Non permettere a nessuno di influenzare le tue scelte!

Oggi una giovane 23enne, che lavora come estetista da quando aveva 16 anni, mi ha confidato il suo desiderio di conseguire la maturità per guardare avanti e magari frequentare l’università, non tanto per fare un lavoro diverso, quanto per acculturarsi.
Mi sono brillati subito gli occhi, perché quando “sento” in una persona  il desiderio di conoscere e imparare… il cuore mi batte forte e provo una gioia che mi è impossibile descrivere a parole.
Essendo Coach e anche docente, l’ho subito tempestata di domande. Ha risposto in modo consapevole circa le difficoltà, ma quel “fuoco”, quel desiderio di farcela si avvertiva forte. Così le ho dato qualche dritta su come orientarsi per frequentare il quinto anno e poi la maturità.
Non era spaventata.
Mi ha detto con aria seria:
“Io lo so che posso farcela! Perché quando mi metto in testa una cosa… non mi ferma nessuno!”. Poi però ha aggiunto: “E’ solo che nessuno crede in me! Il mio fidanzato dice che non ha senso e mio padre mi scoraggia, forse perché ha paura che io fallisca”.

Il suo sguardo era cambiato: aveva perso luce.
Gli occhi bassi e un filo di voce: “Se almeno appoggiassero questa mia idea, che non è un capriccio! Invece…”.
Il suo era un dialogo intimo con se stessa… e chissà da quanto tempo lo era.

Credo che sia capitato a molti di trovarsi in una condizione simile.
Certamente  più a “femmine” che a maschi.
E allora parliamone!

Perché quel mancato appoggio, anche se solo psicologico e affettivo, fa male, ferisce, fa sentire poco adeguate e non c’è niente di peggio.

E’ la speranza, il desiderio, l’obiettivo da raggiungere – pure con gran fatica – che tengono alta la motivazione. Ma se si è circondati da familiari, partner e amici che non fanno altro che incutere paura e insinuare dubbi… Beh, la strada da percorrere è ancor più in salita e certamente contro vento.
Qui viene fuori di che stoffa siamo fatti!
Se cioè siamo pronti a camminare contro vento, contro tutti, oppure se siamo così deboli o così incerti da dubitare noi stessi della bellezza (e validità) del nostro progetto e quindi rinunciarci.

Per esperienza posso dire che , se quel “fuoco” ci brucia dentro e abbiamo valutato che non si tratta di un fuoco di paglia né di un salto nel vuoto, allora non dobbiamo ascoltare chi cerca di allontanarci dal nostro obiettivo.

Smettiamola di voler condividere ciò che desideriamo fare con chi – parente o meno – non solo non ci capisce, ma fa di tutto per farci rinunciare.

Parliamo di meno e agiamo di più!

Iniziamo a scrivere ciò che vogliamo  raggiungere e a pensare a tutti i passaggi necessari per ottenere più informazioni possibili.
Teniamo nota di tutto ciò che scopriamo.
Cerchiamo di approfondire più che possiamo, facendo domande alle persone competenti.

Non rinunciamo!

Quando la “luce” finalmente si accende nei nostri occhi… è il momento di essere felici!
E per esserlo, non serve l’approvazione degli altri.

Perciò… seguiamo  la nostra strada!

 

La quarantena è finita, ma il tuo umore è peggio di prima? Ecco come uscirne!

L’estate è cominciata e le immagini dei carri militari che trasportavano bare sembrano dimenticate. La gente ha ricominciato ad uscire, a frequentare gli amici, i bar, i ristoranti. Tutto sembra tornato (quasi) come prima… E lo stato d’animo positivo con cui molte persone hanno ben affrontato l’isolamento, pare tornato negativo.

Eh, sì, perché non tutti si sono sentiti depressi nel dover rimanere per forza in casa. Ci sono infatti quelli che, senza esserne consapevoli, ci hanno persino guadagnato in termini di umore e hanno usato il tempo nel modo migliore, dedicandosi a lavori e attività di cui sono capaci e che hanno regalato loro soddisfazione e benessere.

Se ci pensate non è poi tanto strano.
Faccio un esempio: se mi trovassi sola in un periodo della vita, senza partner né amici, “essere obbligata” all’isolamento e sapere che nessuno può uscire a divertirsi… beh, potrebbe persino essere consolante. Stessa cosa se conducessi una vita estremamente stressante a causa del lavoro e ogni week-end mi trovassi così stanca da non avere nemmeno l’energia per uscire e distrarmi.

I conti sono presto fatti: durante la quarantena, sui social niente più foto di aperitivi, balli scatenati, paesaggi mozzafiato e cenette romantiche. Tutti chiusi in casa a postare foto dei piatti cucinati o a condividere video divertenti per tenere alto il morale.

Ma adesso…?

Ora che la vita torna a scorrere, i social si riempiono di miliardi di selfie: chi è in spiaggia, chi brinda con gli amici, chi gira in moto con la persona amata, chi organizza grigliate e chi cena a lume di candela col partner. Insomma… tutti sembrano felici e appagati…
Tranne chi era solo durante il Covid-19 e solo si ritrova.

Queste persone, purtroppo, ripiombano nella loro quotidianità pre-Covid, ovvero a quando si sentivano abbattute, tristi, in ansia per non avere quello che hanno gli altri (amici, partner, week-end speciali).
E “credono” alla felicità che gli altri postano sui social, trascorrendo tempo a sfogliare gli album altrui e convincendosi che loro una vita così non ce l’avranno mai!

Se solo sapessero quanta finzione c’è in molte di quelle foto!

Come certe coppie ritratte in mezzo agli amici, perché da sole non saprebbero cosa dirsi… O sorrisi che mascherano una enorme tristezza, un amore finito da tempo o un senso di vuoto incolmabile…Ma chi sente di nuovo l’enorme peso della solitudine, a questo non pensa. Vede tutto il negativo che c’è nella propria vita e tutto il (falso?) positivo nella vita degli altri e… sta male.

E allora?

Allora sarebbe meglio darsi un sano obiettivo, ovvero quello di non seguire più i profili degli pseudo-amici di FB per un po’.
Magari dargli un’occhiata solo una volta o due alla settimana e spendere il tempo per dedicarsi a qualcosa che piace e che non si poteva fare prima a causa della quarantena.

Prendere consapevolezza del fatto che molte persone vivono solo “in vetrina” e che la felicità che mostrano è spesso apparente.

E se si è soli, al posto di considerarla una sfortuna o una tragedia, guardare alle mille opportunità che si possono cogliere, se si è disposti a mettersi in gioco. Perché essere liberi da legami permette di fare scelte che vanno incontro ai propri reali bisogni.

Perciò… ci si può iscrivere, ad esempio, a un gruppo che ama la fotografia e organizza uscite all’aperto o decidere di aggregarsi a gruppi che usano le ferie per fare il cammino di Santiago o la Via Francigena o ancora frequentare un corso di vela dove fare nuove amicizie.

Qualsiasi cosa va bene, purché trasmetta il piacere di vivere ai propri ritmi, seguendo i propri bisogni e desideri, senza essere frenati, ostacolati o condizionati da nessuno.

Vuoi affrontare al meglio le tue difficoltà? Allora sviluppa la pace interiore.

Cosa cerchiamo consapevolmente? Il lavoro, la salute, il denaro, il divertimento, la felicità…
Ma nel profondo siamo tutti alla ricerca della pace interiore, quella che ci permette di affrontare anche i momenti peggiori senza esitare, senza essere paralizzati dalla paura.

E cosa volere di più se non vivere senza paura (che è spesso legata ad esperienze del passato) e senza ansia (legata al pensiero del futuro)?
Per farlo, dobbiamo concentrarci sul momento presente, cercando di cogliere il meglio che possiamo.

E’ nell’oggi che possiamo trovare le occasioni, ma dobbiamo saperle vedere e volerle cogliere.
Invece siamo così focalizzati sul futuro, così lontano, così incerto, così fuori dal nostro controllo, che ci lasciamo scappare il meglio dell’oggi. Ma è solo il presente ciò che abbiamo veramente. E’ l’unica certezza.
Eppure noi ce la facciamo sfuggire.

Chi ha genitori ottantenni, è cresciuto sentendosi ripetere che “pensare solo all’oggi è da incoscienti”. Bisogna essere lungimiranti, ma ciò non vuol dire evitare di vivere il momento presente. Una cosa non esclude l’altra e, dato che al futuro pensiamo già continuamente, forse dovremmo cominciare a vivere giorno per giorno, assaporando ciò che abbiamo.

Basta pensare, pensare, pensare. Impariamo a godere di ogni piccolo momento e per farlo tiriamo il freno a mano. Sì, cioè, rallentiamo, fermiamoci di tanto in tanto.

La nostra vita è simile a un viaggio in cui ci sono delle soste, dei rallentamenti, dei momenti in cui ammiriamo il paesaggio dal finestrino e altri in cui dobbiamo accelerare. Ma comunque, viviamo istante dopo istante. E così dovremmo fare nella nostra quotidianità.

E allora iniziamo dalle piccole cose, come assaporare lentamente il cibo, ascoltare con attenzione ciò che ci viene raccontato, coltivare la gratitudine verso chi ci ha fatto del bene e dedicarci a un’attività che ci faccia provare gioia e soddisfazione.

Non servono grandi gesti per iniziare a sentirci in pace, ma di sicuro serve allenamento. Cercare la pace interiore è un lungo cammino, che non si può percorrere a tempo perso: richiede dedizione. Una dedizione però che poi regala uno stato di benessere veramente duraturo.

Perché, come dice, Lao Tzu:

Se sei depresso stai vivendo nel passato.
Se sei ansioso, stai vivendo nel futuro.
Se sei in pace, stai vivendo nel presente.

Impariamo a vivere nel “qui e ora”.

Cosa significa vivere “qui e ora”?
Cosa vuol dire “vivere nel presente” e perché mai dovremmo farlo?

Siamo tutti convinti di vivere nel presente, ma se ci pensiamo un attimo ci accorgiamo di essere o nel passato (immersi nei ricordi) o nel futuro (quando ci pre-occupiamo di qualcosa che non sappiamo nemmeno se accadrà).

E ci dà gioia?
Non credo proprio.

E allora cosa possiamo fare per vivere il momento presente?
“La prima cosa è liberarci dei pensieri che svolazzano nella nostra testa” ci dicono gli esperti.
Già, ma non è facile fermarli, buttarli.

Come possiamo pilotare i nostri pensieri?
Tutto parte dall’allenamento, esattamente come nello sport e in qualsiasi altro campo. Perciò quale momento migliore – se non questa forzata clausura – per provarci?

Quindi, a partire da oggi, restiamo “agganciati” al nostro corpo: significa porre attenzione ai segnali che ci manda, al respiro e all’energia che sentiamo. Non siamo separati dal nostro corpo, ma raramente ci prendiamo il tempo per ascoltarlo.
Fissiamo poi la nostra attenzione sui sensi: gli odori che sentiamo, i suoni che ascoltiamo, il calore del sole sulla pelle… Focalizziamoci anche sui nostri gesti e sul tono della nostra voce.

E non dimentichiamo di trovare un angolino nella nostra casa in cui isolarci – anche solo per un quarto d’ora al giorno – allo scopo di ascoltare i nostri profondi respiri, lasciando andare i pensieri, così che si disperdano da soli.

Non dico che sarà semplice e nemmeno che verrà spontaneo, ma quale nuova pratica lo è?
Basta non arrendersi, non rinunciare…
E i risultati arriveranno sotto forma di grande benessere.

Ora che mi sono laureato, che lavoro faccio? Indicazioni pratiche per scoprirlo.

Mi auguro sempre che un giovane abbia il desiderio e la tenacia di proseguire gli studi frequentando l’università fino a laurearsi. E in effetti di ex studenti laureati ne ho davvero tanti e nelle discipline più varie: da ingegneria ad archeologia, passando per medicina, farmacia, fino ad arrivare a giurisprudenza.
Un nuovo giovane laureato!
Che gioia per tutti!
Ma poi… ?

Cosa succede se la laurea magistrale conseguita può aprire più porte, ma per questo manda in confusione chi se l’è conquistata?
Sì, cioè, sapere di poterla spendere in più settori, al posto di essere un vantaggio può diventare motivo di dubbi e incertezze sul da farsi.

Quale direzione prendere?
Dove inviare il proprio curriculum?

A meno che non si abbiano le idee veramente chiare sul “cosa fare da grandi”, questa ampia scelta può diventare ingombrante. Ancora di più se si sono già fatti due anni di esperienza con contratti a termine, che poi non sono stati rinnovati.

Avere quindi una laurea quinquennale (come ad esempio in giurisprudenza) e poterla spendere in più campi, ma non sapere in quali buttarsi, fa temere di sbagliare la scelta.
E così ci si immobilizza: si resta fermi a pensare, a valutare…
E intanto il tempo passa e l’ansia aumenta.
Un’ansia che, tra l’altro, viene accresciuta dalle frasi che i familiari e i parenti si sentono di esprimere. Mi riferisco ai cosiddetti consigli del tipo “perché non fai così? Perché non mandi il tuo curriculum lì?”…

E così, al posto di essere d’aiuto come vorrebbero, queste persone generano ancora più confusione. E quando si è confusi, gli altri lo notano e allora ricominciano con i loro consigli e le loro perle di saggezza, che fanno più danno che altro.

“Ma insomma, sei laureato, sì, ma ti devi accontentare!”.
E questa frase uccide i sogni, anche quelli nascosti che non si sono portati a galla.

La situazione quindi diventa questa: sapere di aver studiato qualcosa che si ama, desiderare di lavorare in quel campo, ma essere spinti ad accettare qualcosa di completamente diverso perché “ti devi accontentare”… Che dolore!

E mentre si è combattuti tra il proprio sogno e il doversi accontentare… si resta immobili.

Insomma è un cane che si morde la coda!
Ma come uscirne?

  • Innanzitutto prendere carta e penna e annotarsi un elenco di “mestieri” che ci interessa svolgere. Metterli poi in ordine di gradimento, compiendo questa operazione “di pancia”.
  • Affiancare a ciascun “mestiere” la spiegazione più dettagliata possibile del motivo per cui ci piacerebbe fare quel lavoro.
  • Verificare se in quella professione potremmo usare al meglio le nostre potenzialità.
  • Valutare se il ruolo, che andremmo a ricoprire, “risponde” (in una scala da zero a dieci) al nostro desiderio di realizzazione.
  • Partire dal primo punto della nostra lista e indagare meglio su tutto ciò che serve per svolgere quella professione (ovviamente annotarcelo).

E dopo aver spuntato tutti questi punti, cominciare a cercare indirizzi utili a cui far giungere il nostro curriculum.

La cosa importante, però, è procedere in questo ordine e non cercare a caso, mescolando rami e ruoli diversi senza prima aver chiarito con se stessi i propri desideri e bisogni.

Insomma… prima si prende la mira e solo dopo si spara.
Non viceversa!

Ecco come affrontare il rientro dalle ferie senza ansia.

Quando le vacanze finiscono e inizia il mese di settembre, è frequente essere assaliti da sintomi che si possono descrivere così: un sonno disturbato (si fatica ad addormentarsi o ci si sveglia alle 5), una sorta di apnea (che fa sentire la necessità di tirare profondi respiri per riempire di nuovo i polmoni), delle tensioni al collo e alle spalle (che tendono a sollevarsi), una facile irritabilità, il mal di testa,…

Molte donne avvertono un senso di soffocamento, come se qualcosa le stringesse alla gola e qualcuno le schiacciasse verso il basso.

Che dite? Vi risulta?

Il fatto è che l’ansia da rientro è legata a quel tutto che ricomincia di colpo, senza pietà, e al quale non possiamo sottrarci.
Saliamo su quel treno in corsa, sapendo bene di non poter più scendere per molto tempo e questo ci spaventa.

Non significa che ci paralizzi! Figuriamoci! Però rende il rientro carico di “pesi”.

Noi donne, poi, che oltre al lavoro fuori casa ci ritroviamo pure con quello domestico (valigie da disfare, lavatrici, stendere, stirare, pulire la casa, ecc) patiamo in modo più accentuato questo periodo.

Mi viene in mente un’amica che, col fiato corto, mi ha detto: “Non ce la faccio! Non ce la faccio a fare tutto! Ho la casa che sembra esplosa! I ragazzi, il marito, la spesa, le pulizie…! E’ come svuotare il mare col cucchiaino! Inizio a disfare una valigia e a mettere in ordine, ma poi vado in bagno e ci sono in giro la borsa con i solari e quella coi farmaci, in cucina il frigorifero è vuoto, il terrazzo è sporco… Oddio mi sento male!”.

Come darle torto?! Credo che la sua ansia sia condivisibile, ma  resta il fatto che non aiuta, anzi!

Perciò, ecco come possiamo intervenire, dopo aver evitato di tornare a casa la sera prima del rientro al lavoro.

  • Non guardiamo “tutte le cose da fare insieme”, altrimenti ci viene un mancamento!
  • Ci sono delle priorità (es. valigie, polvere, ecc.) e possiamo scriverle in ordine su carta, così non ci viene la tentazione di fare altro contemporaneamente.
  • Quando ci assale il “non ce la faccio!”, fermiamoci e respiriamo come spiegato in questo articolo (https://www.coachgazzola.it/2018/06/02/la-stanchezza/ )
  • Per qualche giorno non “perdiamo tempo” sui social, altrimenti ci ritroviamo con l’acqua alla gola e… altro che ansia!
  • Pretendiamo collaborazione da figli e marito: chiediamo loro di occuparsi di qualcosa (spesa, disfare la propria valigia, ecc).
  • Andiamo a letto prima (rispetto alle ore piccole fatte in vacanza) e – se il sonno non arriva o i cattivi pensieri ci assalgono – leggiamo qualche pagina di un buon libro che abbiamo scelto per la sua trama, la quale ci può portare “altrove” con la mente.
  • Troviamo una mezzoretta per fare movimento, in modo da scaricare le tensioni provocate dal doverci occupare di ciò che non ci piace. Possiamo fare una passeggiata col cane, un breve giro in bici, qualche esercizio in palestra (per chi ha già l’abbonamento)…
  • Alziamoci la mattina e – davanti allo specchio – al posto di lamentarci, proviamo a farci un sorriso e a dirci qualcosa di positivo (non ci credevo, ma funziona!).
  • Non guardiamo a tutto ciò che abbiamo perso con la fine delle ferie, ma a quello che abbiamo guadagnato “grazie” alle ferie (nuove amicizie, serenità, stimoli da coltivare).
  • Fissiamo degli incontri con gli amici che ci stanno più a cuore, così conteniamo lo stress .

La cosa più importante è creare una sorta di puzzle mentale:

immaginiamo un puzzle che rappresenti la nostra casa e tutto ciò che c’è da fare. Poi focalizziamoci sui singoli pezzi, ben sapendo che dovremo essere calmi e pazienti per portare a termine il lavoro.

Solo così potremo alleggerirci di questo “macigno”, che è il rientro!

E se avete sperimentato altre buone pratiche… scrivetele qui sotto nei commenti (o a me, via email: laura@coachgazzola.it), in modo da poterle condividere.

I pesi sono più leggeri se portati insieme ad altri!  😉

Elimina le “etichette” e l’ansia scomparirà!

Voi quante “etichette” avete?

Già, perché tutti finiamo per essere le “etichette” che la gente ci ha appiccicato addosso o che noi stessi ci siamo appioppati da soli.

La verità, però, è che non lo siamo veramente.

Lasciarci catturare da queste etichette significa sentirne tutto il peso.

Dov’è la libertà?

Oh, certo, ci fa stare bene quando ci dicono che siamo “bravi” in qualcosa.
E’ gratificante, non c’è dubbio.
Solo che quando iniziano a dircelo e noi ci crediamo, facciamo in modo di essere sempre all’altezza di quella aspettativa (che magari non è neanche la nostra).

Il “come sei bravo” diventa un’etichetta che ci richiederà sempre più impegno, sempre più sforzo.
E l’ansia di “non essere all’altezza” inizierà a comparire.

Pensate a scuola, quando uno studente ottiene dei voti eccellenti e tutti i compagni lo etichettano come “genio”.

Pensate con quale ansia affronterà le verifiche e le interrogazioni.

Pensate a quante volte i compagni gli chiederanno: “Quanto hai preso?”.
E pensate a quale peso sul cuore avrà quando, sbagliando una verifica, dovrà rispondere ai compagni curiosi: “Insufficiente”.

Il ragionamento vale anche al contrario, ovvero quando ci dicono che siamo negati per qualcosa.

Eccola lì un’altra bella etichetta!

E se lasciamo che ce la mettano addosso, non combineremo mai nulla.

Cosa dobbiamo fare allora?

Mandare in frantumi l’etichetta, qualunque essa sia!
Significa che non dobbiamo più identificarci con quella.

Basta “sono bravo” e “sono negato”.

In un dato momento qualcuno ci ha visti “bravi” o “vere frane”, e va bene.

Ma noi siamo molto altro e cambiamo continuamente.
Questo è il bello!

Perciò cerchiamo di essere consapevoli di come siamo in ogni momento, tenendo conto che ogni momento è diverso e noi pure.

Viviamo istante per istante, senza la pretesa di rispondere sempre al ruolo o all’etichetta che ci hanno messo.

Solo così elimineremo le nostre ansie.

Solo così torneremo a sorridere.

Sei sicuro di non essere “dipendente” dallo smartphone? Meglio verificare!

Chi di voi non ha un cellulare, alzi la mano!
E di sicuro lo usate per chattare, guardare video, ascoltare musica, giocare…

Ma per quanto tempo al giorno?

Alcuni dodicenni di una scuola di Brescia hanno condotto una ricerca sull’uso dello smartphone e poi hanno realizzato un volantino con una serie di indicazioni utili a non ammalarsi.

Già, perché di cellulare ci si può ammalare e anche gravemente.

Pensate che i pediatri italiani vorrebbero vietare l’uso del cellulare ai bambini al di sotto dei 10 anni. Hanno spiegato, infatti, che

iniziare ad usare da piccoli il cellulare e farlo per un’ora intera al giorno, può portare a perdere concentrazione e memoria, a dormire poco e male, ad essere più aggressivi con gli altri e… ad apprendere di meno.

Ci sono poi ragazzi che, se non sono costantemente connessi, vengono assaliti da una paura incontrollata che li fa stare male.

Ecco, è una vera e propria “dipendenza”, ma loro non se ne rendono conto, finché… il loro corpo inizia a mandare dei segnali.

Sono sintomi di questa “malattia”, che si chiama “nomofobia”, e che si manifesta quando non si può usare lo smartphone per un certo periodo di tempo, perché non c’è il segnale o la batteria è scarica o è finito il credito.

Queste persone, ragazzi e adulti, allora iniziano a sentire il cuore accelerato, ad avere il fiato corto, a sentire nausea.
E’ una vera e propria ansia che li assale, fino a trasformarsi in attacco di panico.

Allora come possiamo fare per non cadere in questa trappola?

Usare il cellulare con intelligenza, cioè non portarcelo dappertutto: spegnerlo quando siamo a tavola con la famiglia e non usarlo quando siamo fuori con amici o a scuola o agli allenamenti.

Possiamo averlo con noi, ma capire quando è il caso di usarlo e quando no.

Se stiamo studiando o dobbiamo dormire, meglio spegnerlo; se vogliamo giocare, fermiamoci dopo mezz’ora.

Se non siete sicuri di riuscire a farlo, vuol dire che non siete “pronti” ad avere un cellulare. Pensateci!

 

 

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla Pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como”  nel febbraio 2018.

Ragazzi, volete ottenere buoni risultati scolastici? Basta organizzarvi!

Ragazzi, avete presente quella brutta sensazione di arrivare all’ora di cena e rendervi conto di non aver terminato i compiti?
Che ansia!

Senza contare la frustrazione di aver rinunciato ad uscire con gli amici per avere più tempo per lo studio e notare che il tempo non vi è comunque bastato.

Le distrazioni sono frequenti, si sa, ma se invece avete spento il cellulare, la tv, il pc?
Come mai non siete riusciti a finire tutto?

Già mi sembra di sentirle le lamentele dei vostri genitori: “Possibile che ti riduci sempre all’ultimo per studiare?”.

Se pensate di avere qualcosa che non va, sappiate che spesso è solo un problema di “organizzazione”.

Già, ma come si fa a fare tutto?

Vi do qualche suggerimento da mettere subito in pratica per poter vedere i primi cambiamenti:

1) create una tabella della settimana (a mano o al computer);

2) su ciascun giorno, scrivete quali saranno i vostri impegni (es. dentista, studio, allenamenti sportivi);

3) a fianco di ciascuna voce, inserite per quanto tempo vi terranno impegnati (es. Allenamenti di calcio: 2 ore, dalle h.18 alle h.20);

4) sotto la voce “scuola”, scrivete le materie e ciò che dovete studiare per il giorno seguente (es. Inglese: studio da pag.20 a 26) e aggiungete anche i compiti scritti (es. Matematica: esercizi a pag. 38 n° 3,5, 9).

Avrete subito chiaro il quadro dei vostri impegni e vi renderete conto se sarà una giornata impegnativa o leggera.

Stabilite dunque un tempo per ciascuna attività: potete scegliere voi se partire dai compiti scritti o dallo studio.
Di certo evitate di studiare la sera tardi, quando siete stanchi.

Ogni 25 minuti di studio, fate 5 minuti di pausa per sgranchirvi le gambe o bere qualcosa.

Poi riprendete, seguendo il programma.

Se sul lunedì vedete pochi impegni, portatevi avanti: lo scopo è bilanciare la settimana e arrivare a scuola sereni per non aver lasciato nulla in sospeso.

Fatelo tutte le settimane e poi fatemi sapere come va!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei ragazzi de La Provincia di Como (4/12/2019).

Ragazzi, l’ansia non è un mostro! Ecco come gestirla.

Chissà quante volte vi è capitato di esclamare: “Che ansia!”.

Forse i maschi si trattengono, ma sicuramente lo pensano quando si trovano di fronte a verifiche o interrogazioni.
Una ragazza mi ha detto che “odia la sua ansia” e la vorrebbe distruggere.
Un tredicenne mi ha scritto che è l’unica cosa di sé che vorrebbe eliminare.

Ma, ragazzi, l’ansia non è un mostro e non è lì per farci del male!

L’ansia si manifesta per farci capire che siamo preoccupati per qualcosa.
E’ come un amico che ci fa notare che siamo agitati e poi ci chiede: “Come mai? Di cosa hai paura?”.
Noi non sappiamo rispondergli, ma non per questo lo odiamo.

Se ci fate caso, l’ansia appare solo in certe situazioni: ecco perché dobbiamo ascoltarla.
Cosa ci sta dicendo?
Che forse non abbiamo studiato abbastanza? Che dovevamo fare più esercizi? Che non abbiamo le idee chiare?

Insomma, l’ansia ci obbliga ad “ascoltare” quello che abbiamo dentro e forse è per questo che ci sta antipatica.

Per farsi ascoltare, l’ansia usa il nostro corpo: ci fa battere più forte il cuore, ci fa tremare la voce, ci secca la bocca, fa sudare le nostre mani e dà al nostro cervello l’impressione di non ricordare più nulla. Così noi ci spaventiamo!

Allora cosa possiamo fare per tenerla tranquilla?

Una tecnica utile consiste nel respirare profondamente, finché non ci sentiamo più calmi: inspiriamo, tratteniamo il respiro per 4 secondi e poi espiriamo lentamente.
Possiamo anche metterci comodi e ascoltare musica rilassante e calmante.
Ma se proviamo spesso ansia, è bene iniziare a praticare uno sport, perché ci aiuta a schiarire i pensieri e a caricarci di energia positiva.
Un altro modo può essere quello di passeggiare nella natura, lontano dalla confusione, per immergerci nella quiete.
Avere poi un animale da coccolare è l’ideale.

L’importante è accettare l’ansia e vivere pian piano tutte quelle situazioni che ci agitano, per renderci conto – una volta superate – che non c’è più nulla di cui preoccuparci.

* Articolo di Laura Gazzola, pubblicato sulla pagina dei ragazzi de La Provincia di Como
(14/11/2017).