la vostra vita.

Sì, facile da dire!, ma come facciamo ad appassionarci?

Partiamo da un “gioco”!
Dobbiamo scoprire un dipinto che – secondo noi – ci assomigli o ci rappresenti.
Poi troviamone un altro che raffiguri “come” vorremmo essere.
Infine uno che mostri “come” crediamo che gli altri ci vedano.

E’ ovvio che stiamo parlando di dipinti raffiguranti volti, corpi, persone che NON devono per forza essere simili a noi.

Dobbiamo sceglierli per ciò che “sentiamo” di essere.

Poi incolliamo le immagini su un quaderno con scritto: “Come mi vedo”, “Come vorrei vedermi” e “Come mi vedono gli altri”.

Non ci crederete, ma resterete stupiti dalle vostre scelte!

Poi documentiamoci sui pittori di quei quadri: vita, carattere, avventure, gusti.
Chissà se quegli artisti hanno qualcosa in comune con noi!

Scoprirlo sarà una vera sfida!

 

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” (30/10/2018).

Colloqui scolastici e… madri “fuse” coi figli.

Avete presente i colloqui scolastici?
Sono quei momenti durante i quali un genitore si trova faccia a faccia con chi si occupa di suo figlio e al contempo ha il dovere di “valutarlo” per comportamento e rendimento.
Niente di peggio, vero?

Le madri sono quelle a cui tocca quasi sempre questa incombenza: chi ci va in preda all’ansia, chi preoccupata, chi arresa… Poche sono quelle veramente serene.

Come docente e Coach, immagino sempre quali possano essere gli stati d’animo di una madre e cerco di cogliere il suo legame profondo col figlio, attraverso il linguaggio e le espressioni verbali e non verbali che usa.

Ci sono le mamme ansiose, con le mani sudate, che parlano poco oppure molto velocemente: chiedono rassicurazioni e consigli.
Poi ci sono quelle preoccupate, che arrivano con la fronte già corrucciata e tengono spesso le mani chiuse a pugno l’una dentro l’altra: si rilassano solo dopo aver sentito che va tutto bene.

Ce n’è un “tipo”, però, molto particolare: quella che appare sicura di sé, che tende il braccio per salutare e ha una stretta di mano forte. Quella che sembra avere tutte le risposte e quindi non accetta alcuna osservazione sul figlio.
Se il giudizio sul comportamento non è come si aspetta lei,… apriti cielo!

Tutte le volte che mi capita di incontrare donne del genere, penso a quale grosso problema abbiano con il loro essere madri e a quanta inconsapevolezza si trascineranno per tutta la vita, danneggiando pure il figlio.

Sono mamme che continuano a vivere in uno stato di “fusione” col figlio.
E la cosa è grave, perché la fusione esiste, ma per brevissimo tempo dopo la nascita. Non oltre.

Se, come madre, non riesco a vedere e a vivere mio figlio come un essere separato da me

allora, tutto ciò che gli altri diranno di lui, sarà una critica che mi colpirà sul piano personale, come fosse mossa a me direttamente.

Questo non ha nulla a che vedere col sentirsi dispiaciute per il proprio figlio.

Queste madri, sentendosi un tutt’uno col figlio, si sentono giudicate in prima persona e quindi in dovere di difendersi:

“Guardi che io sono una brava madre, eh! Non una di quelle che abbandona a se stesso il proprio figlio!”. Frase tipica, pronunciata spesso all’inizio del colloquio, senza che il docente abbia detto nulla a riguardo.

Ma questo figlio è un essere a sé, con emozioni, sentimenti e comportamenti diversi dalla madre, ed è sano che sia così.

Una madre, quindi, dovrebbe fare il grande passo di accettare questa inevitabile separazione e di accoglierla come un momento di crescita per sé e per il figlio.

Significa fare “il proprio dovere di mamma”, senza pretendere che tutto vada come si vuole o in modo perfetto.

Significa mettersi in discussione, con lo scopo di migliorarsi e non di “fustigarsi”.

Vuol dire accettare se stesse, ma senza cadere nel “come sono brava, non potrei fare di meglio”, perché

lo scopo è porsi delle domande e diventare consapevoli di sé, in modo da vivere più serenamente la propria genitorialità.

Ragazzi, ecco come non “procrastinare”!

La parola su cui lavorare questa settimana è “procrastinare”.
Forse è un verbo che usate poco, ma certo lo conoscete: significa “rimandare ad un altro giorno qualcosa, senza stabilire mai quando agire”.

Avete presente quando dovete iniziare un nuovo compito, un nuovo progetto o prendere una decisione difficile e… vi sentite come bloccati?

Non capite come mai, ma non riuscite a partire perché il vostro cervello si rifiuta di concentrarsi su quello.

Il fatto è che iniziare qualcosa di impegnativo assorbe tante energie mentali e pensare a cosa dobbiamo fare, a come dobbiamo svolgere quel compito – magari poco gradito – ci prosciuga la mente.
Ecco perché rimandiamo!

In realtà, a farci restare in attesa è l’ansia, che ci spinge a fare qualsiasi altra cosa pur di rimandare ciò che dobbiamo.
E’ come se il nostro cervello si difendesse dalla fatica.

Avete presente quando, al posto di rimettere in ordine la vostra stanza, spendete il tempo inventandovi altri lavori?
In fondo non è che non state facendo nulla, vero?
Non ve ne state con le mani in mano! Però… non fate nemmeno ciò che vi è stato chiesto.

Praticamente state procrastinando.

Se vi siete resi conto di essere così e volete migliorare, un modo c’è!

Scegliete di svolgere l’attività che avete stabilito oppure non fate assolutamente nulla.

Facciamo un esempio.
Se dovete studiare o svolgere un lavoro che vi ha affidato la mamma, avete due possibilità: 1) lo portate a termine, 2) non potete fare nient’altro: niente chat, niente play, niente tv, niente pc.
Non è una punizione né un ricatto, ma almeno

il vostro cervello capirà che se non svolgete ciò che dovete, si dovrà mettere in stand by.
E dato che il cervello odia annoiarsi… sarà più disponibile a concentrarsi su ciò che gli chiedete di fare!

Questa strategia funziona davvero, perché riduce le vostre scelte e quindi vi spinge all’azione.

Vedrete che, pur di non stare immobili, vi metterete a svolgere i compiti!
Non ci credete?
Provate!

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” (2/10/2018).

Sii l’adulto che avresti voluto accanto quando eri piccolo.

Quante volte non ci riconosciamo o non sappiamo più chi vogliamo essere?

La Vita cambia le persone e capita di ritrovarsi adulti e di non piacersi o di non sapere che tipo di genitore essere.

La naturale tendenza dovrebbe essere quella di guardarsi dentro e “migliorarsi”, ma ci sono molte persone che in realtà, nel tempo, fanno emergere solo il peggio di sé o perché sono scontente e si sentono vittime del sistema o perché sono state deluse da qualcuno o da se stesse. Altre si sono incattivite per i torti subiti e altre ancora si sono indurite per non soffrire più.

Ecco, allora, che una frase come “Sii l’adulto che avresti voluto accanto quando eri piccolo” può fare da guida.

Si tratta di ripensare seriamente a “che cosa ci è davvero mancato” durante la nostra infanzia e adolescenza.

E credo che a nessuno verrebbero in mente per prima cosa gli abiti griffati e gli oggetti costosi…
Anche se, magari, “quel motorino” che desideravamo tanto e non abbiamo mai avuto… ci brucia un po’, perché era un modo per essere indipendenti e sentirci grandi.
E probabilmente non penseremmo neanche alla totale libertà, senza regole né controlli da parte di un adulto che ci concedesse di tutto.

Se ci riflettete bene, vi accorgerete che i pensieri si spostano altrove.

Di che adulto avremmo avuto bisogno?

Di uno che ci regalasse cose che si comprano coi soldi oppure di uno che ci regalasse il suo tempo, che giocasse insieme a noi, che ci incoraggiasse a fare il nostro meglio senza criticarci né giudicarci?

Magari ci sarebbe piaciuto avere a fianco un adulto solare, capace di farci ridere al momento giusto, di farci sentire amati e apprezzati per ciò che eravamo…

Un adulto capace di gentilezza, seppure fermo sull’educazione e le regole
Un adulto in grado di ascoltarci in silenzio, ma anche di dialogare con noi

Un adulto che, al momento giusto, ci abbracciasse e ci dicesse: “Sono fiero del ragazzo che sei”

Ecco, ciascuno di noi sa che tipo di adulto avrebbe voluto accanto e questa “immagine” può davvero aiutarci a disegnare il ritratto di chi vogliamo essere nei confronti degli altri e in particolare dei figli (indipendentemente da ciò che abbiamo passato nella vita).

Un modo semplice per toglierci tutti i dubbi e renderci più determinati e perseveranti nel diventare “l’adulto” di cui avremmo avuto bisogno.
Un adulto che venga ricordato per ciò che di buono è riuscito a trasmettere e a condividere, per la gioia che è riuscito a suscitare e per la serenità che è stato capace di regalare.

Ragazzi, volete ottenere buoni risultati scolastici? Basta organizzarvi!

Ragazzi, avete presente quella brutta sensazione di arrivare all’ora di cena e rendervi conto di non aver terminato i compiti?
Che ansia!

Senza contare la frustrazione di aver rinunciato ad uscire con gli amici per avere più tempo per lo studio e notare che il tempo non vi è comunque bastato.

Le distrazioni sono frequenti, si sa, ma se invece avete spento il cellulare, la tv, il pc?
Come mai non siete riusciti a finire tutto?

Già mi sembra di sentirle le lamentele dei vostri genitori: “Possibile che ti riduci sempre all’ultimo per studiare?”.

Se pensate di avere qualcosa che non va, sappiate che spesso è solo un problema di “organizzazione”.

Già, ma come si fa a fare tutto?

Vi do qualche suggerimento da mettere subito in pratica per poter vedere i primi cambiamenti:

1) create una tabella della settimana (a mano o al computer);

2) su ciascun giorno, scrivete quali saranno i vostri impegni (es. dentista, studio, allenamenti sportivi);

3) a fianco di ciascuna voce, inserite per quanto tempo vi terranno impegnati (es. Allenamenti di calcio: 2 ore, dalle h.18 alle h.20);

4) sotto la voce “scuola”, scrivete le materie e ciò che dovete studiare per il giorno seguente (es. Inglese: studio da pag.20 a 26) e aggiungete anche i compiti scritti (es. Matematica: esercizi a pag. 38 n° 3,5, 9).

Avrete subito chiaro il quadro dei vostri impegni e vi renderete conto se sarà una giornata impegnativa o leggera.

Stabilite dunque un tempo per ciascuna attività: potete scegliere voi se partire dai compiti scritti o dallo studio.
Di certo evitate di studiare la sera tardi, quando siete stanchi.

Ogni 25 minuti di studio, fate 5 minuti di pausa per sgranchirvi le gambe o bere qualcosa.

Poi riprendete, seguendo il programma.

Se sul lunedì vedete pochi impegni, portatevi avanti: lo scopo è bilanciare la settimana e arrivare a scuola sereni per non aver lasciato nulla in sospeso.

Fatelo tutte le settimane e poi fatemi sapere come va!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei ragazzi de La Provincia di Como (4/12/2019).

Volete aiutare un figlio in crisi? Affidatevi ad un bravo professionista.

In questo periodo sto prestando particolare attenzione alle frasi che ascolto a proposito di “chiedere aiuto a professionisti” che lavorano in ambito psicologico, educativo e formativo, come psicologi, pedagogisti, Life e Teen Coach, Counselor.

Vi riporto alcune affermazioni che ho ascoltato di recente:
“Questi ragazzi! Altro che andare dallo psicologo! Mandali a lavorare! E poi vedi che gli passa tutto!” (un commercialista);
“Sono una brava madre e mio figlio non ha niente che non va… E’ solo che la scuola non gli piace!” (la madre di un adolescente);
“Se mia figlia è in crisi, la aiuto io ad uscirne! Le parlo, le sto vicina e tutto si supera!” (la madre di una quattordicenne).

Forse un fondo di verità c’è in tutte queste esclamazioni, ma… siamo proprio così sicuri di saper intervenire bene su tutto?

Io parto sempre da un principio di umiltà: se il problema che mi trovo di fronte non rientra nelle mie competenze professionali, mi affido agli addetti ai lavori.

Non mi sento “incapace” se non riesco a trovare le soluzioni a tutti i problemi che possono affliggere i miei familiari in alcuni momenti dalla vita…
Certo!, vorrei avere la bacchetta magica per vederli sempre felici, ma non è possibile e quindi mi affido a “chi ha studiato per risolvere quel problema”.

Non so come mai ci sia ancora tutta questa reticenza nel chiedere aiuto a figure che si occupano di “farci stare bene” a livello psicologico.

E come mai siamo subito pronti a consigliare e passare il nominativo e l’indirizzo di un bravo ginecologo (?!), mentre tacciamo quello di un Life Coach, di uno psicologo, di un pedagogista.

Dov’è il problema?

Io credo risieda nella nostra paura di essere etichettati e di apparire fragili, inadeguati, diversi.
Oppure nel desiderio di tenere “segreta” quella marcia in più conquistata grazie al sostegno di quel tipo di professionista.

Curioso, vero?
Mi viene in mente anche un altro esempio: se mio figlio ha un pessimo rendimento scolastico, non mi faccio problemi a dire che lo mando a ripetizioni da più professori. Anzi!, agli occhi degli altri sento di essere un genitore attento e presente, che ha a cuore il futuro del figlio.
Ma se mio figlio dovesse andare da un teen coach per apprendere tecniche e strategie utili alla sua vita (e quindi anche alla scuola)… beh, questo è meglio non farlo sapere.

E perché mai?

Come ho detto chiaramente durante l’intervista fatta a Radio Lombardia (e visibile nel mio sito), i genitori “illuminati” – come li chiamo io – sono quelli che capiscono subito di non avere gli strumenti per aiutare un figlio ad uscire da un periodo di crisi ed è per questo che si rivolgono ad un professionista. Amano così tanto il figlio da non voler perdere tempo. Mettono da parte l’orgoglio e usano l’intelligenza.

Eh, sì, perché quando un figlio studia, si impegna, ma durante le verifiche va in crisi e non capisce più niente… si risolve ben poco con la comprensione, i discorsi incoraggianti e gli abbracci consolatori (anche se fanno sempre piacere!).

Perciò non sentitevi a disagio nel riconoscere che avete bisogno di un appoggio: anche vostro figlio ne ha bisogno.
Cercate il professionista più adatto a risolvere il problema di vostro figlio e ricordate: nessun professionista potrà mai sostituirsi a voi genitori.
Semmai vi affiancherà e vi chiederà collaborazione perché vostro figlio possa tornare ad essere sereno e a guardare al futuro con fiducia e motivazione.

Ragazzi, giocate con le parole e il vostro lessico si arricchirà!

Questa settimana la sfida è legata al “linguaggio”.

Come ben sapete, avere un lessico ricco, conoscere il significato di molte parole e saperle usare al momento giusto porta parecchi vantaggi sia a scuola che nella vita.

A scuola ci permette di “guadagnare” buoni voti.
Pensate ai temi, dove saper usare sinonimi permette di ribadire concetti senza farli sembrare ripetizioni.
Oppure nelle interrogazioni, dove è possibile esprimersi senza giri di parole.

E nella vita?
Beh, chi non viene intimorito o colpito nell’ascoltare persone che si esprimono con parole inusuali?
Ci sono persino professioni che hanno nel linguaggio la loro forza.
Pensate ai politici, ad esempio, che usano “paroloni” (che la maggior parte della gente non capisce).

Insomma, spendere tempo per imparare sempre più parole ci fa guadagnare punti, perché ci permette di comunicare meglio con tutte le persone, sia quelle istruite sia quelle meno.

E se le parole non ci vengono in mente? Se sono il nostro punto debole?

Alcuni ragazzi a scuola pensano di essere poco intelligenti, perché sono “scarsi” quando devono esprimersi.
Tranquilli!
Questo tipo di intelligenza (eh, già, ne abbiamo tante di intelligenze!) si può allenare.

Sì, vabbè, adesso ci dirai che dobbiamo leggere!

Niente affatto!

Vi propongo invece un gioco che faccio spesso con i miei studenti.
Potete provarci anche voi, in famiglia o con gli amici. E magari trasformare il gioco in una “sfida”.

Il gioco per sviluppare la fluidità verbale dura UN MINUTO (perciò calcolate il tempo con un timer).

Il responsabile del “tempo” vi chiederà di scrivere sul vostro foglio tutte le parole che vi vengono in mente e che iniziano con una lettera dell’alfabeto che lui deciderà.

Vi faccio un esempio: Parole che iniziano con la “S”!

Al termine del minuto, farà il calcolo di quante parole corrette avete scritto.
Non valgono i nomi e cognomi di persone né i nomi di città.
Escludete anche i diminutivi (es. casa, casetta).

Poi passate ad un’altra lettera e così via.

Vedrete, sarà divertente!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato il 23/10/2018 su La Provincia di Como (pagina dei ragazzi).

Bambini a tavola: 7 regole per una buona educazione.

Stare a tavola è un piacere non solo per il palato, ma anche per la compagnia: chiacchierare, ridere, sentirsi sereni.
Niente di meglio che condividere questo piacere con la famiglia e con gli amici, dentro e fuori casa.

Ma cosa accade se a tavola si devono gestire dei bambini?

Se non ci si vuole rovinare il bel momento, con bimbi che fanno capricci, urlano e non stanno fermi, è bene seguire sin dalla più tenera età dei piccoli accorgimenti.

Vediamo quali:

1) Stabilire delle regole da seguire quotidianamente a casa, per poi rispettarle anche fuori, imitando mamma e papà, che daranno l’esempio per primi.

2) A tavola insegnare ai figli a dire: “Grazie e per favore”.

3) Trasmettere quelle regole di base, che non sono mai passate di moda, neanche per i bambini:
– masticare a bocca chiusa,
– non parlare mentre si sta mangiando,
– stare seduti in posizione composta e non infastidire i commensali muovendosi continuamente,
– non tenere un tono di voce troppo alto,
– non giocare col cibo né lanciarlo per scherzo.

4) Far usare le posate e il tovagliolo ai propri figli:
non è un’impresa impossibile, anche se non è semplice, perciò bisogna portare pazienza e aiutarli quando sono piccoli. All’inizio si sporcheranno un po’, ma poi impareranno a impugnare e ad usare correttamente le posate. E’ tutta questione di pratica, ma è necessaria se si desidera renderli autonomi.
Bisogna spiegare loro come utilizzare il tovagliolo e in che modo riporre le posate sul piatto una volta terminato il pasto.
Questa “fatica” iniziale, però, vi permetterà di poter mangiare tranquilli quando sarete al ristorante o a casa di amici.
L’importante è applicare queste regole quotidianamente e non pretendere che i figli le applichino soltanto fuori casa.

5) A tavola si sta tutti insieme:
si inizia a mangiare quando si è tutti seduti a tavola e ci si può alzare chiedendo il permesso ai genitori oppure quando tutti hanno finito il pasto.
Quando si è al ristorante, si sta seduti a tavola e non è permesso alzarsi, gironzolare, correre tra i tavoli o infastidire gli altri clienti.
Insegniamo loro che possono prendere parte alla conversazione, ma poi facciamo in modo di adattare il nostro argomento alla loro età.
Se sono molto piccoli è possibile intrattenerli con qualche attività coinvolgente, ad esempio colorare, in modo da poter prolungare la permanenza a tavola senza farli annoiare e innervosire, ma anche senza disturbare i commensali.
I videogiochi sono da bandire a tavola, perché disturbano le altre persone.

6) Avere una voce moderata e tenere toni pacati a tavola:
il tono pacato, moderato deve essere adottato in primis dai genitori, che devono evitare di urlare in pubblico per rimproverare o richiamare i figli.
Meglio adottare un tono calmo e fermo, se non si vogliono generare reazioni eccessive nel bambino, come capricci e isterismi.

7) Ricordatevi che il buon senso vince su tutto:
i genitori devono saper valutare di volta in volta se è il caso o meno di coinvolgere i figli in determinate situazioni.
Il buon senso e il rispetto per gli altri devono guidare questa scelta.
Portare un bimbo ad un pranzo di nozze e pretendere che stia seduto ore, magari in attesa di portate che tardano ad arrivare, non ha senso.
Perciò, se non si hanno alternative, meglio adottare accorgimenti particolari per rendere gradevole a tutti il tempo da trascorrere insieme.

Le indicazioni di massima, che avete letto, costituiscono la base dell’educazione, perciò non sono né esagerate né fuori luogo ai giorni nostri.

Mi viene giusto in mente un papà che, tanti anni fa, quando aveva i figli piccoli, aveva contestato la moglie per le regole di galateo che cercava di trasmettere ai figli: “Cos’è?! Mica devono mangiare con la regina Elisabetta!”.
Salvo poi rendersi conto, una volta diventati maggiorenni, che quell’educazione aveva permesso loro di sentirsi a proprio agio in tutti gli ambienti, regalando loro fiducia in se stessi e una buona autostima.

Saper stare a tavola, quindi, non è inutile: “serve” nella vita e ci rende migliori.