Ragazzi, ecco come “riempire” le vacanze!

Manca poco: la scuola sta finendo.
Tra qualche giorno inizieranno per voi ragazzi tre lunghi mesi da “riempire” come desiderate.
Eppure molti di voi sono dispiaciuti, perché non vedranno più i compagni di classe, e altri sanno già che si annoieranno a casa da soli.
La maggior parte si è già lamentata dei compiti estivi da fare.

Ma dai, ragazzi! Non avete idea di quanto siete fortunati!

Basta organizzarvi e l’estate sarà meravigliosa!

Vi do qualche spunto:

1) Se i vostri genitori lavorano e siete affidati ai nonni, coinvolgeteli nell’organizzare un pic-nic sul prato in un parco vicino a casa.

Mettetevi d’accordo con qualche amico: ciascuno porterà i suoi panini e da bere.
Basterà una coperta da mettere a terra e, se il parco è vicino, potrete andarci a piedi o in bici.
Sarà bello stare in mezzo alla natura e vi sentirete subito in vacanza!

2) Vi piace andare in bicicletta?
Una domenica, coinvolgete più genitori possibili e organizzate una biciclettata lungo un percorso ciclabile, magari facendo una pausa per pranzo in un agriturismo.

Sarà un modo piacevole e insolito per stare tutti insieme!

3) Fate i compiti in compagnia: contattate qualche compagno e invitatelo a casa vostra per svolgere i compiti delle vacanze.

Lavorate insieme per un paio d’ore e poi uscite per gustarvi un buon gelato.

4) Mancate di concentrazione nei compiti? Allora chiedete ad un compagno di venire con voi in biblioteca: starete al fresco e lavorerete in silenzio.

Al termine, via per un giro in bici o al parco.

Il vantaggio di “miscelare” compiti, amici, divertimento è che non sentirete il peso dei compiti, manterrete il legame con i compagni e potrete svagarvi insieme a loro.

E, senza rendervene conto, farete un grande regalo ai vostri genitori, perché potrete partire per le vacanze senza portarvi i compiti.
Così anche loro potranno godersi il meritato relax!

Ah, non dimenticate di portarvi un bel libro e scegliere un luogo tranquillo dove isolarvi e tuffarvi nella lettura.

Buone vacanze!  🙂

Vuoi comunicare il tuo disagio? Costruisci la frase perfetta!

Se chi si relaziona con noi è puntuale, attento e disponibile… tutto va bene: i nostri bisogni vengono ascoltati senza neanche esprimerli.
In questo caso è facile comunicare con l’altro, perché c’è perfetta armonia.

Ma cosa succede se chi deve collaborare con noi non ci ascolta?

Sicuramente ci sentiamo incompresi, arrabbiati, e viviamo un penoso malessere.
Sbraitare non serve a nulla, anzi! A volte fa più danno! E allora…

Come comunicare in modo positivo il nostro disappunto o disagio?

Come riuscire a stare calmi e a non rimuginarci sopra per il resto della giornata?
Come essere soddisfatti per aver fatto presente ciò che ci ha irritati?

Un modo pratico ed efficace c’è!

Mettiamo da parte l’impulsività e impariamo a “costruire” la frase da comunicare, mettendo insieme queste tre parti:

  • Quando tu fai così… (spiegare ciò che ci ha dato fastidio)
  • Io mi sento… (esprimere l’emozione provata)
  • Perché… (spiegare il motivo, la causa per cui ci siamo irritati)

Facciamo degli esempi:

La cena è pronta e l’avete appena servita in tavola. Chiamate vostro figlio, che è in stanza, e lui arriva con 10/15 minuti di ritardo. Al posto di fargli la solita ramanzina, siate molto fermi e brevi:

  • Quando tu arrivi in ritardo, dopo che ti ho chiamato più volte
  • io mi innervosisco
  • perché il cibo si fredda e soprattutto non mangiamo insieme nell’unico pasto che possiamo condividere.

Oppure:

La stanza di vostro figlio è terribilmente in disordine: vestiti sul letto, sulla sedia e per terra, zaino rovesciato e buttato in un angolo, libri e quaderni ovunque, scarpe spaiate in giro per la camera. Gli chiedete di riordinarla prima di sera, ma quando è l’ora di cena, vi accorgete che lui non l’ha fatto.

Al posto di iniettare i vostri occhi di sangue e attaccarlo con le peggiori frasi… respirate e limitatevi a:

  • Quando tu non riordini la tua stanza, dopo che te l’ho chiesto
  • io mi infurio e mi deprimo
  • perché mi fai sentire come una cameriera e per me è una mancanza di rispetto.

E se le scuse di vostro figlio vi sembrano poco sincere o credibili, aggiungete:

  • Quando mi rispondi così
  • mi innervosisco ancora di più
  • perché per me la sincerità è importante.

Ecco! Se strutturerete la frase in questo modo,

potrete spiegare con poche parole il vostro disagio e le vostre emozioni in modo che vengano comprese.

Non dico che sarà semplice, ma è una valida alternativa ai lunghi e inutili discorsi che poi nessuno ascolta, sia che si tratti di un figlio sia che si tratti di un collega, del partner, ecc.

Provateci e fatemi sapere!

Prova il “diario magico” per essere felice!

Ragazzi, chi di voi ha mai scritto un “diario”?

Nessuno? Forse qualche ragazza, ma solo per un po’?

Bene, oggi vi parlo di una fantastica occasione per diventare ogni giorno più felici.
Il diario sarà il “mezzo” che useremo per far crescere la nostra felicità!

Ora vi spiego.

Intanto non ha nulla a che vedere col diario segreto e servono solo 5 minuti per compilarlo ogni giorno.

Prima di dire: “No, non ce la faccio!”, sperimentatelo per 5 giorni consecutivi.
Per compilarlo non dovrete stare a pensare troppo: prendete le risposte che vi arrivano subito e scrivetele.

Ma andiamo per gradi.

I momenti della giornata in cui dovrete scrivere saranno la mattina (appena svegli) e la sera (prima di andare a dormire).

Iniziamo dal “mattino”:

1) Sul vostro diario rispondete subito a una domanda:
“Quali sono le 3 cose per cui sono grato questa mattina?”.
Pensate alle piccole cose, quelle che vi vengono in mente subito, come ad esempio: “C’è il sole! Ho dormito bene! Ho un’intera giornata da vivere!”;

2) Ora pensate a “come” desiderate trascorrere la giornata, a quali attività svolgere prima di sera.
Riflettete e poi scrivete la risposta a questa domanda:
“Quali sono le 3 attività che faranno di oggi una giornata fantastica?”.
Scegliete delle attività che vi facciano stare bene e che vi aiutino a crescere.
Iniziate, ad esempio, ad immaginare a come vi sentirete la sera, quando le avrete fatte!;

3) Ora chiudete il diario e iniziate la vostra giornata.

Alla “sera”, prendete il vostro diario e ripensate alla giornata vissuta:

1) Scrivete “quali sono state le 3 cose meravigliose che sono accadute oggi”.

Esempi: “Ho incontrato il ragazzo che mi piace!”, “Sono stato a pranzo dai nonni”…
Sforzatevi di trovare 3 cose positive!;

2) Pensate e scrivete “in che modo avreste potuto rendere migliore la giornata appena conclusa”

ad esempio, “stando meno su internet e uscendo con gli amici”.

Approfittate di queste ultime settimane di scuola e provate questo “magico” diario.

Vedrete che qualcosa cambierà!

 

  • Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla Pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” – Maggio 2018

Ecco come avere dei figli “positivi”!

Quante volte ci stupiamo di fronte a certi atteggiamenti rinunciatari e timorosi dei nostri figli?

Vorremmo vederli sicuri di sé, grintosi, aperti a cogliere le piccole o grandi sfide della vita e invece li vediamo impauriti e spaventati all’idea di un insuccesso a tal punto da non provarci nemmeno.

“Tanto lo so, mamma, la verifica andrà male come la volta scorsa!”.
“A che serve tutto questo studio? Tanto poi va male!”.

Abbiamo ascoltato parecchie frasi simili a queste e magari l’istinto ci ha spinti a replicare:
“Ma io non so dove prendi tutta questa negatività!”.

Eh! Bella osservazione!

Ma cosa possiamo fare per avere figli “positivi”?

Intanto chiariamo che “positivi” non significa guardare alla realtà in modo distorto, con gli occhiali rosa, in modo irrealistico.

Positivi significa “ottimisti”, ovvero capaci di guardare il bicchiere mezzo pieno: fiduciosi nelle proprie capacità e sulla buona riuscita delle proprie azioni, oltre che di buona compagnia e socievoli.

Praticamente, figli capaci di pensare positivo, di vedere il lato buono della vita. Figli che guardano alla vita con il desiderio di vivere esperienze positive.

No, non stiamo parlando di extraterrestri!

Avere figli così è possibile! Ma molto dipende da noi.

Se siamo di quegli adulti che si alzano al mattino cupi e già si lamentano per la giornata che avranno davanti, con tutte le rogne di cui occuparsi al lavoro e tutti gli impegni a cui far fronte, be’ non saremo un gran bell’esempio! Non è questione di fingere, ma di non alimentare la negatività.

Lamentarsi è un’abitudine e, come tale, può essere modificata.
Se siamo genitori ottimisti, anche i nostri figli lo saranno!
Il primo “lavoro”, quindi, è quello su noi stessi.

Facciamo piccoli cambiamenti:

  • Al mattino evitiamo di lamentarci perché dobbiamo andare al lavoro.
    Se è possibile, facciamo colazione insieme a loro (magari alzandoci un pochino prima del solito) e parliamo di qualcosa di positivo (come, ad esempio, di chissà quali nuove cose interessanti impareranno a scuola).
  • Alla sera, a cena, possiamo dedicarci a “il racconto della giornata”, ovvero il racconto di ciò che abbiamo vissuto, con la regola di trovare “3 cose positive” da evidenziare.
  • Prima di dormire, possiamo leggere loro una bella storia a lieto fine.
    (Ci sono libri per bambine, ad esempio, che raccolgono storie di “femmine” che sono riuscite a realizzare i propri sogni, diventando scienziate, artiste, musiciste… Tutte storie positive, quindi).

Buone pratiche che fanno bene a loro, ma anche a noi!

Un’altra cosa importante, ma che comporta una certa attenzione da parte nostra, è legata al linguaggio e ai messaggi che invia al cervello.

Dobbiamo sforzarci di far caso alle frasi che i nostri figli sono soliti usare.

Se dicono spesso: “Non ce la faccio” (es. “Mi aiuti, mamma? Non ce la faccio”), “Ma io non sono capace!”, “Non ci riesco”, “Non sono bravo a calcio” o “In matematica sono negato!”, “In scienze non capisco niente!”, dobbiamo intervenire e modificare la loro frase in:

  • “Posso farcela!”
  • “Ci provo” o “Voglio provare a …”.
  • “Sono bravo in…”.

Questo li aiuterà a essere più positivi e a non generalizzare in negativo.

Se, ad esempio, dicono che il loro disegno fa schifo, facciamo notare loro che non è così: troviamo gli elementi positivi, senza ingannarli o illuderli. Ad esempio: “Del tuo disegno mi piace molto questo elemento” (troviamo un dettaglio che apprezziamo).

E per quanto riguarda noi, stiamo attenti alle parole che diciamo loro, soprattutto quando siamo irritati:

“Sbagli sempre!”, “Possibile che non ne fai una giusta?”, “Non cambi mai!” sono generalizzazioni che fanno danni.
Meglio essere più precisi e dire:
“In questa cosa hai sbagliato, ma puoi migliorare” oppure
– “Stavolta non è andata tanto bene, proviamo in un’altra maniera!”.

In questo modo, i bambini capiscono quello che non va bene, ma il nostro intervento è costruttivo, non distruttivo.

Quindi non si tratta di dire a nostro figlio delle falsità, ma di incoraggiarlo a “parlarsi” in modo diverso, perché i messaggi che manderà al suo cervello gli permetteranno di affrontare in modo positivo le difficoltà e gli ostacoli della vita.

Allora insegniamogli a farsi i complimenti per ciò che riesce a fare:
– “Sono stato bravo”,
– “Sono capace di…”,
– “Mi voglio bene”.

Deve rendersi conto di avere le capacità per fare di tutto, ma sapere che per farlo bisogna impegnarsi, concentrarsi e mirare all’obiettivo.

Aiutiamolo allora e stimoliamolo con queste frasi, soprattutto quando dubita di sé:

  • “Ho fiducia in te e nelle tue capacità”,
  • “ti voglio bene e ce la farai”,
  • “lo sai fare come gli altri, devi aver fiducia”
  • “la vita è fatta anche di insuccessi, quindi se questa volta è andata così la prossima volta andrà meglio”,
  • “si è capaci anche se qualche volta si sbaglia”.

Per riuscire a guardare alla vita con positività, nostro figlio deve imparare a dare il giusto peso agli eventi ed è tutta questione di “allenamento”.

Guardare alla realtà senza negativizzare tutto richiede continuità: va fatto tutti i giorni.
Magari iniziando dal buon umore, che trasmette serenità, speranza e allenta le tensioni.

Cerchiamo dunque di “sorridere” più spesso: i nostri figli (e non solo) ne godranno tutti i benefici.

Non illudiamoci però: i nostri figli non diventeranno positivi “per magia” e da un giorno con l’altro!

Dobbiamo educarli noi a questo atteggiamento: noi, che siamo le persone più influenti nella loro vita.

E a chi si lamenta, dicendo: “Anche questo devo imparare?!?”, rispondo che fare il genitore è un duro lavoro da svolgere tutti i giorni e, come tutti i lavori, prevede un continuo apprendimento se si desidera migliorare.

Il potere che ne deriva è enorme: influenzare l’intero futuro dei propri figli.

 

 

 

Sei sicuro che “leggere” sia una vera noia?

Ragazzi, per “aprire la mente” ci sono tanti modi: uno di questi è leggere libri, ma già mi pare di sentire certi vostri commenti: “Che noia leggere!”, “Io odio leggere!”.

Se dite che vi annoia, significa che preferite fare altro. E che cosa ad esempio?

Di sicuro una cosa ci annoia quando non ci coinvolge

Ah, ma allora non è il “leggere” in sé, è semmai il libro che abbiamo scelto o che ci hanno obbligati a leggere che non ci piace.

Ora che ci siamo resi conto che la noia e l’odio sono rivolti al contenuto di un certo libro e non all’azione del leggere,

è fondamentale cercare il genere che ci piace.

E come si fa?

Pensate ai film che amate e alle storie che raccontano:
sono misteri da svelare? Amori che sbocciano? Storie vere? Viaggi immaginari? Parlano forse del vostro atleta o cantante preferito?

Per capire che cosa vi interessa, dovete anche conoscere voi stessi: vi piace ridere? O siete tipi riflessivi? Siete determinati? Ammirate chi si pone un obiettivo e lo raggiunge?

La scelta di un libro può anche essere legata a chi vorreste essere: un vampiro? Uno scienziato? Un esploratore? Uno scrittore famoso? Un detective?

Una volta chiarito quali sono i vostri gusti, gli argomenti che vi interessano e i personaggi che vorreste conoscere o essere, siete a buon punto.

Andate in internet o in libreria o in biblioteca e chiedete consiglio oppure leggete direttamente le trame e il gioco è fatto!

Non vi resterà che “tuffarvi” nel libro.

Solo così scoprirete che “leggere” ha solo vantaggi:

1) il libro si può portare ovunque (non è ingombrante);
2) la storia creerà delle immagini nella vostra testa che nessun altro avrà di uguali;
3) proverete emozioni;
4) potrete restare in silenzio con voi stessi e non sentirete per forza il bisogno degli altri;
5) avrete qualcosa di nuovo e speciale da raccontare e da condividere;
6) diventerete “interessanti” agli occhi degli altri;
7) la vostra mente “si aprirà” e sarà come fare un viaggio.

Provate e fatemi sapere!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato nella pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” il 10/4/2018.

Impariamo ad accettare i complimenti!

Una mia caratteristica è quella di essere molto attenta alle persone che mi circondano, siano esse amiche o semplici conoscenti.
Mi soffermo sulle espressioni del loro viso, noto se calano o aumentano di peso, se hanno un nuovo taglio di capelli, se cercano angoli di solitudine…
Insomma, qualche adolescente – in modo scherzoso e affettuoso – dice che “non mi scappa niente”.

Fatto sta che settimana scorsa mi è capitato, entrando in classe, di notare immediatamente che uno dei miei studenti avesse cambiato il suo taglio di capelli.

Me ne sono accorta anche se era in fondo alla classe e davanti a lui, in piedi, c’era una compagna molto alta.
Non ho perso tempo ed essendo molto spontanea, gli ho fatto giungere il mio apprezzamento con un sonoro: “Woww! Hai tagliato i capelli! Stai proprio bene!”.

Momento di silenzio: tutti si sono girati a guardarlo, come non si fossero accorti, nonostante fossero in classe da due ore.

Lui, che cercava di nascondere l’imbarazzo, si è affrettato a replicare: “Ma no… Li ho appena spuntati sui lati!”.

Signori, vi garantisco che il taglio era completamente diverso: capelli cortissimi e ciuffo ingellato all’indietro!

Perché vi racconto questo fatto?

Perché anche noi adulti siamo soliti minimizzare, quando ci viene rivolto un complimento: al posto di riceverlo, di apprezzarlo e ringraziare, cerchiamo di toglierci subito dall’impaccio, come fosse qualcosa di negativo da cui scappare.

Ci avete mai fatto caso?

E’ un po’ come dire: “Meglio le scarpate in faccia!”.

Che cosa ci impedisce di rispondere un sincero “Grazie!”, accompagnandolo magari con un bel sorriso spontaneo?

Secondo voi, chi vi ha mosso quel complimento, preferirebbe ricevere una risposta evasiva o un bel “grazie”, ovvero la conferma che avete gradito il suo apprezzamento?

Sono certa che sia il “grazie” ciò che vorrebbe ascoltare!

Se una sola parola ci sembra poco, per uscire dall’improvviso imbarazzo, potremmo aggiungere: “Grazie! Sei molto gentile!” o “Grazie! Mi fa piacere!” o ancora “Grazie! Wow! La mia autostima è cresciuta con questo tuo complimento!”.
Insomma, a seconda del vostro carattere, potete scegliere che cosa aggiungere…
Ma non minimizzate!

Godetevi quel momento…
Sono così pochi i complimenti e così tante le critiche distruttive!

La nostra autostima si nutre anche di commenti positivi, che magari sono conferme per noi.

Pensate a quello studente che certamente ha voluto cambiare quel taglio di capelli per apparire più carino, più cool…
Rendersi conto che qualcuno – all’infuori dei familiari – abbia apprezzato, gli dà la conferma di aver scelto bene (imbarazzo a parte!).

Perciò… sforziamoci di “accogliere” i complimenti: gioiamo nel riceverli e facciamone tesoro.

Magari, come già stanno facendo i miei studenti,

trascriviamoli su un nostro quaderno: così resteranno per sempre e ci aiuteranno a superare quei momenti in cui – di noi – vedremo solo gli aspetti negativi.

 

Ragazzi, ecco cinque mosse per imparare a… perdonare!

La parola d’ordine di questa settimana è “perdonare” e sappiamo quanto sia difficile, soprattutto se ci siamo sentiti traditi o feriti.

Il fatto è che molte volte vorremmo perdonare, ma come fare per zittire quella vocina che abbiamo dentro e che ci suggerisce di vendicarci o di odiare chi ci ha fatto male?

Non siamo mica dei santi! Loro sì che sono capaci di perdonare e di vivere sereni!

Ma… se volete “imparare” a perdonare, esiste un metodo, che non funziona velocemente come uno schiocco di dita, ma che vi può portare a vivere meglio, con più ottimismo e felicità.

Non ci credete?

Provate a seguire questi 5 passi:

1) Ricordate ciò che vi è successo, senza pensare che il colpevole sia un “mostro”.

Non arrabbiatevi di nuovo: respirate lentamente e profondamente.
Poi provate a rivedere la scena nella vostra mente: fate una descrizione “oggettiva”, senza aggiungere altro.

2) Provate a mettervi nei panni di chi vi ha fatto soffrire: immaginate di avere di fronte quella persona, mentre vi spiega perché si è comportata così male.

Quale storia vi racconterebbe?
Inventatela!

3) Ora il passo più difficile: “regalate” il vostro perdono.

Per riuscirci, pensate a qualcosa che avete combinato tempo fa e al perdono che avete ricevuto.
Smettetela di provare odio e ostilità: mettetevi al di sopra del male e della vendetta. Solo così potrete perdonare davvero.

4) E’ il momento di scrivere una lettera di perdono a chi vi ha fatto soffrire.

Mettere su carta il perdono aiuta a renderlo vero.
Se proprio non ce la fate a mandare una lettera, scrivetela sul vostro diario e conservatela.
Sarà sufficiente.

5) Sarà impossibile “cancellare” dalla vostra mente ciò che è accaduto, ma “ricordarlo” non significa “non riuscire a perdonare”. Ricorderete ciò che è successo, ma non proverete più il desiderio di vendetta, la rabbia, il dolore.

Rileggete la lettera che avete scritto: vi aiuterà a tornare sereni.

E ricordate che “perdonare” non è un atto di debolezza, ma un modo per vivere sereni!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla Pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” il 9 ottobre 2018.

Niente sensi di colpa se decidi di abbandonare a metà un libro!

Vi sarà certamente capitato da adulti di leggere un romanzo che non è stato all’altezza delle vostre aspettative!
E quanta fatica per terminarlo, vero?

Già, perché solo l’idea di lasciarlo a metà… beh, ci avrebbe fatti sentire in colpa!
Si sa che è una cosa da non fare!

Ce l’hanno inculcata sin da bambini: un libro iniziato, va terminato!

Ma chi lo dice?

Forse dovremmo riflettere sul rapporto tra costi e benefici.
Forse dovremmo domandarci perché leggiamo un libro.

Nella maggior parte dei casi è per svagarci, distrarci, evadere.
Chi ama leggere lo sa: un libro ci porta lontano e, quando lo chiudiamo, siamo di nuovo a casa.

Ma se quel libro non ci piace? Se lo troviamo noioso, poco interessante? Se ci intristisce?

I libri possono piacerci o meno anche a seconda del momento in cui li leggiamo.
Un romanzo che in un momento triste della nostra vita ci risulta illeggibile, in un momento più sereno può esserci d’aiuto per riflettere. Quindi nulla va perduto!

Ecco: gli esperti parlano di “sunk cost fallacy”, che tradotto significa “costo irrecuperabile”.

Questo è il vero motivo per il quale non abbiamo il coraggio di lasciare a metà un romanzo.

Ve lo dimostro con un esempio classico:
se andiamo al ristorante, ci sforziamo di finire il pasto anche quando siamo ormai sazi.
Se invece siamo a casa nostra, la pietanza viene messa da parte per essere consumata in un altro momento.

Il motivo è scontato: abbiamo pagato e quindi lasciare il cibo nel piatto ci sembra un vero spreco.

Con un libro succede qualcosa di simile:

oltre ad averlo acquistato, abbiamo investito pure tempo ed energie nella lettura.

E non è cosa da poco, visto che il tempo a nostra disposizione è sempre scarso e le energie che abbiamo vengono spesso consumate del tutto sul posto di lavoro.

Gli esperti, per questo, ci invitano a cambiare la prospettiva:
la vera perdita di tempo ed energie è continuare a leggere un libro che non ci appaga.

Se ci pensate bene, hanno ragione!

Dal punto di vista dello “spreco”, sforzarci di terminare un libro che troviamo pesante ha dei costi molto alti.
Molto più alti che non interromperlo, per leggerlo magari in un altro momento della nostra vita, oppure regalarlo a chi potrà apprezzarlo o donarlo a qualche biblioteca, affinché possa essere letto da chi è davvero interessato.

Perciò… basta sensi di colpa!

Se un libro proprio non ci piace… abbandoniamolo!

Ragazzi, l’arte può aiutarvi a scoprire chi siete!

Vi è mai capitato di ammirare un quadro esposto in un museo ed emozionarvi così tanto da sentir scendere le lacrime sul vostro viso?
A me è successo di fronte ad un dipinto del Caravaggio in una chiesa a Malta.

Oggi, perciò, parliamo di “arte” e dell’importanza di coltivarla.

Possiamo essere creativi, dotati nel disegno e nella pittura o semplicemente degli appassionati frequentatori di pinacoteche:

la cosa importante è lasciarci catturare dalla bellezza di ciò che guardiamo.

Forse non lo sapete, ma la nostra vita può essere migliore se coltiviamo l’arte.

E’ noto, infatti, che l’arte migliori il nostro umore, perché godere di un capolavoro ci trasmette emozioni positive (fino alle lacrime di gioia!).
Sviluppa inoltre la capacità di cogliere i dettagli, libera le nostre potenzialità e ci spinge a coltivare le nostre capacità creative e… se proprio volete saperlo,

l’arte ci aiuta a essere meno ansiosi, a risollevarci il morale quando siamo giù,

perché essere in grado di cogliere la bellezza di un quadro, di una scultura ci fa sentire appagati della vita.

Perciò, ragazzi, non studiate l’arte “solo” perché è una materia di scuola: fatelo per rendere migliore la vostra vita.

Sì, facile da dire!, ma come facciamo ad appassionarci?

Partiamo da un “gioco”!
Dobbiamo scoprire un dipinto che – secondo noi – ci assomigli o ci rappresenti.
Poi troviamone un altro che raffiguri “come” vorremmo essere.
Infine uno che mostri “come” crediamo che gli altri ci vedano.

E’ ovvio che stiamo parlando di dipinti raffiguranti volti, corpi, persone che NON devono per forza essere simili a noi.

Dobbiamo sceglierli per ciò che “sentiamo” di essere.

Poi incolliamo le immagini su un quaderno con scritto: “Come mi vedo”, “Come vorrei vedermi” e “Come mi vedono gli altri”.

Non ci crederete, ma resterete stupiti dalle vostre scelte!

Poi documentiamoci sui pittori di quei quadri: vita, carattere, avventure, gusti.
Chissà se quegli artisti hanno qualcosa in comune con noi!

Scoprirlo sarà una vera sfida!

 

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” (30/10/2018).

Coppie felici: meglio esprimere o tacere i propri sentimenti?

Paura, gioia, speranza, delusione, desiderio, solitudine…

I sentimenti che possiamo provare ogni giorno sono tanti: a volte arricchiscono la nostra vita, altre volte la rendono insopportabile.

Il fatto è che non possiamo “controllare” i sentimenti e quest’ultimi fanno ciò che vogliono: in un periodo sono estremamente intensi e in un altro vanno pian piano scomparendo.

Se noi parliamo di un certo sentimento (come la rabbia o la felicità), ne prendiamo la distanza;  se ci lasciamo travolgere, esso acquisterà forza.

E noi sappiamo bene che per far funzionare una RELAZIONE DI COPPIA, bisogna saper cogliere e ascoltare i sentimenti.

“ C’è differenza tra parlare di sentimenti ed esprimere i sentimenti ” dice un noto psicologo che se ne occupa da moltissimi anni (A. Vansteenwegen).

E ha proprio ragione, perché i sentimenti sono dei segnali molto forti in una relazione: ci dicono qual è il suo stato di salute e, se sono negativi, ci fanno capire che qualcosa va modificato.

Non dobbiamo avere “paura” di esprimere ciò che sentiamo, perché la paura non dà mai buoni consigli!

La questione , però, è: dobbiamo dirci “tutto” ciò che sentiamo oppure dobbiamo scegliere quali sentimenti esprimere e quali tacere?

In generale, è bene “non accumulare” troppi sentimenti negativi, perché poi arriva la goccia che fa traboccare il vaso e la nostra reazione sembra esagerata e fuori luogo.

Se sono irritata con il mio partner per colpa dei lavori domestici, è meglio dirglielo, ma senza arrivare alle liti. Di solito ci si accorda su “chi fa cosa” e quindi si può decidere di rivedere gli accordi.

In generale, poi, sappiamo bene che cosa rasserena il partner e che cosa lo fa imbestialire, perciò sarebbe meglio “prevenire che curare”.

Quindi, se conosco bene il mio partner e so che lo irrita tantissimo il ritardo perenne, eviterò di farlo aspettare.

Al contrario, se so che adora andare al cinema o a cena in un determinato ristorante, farò in modo di organizzare un’uscita che lo renderà felice.

Ma… è vero che bisogna dirsi tutto? Proprio tutto, per far funzionare la coppia?

Allora, reprimere i sentimenti fa male: porta persino a somatizzazioni!

Ma vivere con una persona che dà libero sfogo a tutti i suoi sentimenti… è un incubo!

Pensate a chi ha continui sbalzi d’umore, che spara a raffica frasi cattive oppure offensive solo perché “le sente in quel momento”… Viverci diventa davvero impossibile!

In questo caso, quindi, meglio non dirsi tutto ciò che proviamo, se non altro per il bene della nostra coppia.

Ma allora quando è meglio condividere i sentimenti che proviamo?

Vansteenwegen ci suggerisce di farlo quando abbiamo qualcosa che ci sta a cuore: se siamo dispiaciuti o delusi o temiamo per qualcosa.

In questi casi, non bisogna “fuggire”, ma esprimere “cosa c’è che non va”. In questo modo il sentimento che proviamo diventerà meno intenso e passerà prima.

Certo, se si tratta di un sentimento negativo di breve durata, possiamo anche non comunicarlo, perché passerà da sé. Ma se è costante, allora dobbiamo dirlo al nostro partner.

Molte persone invece nascondono i propri sentimenti negativi, li reprimono, li negano. Provano a far finta che non ci siano! Esprimerli, per loro, significherebbe mettere in pericolo la loro relazione.

Ma così facendo, si allontanano dal partner e si isolano.

Meglio trovare il momento adatto e dire al partner: “Quando ti comporti così… vado su tutte le furie!” oppure “Mi sento delusa…”, ecc.

In questo modo il partner dovrebbe rendersi conto che non si tratta di uno sfogo, ma di una cosa importante, anche se non possiamo pretendere che lui/lei “senta” ciò che sentiamo noi con la medesima intensità.

Eh, sì! Ci vuole una gran pazienza per far funzionare le cose! E anche una buona dose di autocontrollo!

E per aumentare i sentimenti positivi, bisogna creare dei… “ riti ”, come il pranzo della domenica, una passeggiata con tutta la famiglia (che unisce), un film guardato insieme, i lavori di manutenzione della casa condivisi o… un’uscita serale per stare un po’ soli.