Scopri se sei un “genitore elicottero” e impara a rendere liberi i tuoi figli.

L’espressione inglese “genitore elicottero” indica il genitore che – come gli elicotteri –  è sempre “sopra” ai propri  figli e cerca di provvedere in ogni modo ai loro bisogni, risolvendo loro i problemi prima ancora che si manifestino.

Il termine, nato per definire quei genitori eccessivamente concentrati sui figli preadolescenti e adolescenti (che hanno cioè un’età per poter risolvere da soli i propri problemi, assumendosene tutta la responsabilità), oggi viene esteso a tutti i genitori che tendono a impedire ai propri figli di esplorare da soli, affiancandoli nel gioco o dicendo loro che cosa devono o non devono fare in ogni occasione.
Alla scuola primaria, i genitori “elicottero” potrebbero spingere i figli a scegliere di frequentare certi compagni e altri no oppure a voler seguire un certo allenatore piuttosto che un altro o ancora a preferire una maestra rispetto ad un’altra.
Questi genitori affiancano sempre i propri figli quando devono fare i compiti scolastici e li assistono per tutto il tempo, anche se i figli potrebbero fare da soli e, oltre a questo, scelgono per loro quali sport o quale strumento o quali attività devono seguire dopo la scuola.
Alla (ex) scuola media, i genitori “elicottero” interferiscono con il programma scolastico ed entrano in conflitto con gli insegnanti quando i figli ottengono voti bassi.

I comportamenti di questi genitori sono dettati da buone intenzioni, ma portano a conseguenze negative.

A tutti i genitori dispiace vedere il proprio figlio in difficoltà, ma spianargli la strada non è ciò di cui ha realmente bisogno.
Amare i propri figli non significa rendere loro più facili le sfide della vita, ma insegnare loro ad affrontarle, avendo fiducia nella loro capacità.

Essere “genitori elicottero” quindi porta con sé effetti negativi sui figli.
Vediamo quali:

    1. Scarsa autostima.
      Se un genitore sta troppo addosso ad un figlio, il messaggio che gli trasmette è che non si fida di lui e che non lo considera capace di gestire i compiti scolastici da solo.
    2. Aumento dell’ansia.
      I figli di genitori “pressanti”, autoritari, hanno maggiori probabilità di soffrire di ansia o depressione.
    3. Scarso sviluppo delle abilità pratiche.
      Se il genitore si occupa sempre delle cose che riguardano i figli (prepara loro i vestiti, il pranzo, sparecchia, rifà loro il letto, mette in ordine la loro stanza…), essi non svilupperanno mai le capacità di cui hanno bisogno per svolgere questi compiti da soli.
    4. Incapacità di gestire lo stress.
      Se i genitori sono sempre pronti ad aiutare i figli, questi non svilupperanno le abilità di cui hanno bisogno per affrontare la perdita, il fallimento o la delusione. Questo costituirà un problema quando dovranno affrontare lo stress della vita da soli.
  • Se vi siete resi conto di essere “genitori elicottero”, ecco cosa fare per “liberare” i vostri figli:

– Lasciateli esplorare.
I più piccoli, ad esempio, hanno bisogno di imparare a camminare ed esplorare da soli (calciare o lanciare una palla, correre in uno spazio aperto). Incoraggiateli a salire le scale, a esplorare piccoli spazi, senza perderli di vista. Se sarete entusiasti di offrire loro la libertà, svilupperanno fiducia in se stessi piuttosto che avere paura del mondo che li circonda.

– Lasciate che facciano delle scelte.
Dai diciotto mesi ai tre anni, fate in modo che i vostri figli possano scegliere a quale gioco giocare. Mettete loro a disposizione i vari giocattoli e rendeteli facilmente accessibili, così che possano prenderli. Non dite loro quali attività potrebbero essere divertenti, in modo che i vostri figli possano capire da soli cosa desiderano fare.

– Evitate di sostituirvi a loro.
Permettete ai vostri figli di provare la delusione, di affrontare le difficoltà o addirittura di fallire in un compito. Lasciate che si mettano alla prova, altrimenti non sapranno mai di esserne capaci o meno. Cercate di capire quando è il momento di allontanarvi, in modo che i vostri figli possano diventare autonomi.

– Ricordatevi della loro forza.
E’ importante tenere traccia dei piccoli successi ottenuti dai vostri figli.
Scriveteli su un foglio e usateli per incoraggiare i vostri figli, quando si sentiranno insicuri. Serviranno a far loro notare che sono stati capaci di farcela da soli. Allo stesso tempo, questo elenco vi sarà utile per ricordare a voi stessi quando sarà il momento di fare marcia indietro e lasciare che i vostri figli risolvano i problemi da soli.

La lettera che ogni figlia vorrebbe ricevere.

Figlia mia,
ricordati sempre di essere te stessa.

Non cadere nell’errore di “voler piacere” a tutti i costi, perché è sciocco, inutile e finiresti poi col non piacere più a te stessa, cioè a colei che ti amerà sempre più di chiunque altro.

So che arriverà il momento in cui sentirai il bisogno di compiacermi, magari meritando sempre bei voti a scuola oppure vincendo una gara sportiva, oppure comportandoti sempre come una “brava bambina”.

A chiunque farebbe piacere avere una figlia così, ma non a me se ciò significasse saperti angosciata al pensiero di non riuscire a ottenere un bel voto.
Non voglio poi che dall’esito di una gara dipenda la tua autostima e non voglio che tu sia la bimba perfetta né quella “sempre più brava, più gentile e più educata” di tutti gli altri.

Sii sempre te stessa, anche se dovrai lottare con i denti per non farti travolgere da quello che desiderano gli altri per te.

Impara ad ascoltare il tuo cuore: senti come batte?

Quella sei tu : sono le tue emozioni, sono i tuoi desideri…
Sono quello che conta di più, se vuoi vivere felice.
… ascoltandoti, infatti, scoprirai che per te esistono cose davvero importanti  e altre assolutamente inutili.

Sai, sarò felice se ti vedrò studiare con la passione di chi vuole imparare cose nuove e non per uno sciocco voto dato da un’insegnante che magari non ha capito niente di te.

Perché sai che cosa conta davvero nella vita?

L’impegno, la costanza, l’energia e l’entusiasmo… che guidano le nostre azioni verso i nostri obiettivi.
Se riuscirai a credere in questo, ti sentirai sempre speciale e nessuno riuscirà a farti sentire debole, fragile, incapace di camminare da sola.

Non permettere a nessuno di dirti come sei!

Lungo il tuo cammino, vedrai, ti capiterà certamente di incappare in quelli che sputano sentenze e si permetteranno di venirti a dire che “sei tagliata per…, ma limitata in…”, che “sei un tipo lunatico oppure sempre allegro” , che “sei una frana in…”, che “si vede che non ti interessa questo o quest’altro”, che “hai bisogno di un uomo così e così”.

Lasciali tutti parlare, figlia mia.
E più ne incontrerai e più dovrai trovare un angolo di pace in cui rifugiarti per guardarti dentro e per poter gridare al mondo: “Io sono io!”.

Ascolta le mie parole…
Ricorda che ti starò sempre vicina e che ti amerò per sempre.

                                                                                                                            La tua Mamma

Se vuoi “orientarti” bene, inizia in seconda media.

Gli studenti all’ultimo anno della “ex scuola media” hanno solo tre mesi di tempo (da settembre a dicembre) per decidere a quale scuola superiore iscriversi.

E’ una scelta importante, perché frequentare una scuola non adatta significa poi ritrovarsi demotivati, fare fatica a studiare e quindi avere un basso rendimento, che porta col tempo a sentirsi inadeguati, con la conseguenza di una scarsa autostima nelle proprie capacità.

Tutto questo può portare i ragazzi a non voler più cogliere nuove sfide né a mettersi alla prova.
In poche parole, a non volersi porre obiettivi, per paura di fallire o di non essere in grado di raggiungerli.

Ecco perché orientarsi bene è fondamentale.

Il percorso di Orientamento a scuola, fatto in classe con i docenti, è utile sia per capire le differenze tra i vari tipi di scuola superiore (liceo, istituto Tecnico, professionale, ecc.) sia per conoscere le caratteristiche specifiche di ciascuno (quali materie si studiano, per quante ore, quali sono gli indirizzi e gli sbocchi professionali).
Altrettanto utili, a questo scopo, sono le proposte dei singoli istituti: partecipare al loro Open Day permette di visitarli e di fare delle domande di approfondimento.
Di solito gli studenti trovano interessanti anche i Saloni dell’Orientamento, dove possono raccogliere informazioni e ricevere brochure da consultare con calma a casa insieme alla famiglia.

Nonostante questo, molti ragazzi sbagliano la scelta e si ritrovano bocciati al termine del primo anno.
Come mai?

I ragazzi non si conoscono.
Scelgono spesso in base alla “bravura” a scuola (sono bravo in matematica, quindi liceo scientifico), ma i buoni voti non predicono per forza i risultati futuri, che dipendono da tante variabili (i docenti, il gruppo classe, il contesto).

I voti perciò possono dare indicazioni fuorvianti, poiché non parlano dei desideri, dei sogni, delle passioni e degli hobby dei ragazzi.

Pensate al draghetto Grisù che sputava fuoco, ma voleva fare il pompiere e salvare la gente.
Quello era il suo sogno!

Perciò indaghiamo su che cosa li rende felici e, se non lo sanno, recuperiamo l’informazione da ciò che amavano fare da piccoli.

Quale attività fa perdere loro il senso del tempo e dello spazio?
Dovranno trascorrere cinque anni a scuola: come li vogliono passare?

Non focalizziamoli sul trovare lavoro in futuro, perché il mercato del lavoro è così mutevole che è impossibile prevedere quali saranno gli sbocchi professionali da qui a 5 anni.

Perciò meglio tenere in considerazione le loro potenzialità e aspirazioni, ma anche i loro tempi di concentrazione e il valore che attribuiscono allo studio.

Evitiamo le scelte fatte solo per vicinanza a casa, per seguire il gruppo di amici, per far felici i genitori, seguendo magari le loro orme, oppure per liberarci da una materia in cui facciamo un po’ fatica: le difficoltà fanno parte della vita ed è meglio imparare ad affrontarle, scoprendo come.

Studiare è faticoso, ma scegliere la scuola giusta può renderlo piacevole.

 

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato in un inserto sul Mondo della Scuola de “IL CITTADINO MB”  del 18 gennaio 2020.

Se vuoi figli felici, non metterli sotto una campana di vetro.

Ci sono aspetti dei figli che sfuggono anche ai genitori più attenti e che finiscono per preoccuparli.
Parliamo di ragazzi che ci appaiono ansiosi, inquieti, che sembrano non riuscire a sopportare le tristezze e i dolori della vita… Sì, insomma, ragazzi che talvolta definiamo “disorientati”.

Queste caratteristiche (se prive di cause oggettive) ci danno un’informazione preziosa, a cui magari non abbiamo mai pensato, ovvero che

i ragazzi abbiano un concetto di felicità legato solo ai “piaceri immediati”,

quelli del presente, di ciò che va consumato al momento, come il pomeriggio alla Spa, la serata in discoteca, la cena al “All you can it”, i week-end fatti per “staccare la spina” che regalano un benessere molto limitato.

Un piacere che dura il tempo del momento, ma che poi non li fa stare bene, ma li costringe ad una continua ricerca di felicità.

Ed ecco, allora, che anche il rientro dalle vacanze diventa un dramma.
E quando i genitori vedono i figli infelici, nonostante ciò che di bello hanno vissuto, iniziano a pensare che qualcosa in loro non vada.

Il sospetto viene poi confermato dalle affermazioni degli altri: “Eh, ma come mai non è felice? Con la vacanza che gli avete fatto fare…”.

E così i genitori attenti cominciano ad indagare: prima con semplici domande “Ma che cos’hai?”, “E’ successo qualcosa?” e, trovandosi di fronte un figlio/a infelice che non sa nemmeno spiegare il perché, temono il peggio e corrono ai ripari con visite, esami e poi cure.

Il risultato però non cambia: il figlio resta infelice.

E allora l’aggettivo che comincia a definirlo più spesso è “poverino”! Già, perché evidentemente le cure non funzionano e non è certo colpa sua se è così abbattuto e in ansia.
“Forse è depresso”…

Vedete, con questo atteggiamento però noi li facciamo sentire delle vittime e quindi togliamo loro qualsiasi responsabilità nell’affrontare ciò che crea loro disagio.

Sono giù di morale, tristi, infelici: tutte emozioni negative da cui vogliono fuggire.
Desiderano essere felici e stanno male se devono convivere con ciò che li mette a disagio.

Ma noi sappiamo bene che la Vita è piena di avversità più o meno pesanti da affrontare.

I ragazzi oggi cercano una vita priva di problemi e spesso i genitori fanno in modo di “regalargliela”.
Solo che questo stile educativo indebolisce i ragazzi, perché non li allena ad affrontare le avversità.

Se amiamo i nostri figli, dobbiamo lasciare che affrontino le difficoltà.
Solo così li aiuteremo a crescere, a far emergere le loro risorse.

Quindi, se vogliamo il bene dei nostri figli, non spianiamo loro la strada.

E sapete perché così facciamo loro un regalo prezioso?

  • Diamo loro la possibilità di migliorare la stima che hanno di sé, perché potranno scoprire le loro capacità nascoste.
  • Le avversità (come un lutto, un divorzio, un licenziamento, una malattia in famiglia) diventeranno un filtro nelle loro relazioni sociali. Pian piano impareranno a separare gli amici del sabato sera da quelli veri, a cui si affezioneranno ancora di più, visto che li avranno avuti vicini nel momento del bisogno.
  • Miglioreranno il senso della vita, perché – affrontando problemi anche seri – cambieranno le loro priorità.

Perciò… non sostituiamoci ai nostri figli, non mettiamoli sotto una campana di vetro: non trasformiamoli in esseri fragili e indifesi.

Troveranno la vera felicità solo quando saranno capaci di superare le difficoltà e non avranno paura di fare dei progetti e di realizzarli.

Vuoi farti notare? Usa meglio lo smartphone!

Oggi la gente ama farsi notare per come si veste, per ciò che possiede, per le persone che frequenta, per i followers che ha sui social.

Uno degli elementi che vengono meno considerati per farsi notare è l’educazione.

Parliamo pure in generale, ma fateci caso: è proprio così.
Eppure “essere educati” significa adottare comportamenti positivi, che rendono migliori noi, ma anche i nostri figli e quindi l’intera società.

Sono forse un’illusa? Non credo proprio.

Migliorare il mondo in cui viviamo è possibile: dipende da ciascuno di noi.

E allora perché non partire dall’uso dello smartphone?
Quell’oggetto che ormai è parte integrante di noi, quasi una sorta di appendice?

Vediamo cosa possiamo fare concretamente per dimostrare agli altri che “essere educati” fa bene a tutti:

  • Quando siamo in mezzo agli altri, evitiamo di “urlare” al cellulare. Basta usare un tono di voce che non disturbi e che non obblighi gli altri ad ascoltare i fatti nostri.
  • Quando siamo in pubblico, non mettiamoci a discutere, litigare, raccontare fatti privati facendo nomi e cognomi. Le persone hanno già i propri problemi e non è il caso che si sorbiscano anche i nostri.
  • A tavola non teniamo il cellulare sul tavolo (vicino al tovagliolo). Il pasto è il momento di guardarsi in faccia e di scambiare qualche parola, perciò niente tablet né cellulari.

Sì, vabbè Coach, ma come facciamo a farlo rispettare ai figli?

Vi suggerisco un modo semplice ed efficace: puntate un timer da cucina su quanto tempo prevedete che durerà il pranzo o la cena e, finché non suonerà, il cellulare resterà in un’altra stanza o in una cesta apposita. 😉

  • Al ristorante o a casa di amici, mettiamo in vibrazione il cellulare ed evitiamo di far “suonare” le notifiche: in questo modo dedicheremo tutta la nostra attenzione agli amici, che lo apprezzeranno.
  • Nei luoghi culturali (teatro, cinema, mostre e musei), ma anche nelle chiese o nelle aule universitarie e scolastiche, mettiamo la modalità “silenzioso” e teniamola per tutto il tempo necessario. Sarà per noi un vero stacco dalla quotidianità e dimostreremo rispetto per chi lavora o visita questi luoghi.
  • Usiamo il vivavoce solo se siamo da soli, magari in macchina. Anche per ovvie questioni di privacy.
  • In linea generale, a proposito di lavoro, a meno che la professione della persona a cui telefoniamo non preveda la reperibilità h.24, cerchiamo di chiamare tra le 9 e le 18 e non al di fuori. E se proprio non possiamo farne a meno, chiediamole: “Può parlare in questo momento?” e aggiungere “Oppure vuole che la richiami?”.
  • Con amici, familiari e parenti, invece, vale sempre la buona norma di non telefonare durante i pasti (ad esempio h.12.00-13.45 e h.19.30-21), ma nemmeno dopo le h.22, perché potrebbero allarmarsi.

Se ci pensate sono piccoli accorgimenti che però fanno la differenza.
A noi non costano nulla, ma ci fanno guadagnare in “immagine” oltre che in sostanza.

Che ne dite?

“Vabbé, a parte il fatto che si fa le canne, è un ragazzo normale!”.

Così mi ha detto un ventenne parlando di un suo nuovo amico.
Ma è davvero “normale” che un giovane fumi hashish o marijuana?
Perché dobbiamo porci la domanda, se vogliamo assumerci un ruolo educativo.
E non aiuta, come genitore, dirsi: “No, ma mio figlio non lo fa” oppure “Mia figlia non frequenterebbe mai certe compagnie”.

Perciò provate a chiedere ai vostri figli se per loro è normale che un coetaneo fumi abitualmente marijuana. Probabilmente vi risponderanno di sì, anche se loro non lo fanno.

Riflettiamoci insieme, ora, tralasciando il consumo che ne fanno gli adulti e la discussione sugli effetti e sulle conseguenze.

Parliamo di adolescenti, di ragazzi delle scuole superiori e degli universitari.
Ragazzi quindi che studiano, che hanno a disposizione tutte le informazioni sugli “spinelli”.
Ragazzi che non lavorano, ma hanno a disposizione dei soldi che vengono dalla famiglia.

Giovani che escono dallo stereotipo del “tossico” anni ’80, che si vedeva vagare in giro per Milano “strafatto”, barcollante, col braccio pieno di buchi e gli occhi semichiusi, destinato a morirci di eroina.

Per molti dei nostri giovani, un ragazzo che fuma “erba” è normale quanto uno che non lo fa.

Ma secondo voi… è davvero così?

Mi sono presa la briga di documentarmi e ho letto parecchie testimonianze di adolescenti (12-20 anni) che sono soliti “farsi le canne”.

Le motivazioni sono per lo più legate al desiderio di sentirsi bene con se stessi e col gruppo a cui si è scelto di appartenere; al sentirsi in pace, rilassati e tranquilli, riuscendo così ad alleviare lo stress della scuola e degli impegni.

Un modo veloce per “staccare un attimo la spina e svuotare la testa da tutti i problemi, liberandoti da qualunque preoccupazione ti stia assillando”.

Qualcuno lo fa per solitudine, qualcun altro per sentirsi “potente”, allegro, felice e “vivere in modo migliore la vita”, guardandola da un’altra prospettiva, quella più piacevole.

Ma ci sono molti altri che fumano spinelli perché ciò li aiuta a pensare, a riflettere:

“Ti apre la mente e ti porta a grandiosi ragionamenti ai quali durante la vita quotidiana non saresti mai arrivato”.

Sanno che non risolverà i loro problemi, ma “aiuta a guardarli tutti insieme da lontano”.

Alcuni di loro esprimono il bisogno di voler scappare dai problemi (anche solo per un’ora) e attribuiscono alle “canne” il potere di far loro provare sensazioni che non riuscirebbero mai a raggiungere “normalmente”.

Ricorrono spesso nelle loro risposte parole come “normale” o “normalmente”.

E sapete qual è un sinonimo di “normale”?
Il dizionario riporta “sano”.
Mi piace accostare questi due aggettivi: “normale” e “sano”.
Come a dire: un ragazzo “normale” è sano.

E dunque vi sembra “sano” (e quindi normale) un ragazzo che ricorre alla cannabis per vivere meglio?

Questi ragazzi fumano per “smettere di pensare”, ma la mente fa parte di noi, come il cuore, i polmoni. Non possiamo fermarla, ma solo confonderla, anestetizzarla, ma così facendo non risolviamo certo i nostri problemi.

Fumano “per poter guardare i loro problemi tutti insieme da lontano”.
Ed è questo il problema: che i problemi non vanno guardati tutti insieme, perché il rischio è quello di esserne schiacciati.
Vanno guardati uno ad uno, mai contemporaneamente. E bisogna occuparsi di ciascuno di essi in modo separato, dandosi del tempo, fino a risolverlo del tutto.

E’ dura affrontare la quotidianità, con la sua noiosa routine da una parte e i mille disagi (di salute, di relazione, di lavoro, di studio) dall’altra. Ma non farlo in modo cosciente e consapevole toglie la possibilità di trovare una soluzione.

Bisogna fermarsi (non fermare la mente) e chiedersi:
“Che cosa mi annoia?”
“Che cosa mi piace fare?”
“Quale attività mi fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio?”.

Tutti abbiamo bisogno di “staccare la spina” ogni tanto, ma dobbiamo far capire ai giovani che possiamo farlo in mille modi appassionanti, senza ridurci a una “canna”.

I ragazzi intervistati facevano spesso riferimento al gruppo, che in effetti è molto importante in quella fascia d’età.
Ma possiamo farli riflettere sul fatto che la parola “gruppo” si può legare a splendide esperienze, non per forza allo sballo.

Possono essere felici praticando uno sport “di gruppo” o suonando in una band o coltivando interessi comuni, come la passione per le auto o le moto.

Ci sono mille modi per evitare di iniziare a fumare le “canne” e in questo possiamo davvero guidarli.

La prima cosa è far loro capire che “non è normale” farlo (anche se lo fanno in molti).
La normalità va in direzione della salute, della realizzazione, della felicità e tutto questo non si può trovare in uno spinello.

Nessuno deve mancarvi di rispetto!

Oggi vi parlo di “rispetto” e di “farsi rispettare”, perché in un solo giorno mi è capitato di assistere a due episodi che mi hanno lasciata senza parole.

Nel primo episodio ero in un negozio in attesa del mio turno. La coppia di mezza età, che il commesso stava servendo, si stava confrontando sull’acquisto. Ad un certo punto il marito alza la voce e, con tono autoritario, strilla alla moglie: “Stai zitta, va’! Che hai già parlato troppo!”.

Nel secondo episodio ero al parco. Una sedicenne cammina col suo cane al guinzaglio e parla al telefono in modo seccato: “Mammaaa, ti ho detto di no!” esclama. E poi urla: “Porca p….!, Caxxo! Ti ho detto di no!”.

Questi due casi dimostrano che:
1. L’uomo e la sedicenne hanno mancato di rispetto.
2. La moglie e la madre hanno permesso che mancassero loro di rispetto.

Magari è capitato anche a voi che qualcuno vi mancasse di rispetto. E come avete reagito?

Siete rimasti in silenzio, pensando: “Non è possibile che stia capitando proprio a me!” oppure avete immediatamente reagito?

Alcuni non reagiscono perché non hanno ben chiaro il concetto di rispetto.

Sappiate, però, che qualunque sia il vostro ruolo (di genitori, coniugi, lavoratori), il rispetto è qualcosa che dovete pretendere. E’ anche una questione di dignità.

Significa essere riconosciuti, considerati per ciò che siete e per il valore che avete.

Vuol dire non permettere a nessuno di offendervi con le parole, ma anche con il linguaggio non verbale fatto di espressioni facciali, alzate di spalle, smorfie, sbuffi…

Se desiderate il rispetto, dovete per primi rispettarvi, cioè amarvi, stimarvi, sentirvi importanti.
Al contrario, se pensate di essere scontati, sostituibili, inadeguati e manchevoli, allora gli altri non vi rispetteranno mai, perché i primi a mancarvi di rispetto sarete proprio voi.

Chi vi rispetta vi tratta con educazione.

Se, invece, si comporta con voi in modo offensivo e indelicato, vuol dire che gli avete “permesso” di oltrepassare il limite.

Perciò, il primo gesto importante da compiere verso voi stessi è “definire il vostro limite”, cioè il confine che gli altri non devono superare.

Una cosa utile, che mi sento di consigliarvi, è fermarvi a riflettere e poi scrivere su un foglio quali sono i “confini” che gli altri dovranno rispettare per non mancarvi di rispetto (ad esempio: “non permetterò a nessuno di dirmi parolacce, nemmeno per scherzo”). E poi aggiungete cosa risponderete nel caso qualcuno oltrepassasse i vostri confini (es. “risponderò: oh, ma come ti permetti!” oppure, simpaticamente “oh!, ma cosa sono queste confidenze?!”, ecc.).

Se a mancarvi di rispetto sono i figli, significa che non avete fatto loro comprendere che gli adulti siete voi e che loro sono tenuti ad osservare le vostre indicazioni/regole. Perciò, ristabilite i ruoli (in un prossimo articolo vi spiegherò come).

Se a mancarvi di rispetto è il partner, parlate chiaramente: fate presente che ha oltrepassato il limite. Non c’è bisogno di litigare, ma dovete avere ben chiaro che cosa non volete accettare e comunicarlo con calma e fermezza.

Prossimamente approfondiremo il tema del “rispetto”. Intanto vi lascio con questa frase:

“Se non si è convinti del proprio valore, non ci si farà mai rispettare: senza autostima non si va lontani. Dignità e autostima vanno di pari passo.”    Paolo Crepet

Vuoi migliorarti? Trova un “mentore”!

Capita nella vita di avere bisogno di qualcuno che ci sappia dare buoni consigli e che sia saggio e fidato.
Poco importa che sia donna o uomo, l’importante è che abbia tanta esperienza in ciò che desideriamo imparare o fare.

Questa persona è il “mentore”: qualcuno capace di insegnare, ispirare e guidare gli altri con la sua passione per ciò che fa e perché nel suo lavoro è coerente con i suoi valori.
E’ un esempio proprio grazie alla sua Vita, perché ciò che trasmette è coerente con ciò che è e con ciò che vive.

Bambini o adulti, abbiamo tutti bisogno di trovare un mentore se vogliamo diventare “migliori” in qualcosa.
Qualcuno capace di rispettare il proprio ruolo (di educatore, allenatore, insegnante, coach, esperto, genitore…), continuando ad amare ciò che fa.
Un ruolo non facile, ma certamente gratificante.
Pensate, ad esempio, ad un genitore che diventi “mentore” dei propri figli.

Magari state pensando di poter essere voi dei buoni mentori!
Perché no?!

Ma per esserlo, bisogna avere certe caratteristiche, altrimenti non si è credibili. Altrimenti si è semplicemente persone che dispensano banali consigli e chi vuole migliorare se stesso non ha certo bisogno di perdere tempo con frasi scontate.

Il “mentore” è speciale, perché insegna tutto ciò che sui libri non c’è, perché si basa sull’esperienza, sulla pratica che ha fatto dopo aver studiato.

Oh, certo che possiamo imparare di tutto leggendo libri, ma se vogliamo imparare “come” si fa bene qualcosa, dobbiamo trovare qualcuno bravo a farlo e disponibile a mostrarcelo.
Credo che l’esempio della nonna che insegna a cucinare una squisita torta calzi a pennello!

Teoria ed eccellente pratica: ecco le qualità del bravo mentore!

Vuoi diventare tu un mentore?
Ti piace l’idea di “trasmettere” tutto ciò che sai e che sei (a un figlio o magari ad un collega più giovane)?

Allora sappi che per diventare un bravo mentore ed essere “efficace” devi:
Essere umile, ovvero condividere ciò che sai, senza calarlo dall’alto.
Dare consigli e indicazioni chiare, cioè semplificare le informazioni per farle comprendere meglio.
Mirare le indicazioni a seconda di chi hai davanti, perché non siamo tutti uguali.
Andare oltre a come ti appare chi hai davanti.
– Essere capace di cogliere l’essenziale, cioè di lavorare sui dettagli, su ciò che conta davvero, buttando via tutto il resto.
Avere una mente flessibile.
– Aver sperimentato sulla tua pelle come fare a superare le difficoltà.
Avere sempre voglia di imparare qualcosa di nuovo ed essere capace di metterti in discussione per migliorare te stesso.

E se desideri in particolare modo essere il “mentore” dei tuoi figli:
– Concentra la tua attenzione nel trovare strade diverse per dare a tuo figlio la possibilità di “crescere” sempre più.
Sforzati di capire “come” stimolare tuo figlio.
Aiuta i tuoi figli a capire “dove” vogliono andare e “cosa” vogliono fare.
Non arrenderti, se vedi che tuo figlio ha difficoltà o sembra non essere motivato.
Assumiti la responsabilità dei suoi risultati, nel senso di essergli a fianco e aiutarlo, sostenerlo e guidarlo ogni giorno. Il genitore sei tu: tocca a te farlo crescere e migliorare.

Se invece non desideri essere tu un mentore, ma vuoi trovarne uno bravo… non ti resta che cercarlo: le caratteristiche che deve avere ora le conosci.

Caro genitore, dipende da te come ti tratteranno i tuoi figli quando sarai anziano.

Non ho mai conosciuto i nonni, quelli che ti strapazzano di baci e ti abbracciano così forte da toglierti il fiato. Sono morti prima che nascessi, lasciando sole le nonne. Però ho avuto la fortuna di vivere i primi anni della mia vita insieme a una nonna speciale e a una bisnonna birichina.

E’ vero, la nonna era malata di quel male che non risparmia quasi nessuno, ed io avevo solo cinque anni “e mezzo” quando è mancata, ma i ricordi che mi ha lasciato sono ancora vivissimi e a volte mi sembra di sentire ancora la sua voce, con quella “erre” così diversa da tutti gli altri e il suo sguardo così dolce.

Ero (e continuo ad essere) innamorata di mia nonna, perché mi faceva sentire importante…

Bastava il suo sguardo, una sua occhiata complice e io sentivo tutto il suo amore.

Eh, i nonni! Quale dono prezioso del cielo!

In casa mia, lei e la bisnonna erano rispettate e coccolate: il valore della loro saggezza era inestimabile.

Oggi purtroppo non è più così. Almeno nella maggior parte dei casi.

Non vanno più di moda il rispetto, l’ammirazione e l’attenzione verso gli anziani.

Quante volte assisto a scene in cui i nipoti maltrattano a parole e a gesti i nonni!
Quante risposte maleducate, espresse con parolacce e tono di voce sprezzante!
Magari in presenza dei genitori, che nemmeno intervengono!

Eh, già! I nonni… Chi li rispetta più?!

Ho visto nipoti sbuffare in faccia ai nonni a cui erano affidati. E ho visto i nonni spiazzati, incapaci di reagire.
Un dono del cielo buttato via!
Che tristezza, se penso a quanto avrei voluto continuare a crescere con la mia nonna accanto…

Il fatto è che oggi ben pochi genitori insegnano “il rispetto per l’anziano” ai figli e così vanno perse tutte quelle buone azioni che invece – se compiute – fanno stare bene sia chi le riceve sia chi le fa.

E allora perché non rivederle insieme, qui, ora?

Caro genitore, sei al timone del tuo vascello! Sei il capitano della nave!

Dipende da te, da una tua scelta educativa, se domani – quando sarai anziano – tuo figlio ti tratterà con rispetto, stima e tuo nipote si rivolgerà a te ammirando la tua saggezza e il tuo valore.

Perciò non perdere tempo prezioso!

Che tuo figlio sia piccolo oppure già grande, “allenalo” al rispetto per chi è anziano.

Fagli comprendere il valore della vecchiaia e farai un regalo a te stesso, ma anche a tutta l’umanità.

Parti da qui e sii d’esempio:

1. Dare del “lei” agli anziani che non si conoscono.
Non è difficile per i bambini imparare a farlo. Certo, è faticoso per noi adulti dover insistere e correggerli, ma ti assicuro che a 8 anni ci riescono perfettamente. Io l’ho fatto e ha funzionato.

2. Offrire il proprio aiuto.
I nonni non chiedono nulla, ma non significa che non abbiano bisogno.
– Offrirsi di portare al posto loro dei pesi, come i sacchetti della spesa o le confezioni di acqua, può solo far piacere.
Prenderli sotto braccio, quando devono attraversare la strada o scendere le scale, è un gesto d’affetto, ma è anche un valido sostegno per loro che così si sentono più sicuri.

3. Cedere il posto a sedere.
Che sia in chiesa, in un ufficio, sul treno o sull’autobus, chiedere ad un anziano se vuole il nostro posto a sedere e alzarci per cederglielo, resta sempre un bel gesto che ci distingue dal resto della gente. In fondo, stare in piedi quando si è giovani, non è una gran fatica.

4. Rivolgersi ai nonni/anziani con educazione.
Significa:
– Capire che sono “grandi” e non bambini.
– Evitare toni aggressivi, arroganti, saccenti.
– Evitare le frasi e gli atteggiamenti di compatimento (se non capiscono qualcosa non vuol dire che sono “deficienti”).
– Non sbuffare loro in faccia né fare “spallucce”.
– Censurare frasi del tipo: “Ma sei sordo?!”, “Non hai capito niente!”, “Non sei capace!”, perché a nessuno di noi, tantomeno a dei bambini/nipoti, piacerebbe sentirsi giudicare a quel modo.

5. Rispettare il loro riposo.
Vuol dire non disturbarli se e quando hanno bisogno di fare un pisolino. Perciò non gridare, non svegliarli, evitare di fare giochi rumorosi vicino a loro.

6. Essere pazienti.
Lo so, a volte non è facile, ma dobbiamo far capire ai bambini che anche loro, quando saranno anziani, avranno bisogno di più tempo per ricordare le cose o comprenderne di nuove. Bastano un bel respiro e un sorriso. In fondo, quante volte dobbiamo ripetere le cose a loro, ai bambini?

7. Evitare di evidenziare i loro problemi legati all’età.
Far notare ad un nonno che cammina troppo lentamente, che non ci sente, che sta perdendo i capelli o dirgli che fa ridere con la dentiera o che va troppo spesso a fare pipì non lo aiuta a stare meglio. E’ già un disagio per lui… Perciò, perché infierire?

8. Far loro dei complimenti.
Basta davvero poco! Insegniamo ai figli a “valorizzare” i nonni, facendo loro notare le qualità che hanno: “Nonno, come sei bravo a bocce!”, “Nonna, sei bravissima a fare la torta di mele!”.
Ci sono anche dei complimenti mascherati da richieste d’aiuto, che fanno sentire i nonni utili e ancora in gamba: “Nonno, tu che sei bravo a costruire le cose, mi aiuti con il compito di tecnologia? Devo usare il traforo…”, “Nonna, tu che sei la migliore, mi insegneresti a cucinare la torta di mele?”.

9. Non fissare gli anziani con handicap.
Di solito è la prima cosa che si insegna, quella di non guardare fisso né additare chi ha un handicap. Con gli anziani, che diventano sensibili e permalosi, è bene ricordarselo. Perciò, se un anziano cammina col girello o zoppica o ha un equilibrio precario, insegniamo a non riderne, ma a comprenderne la difficoltà.

10. Salutare per primi.
E’ importante che i figli, grandi o piccoli, sappiano che è buona regola salutare per primi gli anziani. Un sorridente “Buongiorno”, quando si incontra un anziano, non ha mai fatto male a nessuno!

11. Far visita e telefonare.
I nonni che non vivono in casa con noi e nemmeno a così breve distanza da poterci andare a piedi, di solito soffrono un po’ di questa lontananza e spesso sono loro a muoversi o a telefonare.
Perché allora non sollecitare i bambini/adolescenti a chiamare i nonni? A informarsi se stanno bene o semplicemente a salutarli?
I nipoti adolescenti hanno cellulari costosissimi e messaggiano continuamente.
Perché allora non trovare un minuto per chiamare i nonni?

Ecco, sono certa che molti di voi potrebbero suggerirne altre di “buone pratiche” e quindi, perché non scriverle tra i commenti?

Il Mondo, la cosiddetta “società”, siamo noi.
E sta a “noi” renderla migliore.
Magari partendo proprio da qui.

Con i figli… “cogli l’attimo” e non te ne pentirai!

Due settimane fa ero sul lago: leggevo un bel libro, ammirando di tanto in tanto il paesaggio.
Proprio a pochi metri da me, ad un certo punto, vedo passare una vecchia barca di legno: un uomo anziano, con la pelle abbronzata e i capelli bianchi mossi dal vento, remava stando in piedi e facendo una certa fatica.

La barca a remi procedeva lentamente: a prua, un bambino di otto-nove anni stava seduto e rilassato, contemplando il lago.

“Vieni qui, ora! Ti insegno come fare” gli dice il vecchio.
“Ma nonno, sono troppo piccolo!” si affretta a rispondere il bambino.
“Non è vero, io ho imparato alla tua età” commenta tranquillo il nonno.
“Ma perché DEVO impararlo adesso?” chiede il nipote.
“Perché io non so quanto riuscirò ancora a remare e tu devi saperlo fare” spiega l’uomo.
“Sì, nonno, ma PROPRIO ADESSO?” si lamenta il ragazzino.
“Certo! Perché GIA’ mi sento un po’ stanco…” risponde il nonno con tono affettuoso.

Volete sapere com’è andata a finire?

Ho visto il bambino mettersi ai remi, guidato dalle mani e dalle indicazioni del nonno, e remare… Remare fino a far scivolare veloce sull’acqua la barchetta.

Volete sapere che espressione aveva sul viso il bambino?

Il suo sguardo, inizialmente concentrato e serio, ha poi mostrato tutta la soddisfazione e la gioia di esserci riuscito.

Non è una storiella inventata, questa.
E’ una storia vera, di quelle che chiunque può “vedere” se interessato e incuriosito dal comportamento umano.

Sapete perché ve l’ho raccontata?
Perché… CARPE DIEM, come direbbe il bravo professore del film “L’attimo fuggente”.

Dobbiamo saper cogliere le occasioni per insegnare qualcosa ai nostri figli, nipoti, perfino al partner.

Non si tratta di “mettersi in cattedra” e impartire una lezione. E chi la ascolterebbe?!

Nelle molteplici occasioni dobbiamo saper scegliere il momento migliore, quello che si presta meglio a darci una mano a trasmettere un valore, una tradizione, un ricordo, qualcosa di pratico (come remare).

Non facciamo l’errore di rimandare… “Tanto poi c’è tempo!”.
Il tempo non c’è!
Ecco perché “carpe diem”: cogli l’attimo!

Quel nonno è stato eccezionale a cogliere l’attimo.
Se avesse rimandato al giorno dopo, le condizioni non sarebbero state le stesse. E magari il nipote non l’avrebbe assecondato.
Ma le sue parole, il tono, il significato implicito del “non sarò qui vicino a te per sempre”… hanno colpito il nipote, che ha deciso di provare.

Quel nonno ha dato una lezione a tutti noi, perché in una frase ha racchiuso un valido insegnamento:

con i bambini e coi ragazzi bisogna spesso inventarsi una “buona scusa” per far sì di essere ascoltati.
Importante è anche dare un tempo, “ora” e non “la prossima volta”.

Dobbiamo cogliere tutta la bellezza di saper coinvolgere i figli, facendoli sentire utili, persino necessari in alcuni momenti.
E loro ci seguiranno, senza protestare, perché si sentiranno importanti, valorizzati.
Come ad esempio una bimba di 5 anni che ho visto accompagnare, tenendola per mano, la nonna che si reggeva col bastone…

Quanta tenerezza, quanta disponibilità e amore in quel gesto.

Ma i bambini, i ragazzi sono così: capaci di “dare” tantissimo e imparare tantissimo.

Sta a noi “cogliere l’attimo” e domandarci:

“Quanto è importante per me trasmettere a mio figlio ciò che so, ciò che amo, ciò in cui credo?”…

e il gioco è fatto!