Madre Teresa di Calcutta: “Messaggio per donne straordinarie”.

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi, i giorni si trasformano in anni….

Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.

Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea d’arrivo c’é una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’é un’altra delusione.

Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.

Non vivere di foto ingiallite.

Insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’é in te.

Fai in modo che al posto della compassione, ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.

Però… non trattenerti mai!!!

La lettera che ogni figlia vorrebbe ricevere.

Figlia mia,
ricordati sempre di essere te stessa.

Non cadere nell’errore di “voler piacere” a tutti i costi, perché è sciocco, inutile e finiresti poi col non piacere più a te stessa, cioè a colei che ti amerà sempre più di chiunque altro.

So che arriverà il momento in cui sentirai il bisogno di compiacermi, magari meritando sempre bei voti a scuola oppure vincendo una gara sportiva, oppure comportandoti sempre come una “brava bambina”.

A chiunque farebbe piacere avere una figlia così, ma non a me se ciò significasse saperti angosciata al pensiero di non riuscire a ottenere un bel voto.
Non voglio poi che dall’esito di una gara dipenda la tua autostima e non voglio che tu sia la bimba perfetta né quella “sempre più brava, più gentile e più educata” di tutti gli altri.

Sii sempre te stessa, anche se dovrai lottare con i denti per non farti travolgere da quello che desiderano gli altri per te.

Impara ad ascoltare il tuo cuore: senti come batte?

Quella sei tu : sono le tue emozioni, sono i tuoi desideri…
Sono quello che conta di più, se vuoi vivere felice.
… ascoltandoti, infatti, scoprirai che per te esistono cose davvero importanti  e altre assolutamente inutili.

Sai, sarò felice se ti vedrò studiare con la passione di chi vuole imparare cose nuove e non per uno sciocco voto dato da un’insegnante che magari non ha capito niente di te.

Perché sai che cosa conta davvero nella vita?

L’impegno, la costanza, l’energia e l’entusiasmo… che guidano le nostre azioni verso i nostri obiettivi.
Se riuscirai a credere in questo, ti sentirai sempre speciale e nessuno riuscirà a farti sentire debole, fragile, incapace di camminare da sola.

Non permettere a nessuno di dirti come sei!

Lungo il tuo cammino, vedrai, ti capiterà certamente di incappare in quelli che sputano sentenze e si permetteranno di venirti a dire che “sei tagliata per…, ma limitata in…”, che “sei un tipo lunatico oppure sempre allegro” , che “sei una frana in…”, che “si vede che non ti interessa questo o quest’altro”, che “hai bisogno di un uomo così e così”.

Lasciali tutti parlare, figlia mia.
E più ne incontrerai e più dovrai trovare un angolo di pace in cui rifugiarti per guardarti dentro e per poter gridare al mondo: “Io sono io!”.

Ascolta le mie parole…
Ricorda che ti starò sempre vicina e che ti amerò per sempre.

                                                                                                                            La tua Mamma

Non festeggiare San Valentino se…

San Valentino è la festa di “chi è innamorato”.
Per questo ho pensato di sintetizzare il pensiero di alcuni illustri studiosi che parlano di amore “vero”, in modo da chiarirci le idee e valutare se festeggiarlo o meno.

Ecco 15 VALIDI MOTIVI per “NON FESTEGGIARLO”:

1) Perché credi di essere innamorata, ma non lo sei.
Infatti, provi una forte attrazione e pensi continuamente al partner, ma dopo aver provato per un po’ queste emozioni, perdi di interesse per lui.

2) Perché quando ti chiedono se sei “innamorata” del partner, rispondi elencando tutte le sue straordinarie qualità, ma non ti viene in mente di dire che cosa provi TU per lui.

3) Perché del partner vedi SOLO le mille qualità e quando, improvvisamente, compaiono i difetti, ti senti ingannata, tradita.
In realtà hai fatto tutto da sola.

4) Perché, sebbene tu ti senta “sulle nuvole”, non hai un PROGETTO COMUNE che ti leghi a lui.

5) Perché, anche se è trascorso molto tempo e dici di stare bene con l’attuale partner, in realtà NON hai sotterrato il passato e continui a soffrire per il tuo ex.

6) Perché hai una paura folle del futuro (invece chi è innamorato veramente non ce l’ha).

7) Perché non riesci ad avere piena fiducia nel tuo partner, ad abbandonarti e affidarti a lui.

8) Perché non senti l’importanza di essere “vera”, autentica e trasparente con il tuo partner.

9) Perché tra te e il tuo partner NON c’è l’apprezzamento (reciproco) di essere unici, straordinari e insostituibili per l’altro.

10) Perché NON ti senti accettata per ciò che sei e quindi cerchi di diventare ciò che il partner vorrebbe.

11) Perché con il tuo partner ci sono sempre continui SCONTRI. Una sorta di vita senza felicità “vera”. Un semplice “tirare avanti”.

12) Perché stai ormai facendo la CONTABILITÁ del dare e avere: “Io ti ho dato e tu no”.

13) Perché non senti il desiderio di chiedere spesso al tuo partner “Che cosa pensi?”
(chi è innamorato, invece, vuole sapere dell’altro, della sua vita, dei suoi pensieri nascosti).

14) Perché quando il partner ha dei problemi NON ti senti coinvolta, perciò gli dici: “Ti amo, ma risolvi prima i tuoi problemi e poi torna da me” (se sei innamorata, invece, i problemi del partner diventano spontaneamente anche i tuoi, da risolvere insieme).

15) Perché dici di amare il tuo partner, ma non lo porti con te nella tua vita: lo tieni separato dal tuo lavoro, dai tuoi amici, dai tuoi progetti per il futuro.
Continui la tua vita, senza modificare nulla, conservando sempre i tuoi rapporti (dai quali il partner viene escluso), mentre lui deve stare alle tue regole, sempre in attesa.

Se ti ritrovi in molti di questi punti NON sei innamorata (oppure non lo è il tuo partner di te).
Perciò a che serve “festeggiare”?

Sarò davvero innamorata di lui?

Quante volte le ragazze mi raccontano di “pensare sempre a quel qualcuno” e quante volte le donne adulte mi confidano i loro dubbi, le loro sofferenze per quel partner che è ormai tanto diverso da come l’avevano conosciuto.

Spesso la domanda sottintesa è

“Sarò davvero (ancora) innamorata di lui?”.

A questo proposito mi viene in mente che alcuni decenni fa, un noto studioso nonché docente universitario, Francesco Alberoni, aveva realizzato uno studio veramente interessante su questo argomento. Tanto interessante che lo ricordo ancora.

Proviamo dunque a conoscere meglio “l’innamoramento”, così da dare risposta alla nostra domanda.

L’innamoramento non c’entra con la sessualità e quindi non è scontato che nasca da quella.
Tra l’altro, non è un evento unico nel corso della vita, perché può capitare di innamorarsi una seconda volta, ma può anche accadere di non innamorarsi più.

La mia nonna, ad esempio, rimasta vedova in giovane età, ha amato soltanto mio nonno e, una volta perso lui, non si è mai più innamorata.

Ma come faccio a capire di essere innamorata sul serio?

Be’, quando si è innamorati si pensa che tutto sia meraviglioso grazie alle “straordinarie” qualità del partner… E non ci si rende conto che l’altro è una persona normale, uguale a tutti gli altri esseri umani.

Ciò di cui non si è consapevoli è che “a rendere così diversa la nostra vita” sia la nuova esperienza, ovvero l’esserci innamorati.

E si sa, quando si è innamorati si desidera stare sempre col partner per potergli parlare e poterlo anche abbracciare, baciare, accarezzare… Di lui vogliamo sapere tutto, in modo da sentirci più vicino a lui ma anche poter essere noi stesse.
Di lui capiamo ogni gesto, tanto che la vita sembra più bella e persino più semplice.

Intendiamoci, la quotidianità non ha proprio niente di straordinario… ma quando siamo innamorati, tutto diventa magnifico. E così, un’ora con l’amato è paragonabile all’eternità e questo è il motivo per cui, perdendo l’amato, si vive con un’eterna nostalgia.

Sì, ok, Coach. Ma come faccio a distinguere una “cotta” dall’essere innamorata veramente?

Semplice!

Una delle caratteristiche dell’innamoramento è che si hanno degli ostacoli da superare.
Alberoni dice infatti che senza ostacolo non c’è vero innamoramento.

E a me vengono tanto in mente coppie giovani in cui tutto procede bene finché la strada è spianata dai genitori, che comprano loro la casa nuova, l’arredamento, i festeggiamenti per le nozze, il viaggio, ecc. Alla prima difficoltà, però, queste coppie “scoppiano”.

Il fatto è che superare gli ostacoli permette di “costruire” qualcosa di nuovo (una coppia, una famiglia) a partire dall’unione di due individui che hanno compiuto un percorso di cambiamento, di crescita prima di incontrarsi (come – ad esempio – aver “tagliato” del tutto con il rapporto precedente).

OK, Laura! Ci devono essere degli ostacoli da superare insieme… Tutto qui?

Sappiamo di essere innamorati quando il desiderio di vedere o di sentire l’altra persona riappare più e più volte, fino ad imporsi, ad essere costante.

E questo fatto ci spinge ad una “rinascita”, perché ci permette di ripensare al passato senza più provare delusione o dolore.
E’ un po’ come dire che il passato viene privato del suo valore e così si può arrivare a provare tenerezza per l’ex, di cui non ce ne importa più niente e verso il quale ci si sente gentili e buoni, grazie al nuovo amore.

Ma, ribadisce Alberoni, la vera storia dell’innamoramento è legata al “modo” con cui si affronta, si risolve oppure si aggira un grande ostacolo… e lo si fa insieme.

Altro che “… e vissero tutti felici e contenti”! La vita di coppia idilliaca non esiste!

La quotidianità è fatta di problemi, di scontri. Perciò è normale alternare momenti di felicità ad altri di sofferenza. Non esiste un reale equilibrio quando si ama!

Tuttavia è vero che chi è innamorato si sente felice nel fare qualcosa per la persona amata, perché i suoi desideri sono gli stessi di quelli dell’amato.

E… cosa importantissima: se sei innamorata del tuo partner, è impossibile che ti innamori di un altro!

E ora veniamo alla “domanda fondamentale”…

Come passiamo dall’innamoramento all’amore che dura nel tempo?

L’amore è la conseguenza naturale dell’innamoramento: passiamo da qualcosa di impetuoso e nuovo a qualcosa di quotidiano. Ma c’è qualcosa che non cambia e cioè che l’innamorato non vuole altro che essere amato per sempre.

E sai quando capisci che l’amore sta finendo? Quando cominci a fare i conti “io ti ho dato e tu no”…

In effetti, quando siamo innamorati diamo tantissimo senza domandarci se è giusto o no, se è troppo o se l’altro ricambia allo stesso modo.

Ovviamente è scontato che “il dare” sia reciproco e che i problemi e le difficoltà si affrontino insieme.

Si passa all’Amore, quindi, attraverso una serie di “prove” che l’amato deve superare. Sono prove di diverso tipo e si legano a due bisogni principalmente: al bisogno di “verità”, verificando perciò che l’amato sia sincero e leale, e al bisogno di “reciprocità” , ovvero verificando di avere obiettivi comuni ben chiari.

Se le prove, invece, sono richieste che comportano la “rinuncia” ai propri progetti, ai propri sogni (come avere una famiglia, dei figli, sposarsi), alla propria vita… il legame è destinato a rompersi, perché sono prove che non si superano e si trasformano in punti di non ritorno.

Ultime verità importantissime:
– l’innamoramento diventa Amore, quando non c’è più l’entusiasmo iniziale, ma si sviluppa una reciproca dedizione;
– non è proprio scontato che l’innamoramento diventi Amore, ma è possibile che un Amore nasca anche senza innamoramento, ad esempio da un incontro sereno, dal piacere di stare insieme, dall’avere idee e obiettivi comuni.

Ora tocca a voi capire a che punto siete e se la vostra storia avrà lunga vita o meno.

Essere felici è davvero possibile?

Da molti anni sulle riviste, nei blog, nelle pubblicità sentiamo parlare di quanto sia importante essere felici.
E molte volte, lo confesso, ho pensato “Ma che scoperta! E’ ovvio che sia importante, perché quando sei felice riesci a fare tutto meglio… Persino a stare meglio di salute!”.

E allora perché continuano a parlarne?

Nella Dichiarazione d’indipendenza americana (4 luglio1776) si legge che “a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”.

Trovo meraviglioso aver diritto alla felicità!

Ma come la mettiamo con la realtà di tutti i giorni?
Vallo a dire a chi perde il lavoro, a chi si ammala gravemente, a chi non riesce ad avere figli, a chi non trova l’anima gemella…
E pure a chi ha i figli, il partner, il lavoro, che però gli procurano solo problemi, pensieri, notti insonni.

Credo allora sia importante riflettere sul concetto di “felicità” e farlo qui, ora, insieme.
Solo così potremo orientarci nella direzione giusta per trovarla.

Diciamo subito che la felicità non è uno stato permanente, senza pensieri né crisi e dove la vita procede senza scossoni.

Sarebbe infantile e sciocco immaginare di vivere tutti i giorni toccando il cielo con un dito.
Eppure tutti noi abbiamo provato questa emozione in occasione della nascita di un figlio, della dichiarazione dell’amato, della laurea, del raggiungimento di un traguardo…
Momenti dove abbiamo sentito battere forte il cuore, ma che hanno avuto breve durata. Un’eccitazione che non può durare anni, è ovvio.

Perciò scartiamo l’idea che la felicità sia quell’ebrezza che ci fa vedere il mondo “rosa”.

La felicità non coincide nemmeno con il concetto ormai diffuso del “prima io e poi gli altri”, perché è troppo facile stare bene ignorando o calpestando i bisogni e i diritti degli altri.

Ci sono poi le pubblicità, che ci bombardano di messaggi dove – per essere felicedevi “possedere” qualcosa: l’eterna bellezza, i “Like” sulle tue foto, l’abbigliamento griffato, il fuoristrada, la casa lussuosa… E poi devi andare alla Spa, mangiare cibo biologico, trovarti con gli amici per l’happy hour anche se hai l’influenza…

Questa non è felicità: è qualcosa di effimero, passeggero e se abbiamo questa idea della felicità, saremo infelici per tutta la vita. Niente ci appagherà mai abbastanza.

Ma allora come si fa ad essere felici?

Possiamo arrivarci cercando di mettere in equilibrio le sfere della nostra vita: il lavoro, le relazioni, la cura di noi stessi.

Perciò non serve che ci batta forte il cuore.

L’importante è riuscire a provare soddisfazione per ciò che facciamo e abbiamo.
Vivere giorno dopo giorno con uno stato d’animo positivo.

Sì!, bello!, ma se non proviamo tutta questa soddisfazione?

Allora dobbiamo andarcela a cercare! Tocca a noi migliorare la nostra situazione!

Lo vogliamo o no raggiungere questo stato d’animo positivo?

E allora non lasciamoci fermare da dubbi, esitazioni.
Nessuno in famiglia lo capisce?
Eh, pazienza! Faremo da sole.
Cercheremo una soluzione e ci metteremo in gioco come se si trattasse di una sfida.

Gli ostacoli da superare ci paiono montagne?
Il desiderio di stare bene deve essere più forte.

E poi cerchiamo e troviamo dei validi alleati: medici, allenatori, life coach…

L’importante è non rinunciare ad essere “felici”.

Ti senti “vuota” dentro? Forse sei troppo piena.

Ci sono donne che, vedendo finire una relazione, vivono un senso di “vuoto” e stanno male perché non sanno come riempirlo.

E’ il caso di Sofia che, con aria sconsolata, mi racconta della sua storia con un uomo che in tre anni l’ha distrutta, facendole perdere autostima e fiducia in se stessa.
Un compagno che le ha tarpato le ali ogni volta che lei ha tentato di volare per raggiungere un obiettivo.
“Ma sei sicura di voler tentare? Perché guarda che se va male, come spesso accade, ci rimani malissimo” le ripeteva, oppure le minava quelle poche certezze che le erano rimaste con frasi del tipo: “Ma pensi davvero di farcela? Pensi di esserne capace?”.

E a furia di mettere in dubbio le sue capacità con la scusa del “Lo dico per te, perché tu non soffra se fallisci”, l’ha fatta sentire inadeguata in tutto.

A quel punto l’ha lasciata con il colpo di grazia: “Sei una fallita, senza spina dorsale! Ti fai mettere sotto i piedi senza affrontare la situazione! Non hai carattere!”.

E lei è crollata.
Si è chiusa in se stessa e non ha accettato nessun tipo di aiuto per un anno.

Poi… mi ha contattata.

Quando l’ho incontrata non aveva alcuna certezza. Nemmeno sull’obiettivo da voler raggiungere.
Continuava a ripetere che non si sentiva più la ragazza di un tempo. Quella sì era forte e determinata. Già!
Mica come lei, che ha messo in stand by la sua vita per amare un uomo che l’ha solo distrutta.
Aggiungiamo anche una buona dose di sensi di colpa per averglielo permesso e il quadro è completo.

Magari è capitato anche a te di trovarti nella situazione di Sofia: di abbandonare il ruolo di “protagonista” nella tua vita per diventare “una comparsa” nel film di un altro.

Esserti quindi svuotata dei tuoi sogni e desideri, senza nemmeno rendertene conto.

Esserti snaturata e aver perso te stessa in nome di un amore che era solo a senso unico.

Se però, come Sofia, sei diventata consapevole di vivere da spettatrice e desideri tornare protagonista, ma non sai come fare, perché senti un gran vuoto dentro che non vuoi colmare con un altro uomo…

Prova ad immaginare un grande sacco “vuoto”: che cosa vuoi metterci dentro? Con cosa desideri riempirlo?

Se la tua prima risposta è “non lo so”, insisti: pensa, guarda bene dentro.

Spesso accade che – come per Sofia – il “vuoto” in realtà è così pieno di paure da impedirti di vedere quello che c’è e che desideri raggiungere per stare bene.

Fai luce in quel “sacco” e scoprirai tanti nuovi obiettivi da raggiungere: amicizie da riallacciare, capacità da riscoprire, interessi da coltivare.

E se capisci che da sola ti riesce difficile… contattami.
Al traguardo ti accompagnerò io.

Se vuoi vivere meglio, non aspettarti nulla dagli altri.

Vi è mai capitato di rimanere male, di soffrire o di restare deluse da qualcuno?

E magari di pensare:

“Io al suo posto non mi sarei mai comportata così!”, “Io non sarei mai stata così ingrata/cattiva/superficiale!”.

Che poi, se si tratta di una collega o di un conoscente, la delusione svanisce piuttosto velocemente. Ma se si tratta di un familiare… Magari di un fratello, una sorella, un genitore, un figlio o il partner… allora la sofferenza e la delusione si amplificano.

Possiamo cancellare ciò che ci ha fatto stare male? Probabilmente no, ma possiamo imparare sia a farcene una ragione sia a cambiare il nostro approccio, in modo da non cadere più nello stesso errore.

Per vivere meglio, dobbiamo evitare di cadere nella trappola delle “aspettative”.

In poche parole significa che:

“Non posso misurare il mondo in base a ciò che io farei in una data situazione, perché io non sono il metro del mondo”.

Se ci pensate, niente di più vero!

Noi siamo “unici” perché abbiamo esperienze, pensieri ed emozioni che sono soltanto nostri.

Nessuno sarà mai come noi, né avrà la nostra sensibilità o generosità o capacità di amare.

Gli altri non sono noi.

Non hanno avuto la nostra stessa educazione, gli stessi valori, le stesse esperienze.

Non hanno le nostre emozioni e non pensano nel nostro stesso modo.
Non sono noi.

Perciò… come possiamo pretendere che ragionino o “sentano” come noi?

Certo che può capitarci di arrabbiarci con qualcuno che si comporta con noi come mai noi faremmo con lui! E’ normale, ma questo non ci fa bene, non ci aiuta a vivere meglio.

Sapete perché?

Perché l’altro non è e non potrà mai essere una nostra fotocopia.

Le persone (persino i familiari) sono diverse da noi e come tali risponderanno a loro modo e non necessariamente per cattiveria o per mancanza di rispetto o altro.

Perciò…

non sprechiamo tempo ed energie nel chiederci il perché non si siano comportate come noi “ci aspettavamo”.

Se vogliamo una risposta, facciamo loro una domanda precisa: “Perché mi hai trattata così?” o “Perché mi hai risposto in quel modo?”.

Se poi spieghiamo loro come ci hanno fatti sentire, magari potremmo scoprire che non si sono neanche accorti di averci fatto male e che non ne avevano alcuna intenzione.

In conclusione, se vogliamo vivere più serenamente, dobbiamo accettare di essere tutti diversi e considerare che il nostro modo di pensare e agire non è necessariamente il migliore.

Ricordiamoci:

“Noi non siamo il metro del mondo, perciò non aspettiamoci dagli altri ciò che noi faremmo al loro posto!”.

La relazione che vivi ti rende infelice? Sposta il focus!

Oggi parliamo di relazioni sentimentali che NON ci rendono felici.

Ne parliamo al femminile, perché sono parecchie le donne – giovani e meno giovani – che si lamentano del partner e gli attribuiscono la colpa della loro infelicità.

Quando mi raccontano la loro storia, noto subito che parlano soltanto del partner:

“lui non fa questo, lui dice questo, se mi amasse direbbe o farebbe”…

E spesso vorrebbero che io dicessi loro che cosa prova o pensa il partner sulla base dei comportamenti che mi segnalano.

Vogliono entrare nella mente del partner e capire come ragiona.

Ma le cose non funzionano così.

Queste donne si sfiniscono di domande a cui non ci sono risposte e lo fanno nel tentativo (inconscio o meno) di avere il controllo su ciò che sta succedendo o che potrebbe accadere.

Praticamente, spostano tutta la loro attenzione da se stesse all’altro.
E fanno di tutto per far andar bene le cose, come se il risultato della relazione dipendesse solo da loro.

Si sforzano di essere accondiscendenti, in modo da non scontrarsi e soddisfare le esigenze del partner. Cercano di non deluderlo e di aderire sempre più all’idea che il partner ha di compagna ideale e di rapporto di coppia ideale.

Vi siete riconosciute in queste donne?

Se così fosse, proviamo ad approfondire il perché di questi comportamenti:

  • Magari siete convinte che per essere amate dovete essere “come il partner vi vuole” (le “brave” mogli fanno così!).
  • Magari sentite la necessità di avere il controllo su ciò che accade.
  • Magari a livello inconscio volete che il partner si comporti in un certo modo (cioè come voi desiderate) e, se ciò non succede, tentate di “cambiarlo” per trasformarlo nell’uomo giusto per voi.

Vi ritrovate in queste convinzioni?

E allora sappiate che portano a commettere gravi errori:

  • Focalizzarvi solo sul partner, vi allontana da voi stesse, dai vostri bisogni e desideri. Vi impedisce inoltre di ascoltare e comprendere le vostre emozioni, così utili per capire quale strada seguire. Nel tempo, il rischio che correte è quello di sentirvi sempre più inadeguate, con il conseguente calo della vostra autostima.

  • Vi convincete di poter far funzionare la coppia “da sole” e questo vi porta a essere schiacciate da questa responsabilità. E se doveste “fallire” nel vostro intento, vi carichereste anche della delusione, del dolore e della convinzione di “non essere state capaci” di far funzionare il rapporto.
  • Continuate a stare male, ma rimandate la chiusura del rapporto che non funziona, perché sperate che lui diventi come voi desiderate.

Come fare per uscirne?

Certo non è facile…

Prevede che voi cambiate il vostro modo di “vedere”.

Vediamo come:

1. D’ora in poi, quando vi rendete conto che i vostri pensieri pongono l’attenzione solo sul partner (es. perché dice questo?, perché si comporta così?), sforzatevi di concentrarvi su voi stesse e

domandatevi: “come mi sento io? Cosa desidero io? Questa situazione mi va bene oppure no? E come mai non mi piace?”…

2. Quando vi accorgete di fare i salti mortali per tenere in piedi il rapporto,

ripetetevi che “in una relazione si è sempre in due”, perciò la responsabilità è al 50%.

E se il partner non fa nulla per migliorare le cose, significa che è poco motivato a continuare la vostra relazione. Davvero volete investire su una relazione così sbilanciata? Pensate ancora che avrà un futuro?

3. Se da tempo pensate che è ora di chiudere la relazione, ma continuate a rimandare, perché sperate che lui cambi,

ripetetevi che le persone sono esattamente come le vediamo ora, nel presente.

Se aspettate che lui cambi… state solo perdendo del tempo prezioso.

In conclusione, lavorate su voi stesse e investite il tempo per ricostruire la vostra autonomia, che sta alla base della vostra serenità.

Caro genitore, dipende da te come ti tratteranno i tuoi figli quando sarai anziano.

Non ho mai conosciuto i nonni, quelli che ti strapazzano di baci e ti abbracciano così forte da toglierti il fiato. Sono morti prima che nascessi, lasciando sole le nonne. Però ho avuto la fortuna di vivere i primi anni della mia vita insieme a una nonna speciale e a una bisnonna birichina.

E’ vero, la nonna era malata di quel male che non risparmia quasi nessuno, ed io avevo solo cinque anni “e mezzo” quando è mancata, ma i ricordi che mi ha lasciato sono ancora vivissimi e a volte mi sembra di sentire ancora la sua voce, con quella “erre” così diversa da tutti gli altri e il suo sguardo così dolce.

Ero (e continuo ad essere) innamorata di mia nonna, perché mi faceva sentire importante…

Bastava il suo sguardo, una sua occhiata complice e io sentivo tutto il suo amore.

Eh, i nonni! Quale dono prezioso del cielo!

In casa mia, lei e la bisnonna erano rispettate e coccolate: il valore della loro saggezza era inestimabile.

Oggi purtroppo non è più così. Almeno nella maggior parte dei casi.

Non vanno più di moda il rispetto, l’ammirazione e l’attenzione verso gli anziani.

Quante volte assisto a scene in cui i nipoti maltrattano a parole e a gesti i nonni!
Quante risposte maleducate, espresse con parolacce e tono di voce sprezzante!
Magari in presenza dei genitori, che nemmeno intervengono!

Eh, già! I nonni… Chi li rispetta più?!

Ho visto nipoti sbuffare in faccia ai nonni a cui erano affidati. E ho visto i nonni spiazzati, incapaci di reagire.
Un dono del cielo buttato via!
Che tristezza, se penso a quanto avrei voluto continuare a crescere con la mia nonna accanto…

Il fatto è che oggi ben pochi genitori insegnano “il rispetto per l’anziano” ai figli e così vanno perse tutte quelle buone azioni che invece – se compiute – fanno stare bene sia chi le riceve sia chi le fa.

E allora perché non rivederle insieme, qui, ora?

Caro genitore, sei al timone del tuo vascello! Sei il capitano della nave!

Dipende da te, da una tua scelta educativa, se domani – quando sarai anziano – tuo figlio ti tratterà con rispetto, stima e tuo nipote si rivolgerà a te ammirando la tua saggezza e il tuo valore.

Perciò non perdere tempo prezioso!

Che tuo figlio sia piccolo oppure già grande, “allenalo” al rispetto per chi è anziano.

Fagli comprendere il valore della vecchiaia e farai un regalo a te stesso, ma anche a tutta l’umanità.

Parti da qui e sii d’esempio:

1. Dare del “lei” agli anziani che non si conoscono.
Non è difficile per i bambini imparare a farlo. Certo, è faticoso per noi adulti dover insistere e correggerli, ma ti assicuro che a 8 anni ci riescono perfettamente. Io l’ho fatto e ha funzionato.

2. Offrire il proprio aiuto.
I nonni non chiedono nulla, ma non significa che non abbiano bisogno.
– Offrirsi di portare al posto loro dei pesi, come i sacchetti della spesa o le confezioni di acqua, può solo far piacere.
Prenderli sotto braccio, quando devono attraversare la strada o scendere le scale, è un gesto d’affetto, ma è anche un valido sostegno per loro che così si sentono più sicuri.

3. Cedere il posto a sedere.
Che sia in chiesa, in un ufficio, sul treno o sull’autobus, chiedere ad un anziano se vuole il nostro posto a sedere e alzarci per cederglielo, resta sempre un bel gesto che ci distingue dal resto della gente. In fondo, stare in piedi quando si è giovani, non è una gran fatica.

4. Rivolgersi ai nonni/anziani con educazione.
Significa:
– Capire che sono “grandi” e non bambini.
– Evitare toni aggressivi, arroganti, saccenti.
– Evitare le frasi e gli atteggiamenti di compatimento (se non capiscono qualcosa non vuol dire che sono “deficienti”).
– Non sbuffare loro in faccia né fare “spallucce”.
– Censurare frasi del tipo: “Ma sei sordo?!”, “Non hai capito niente!”, “Non sei capace!”, perché a nessuno di noi, tantomeno a dei bambini/nipoti, piacerebbe sentirsi giudicare a quel modo.

5. Rispettare il loro riposo.
Vuol dire non disturbarli se e quando hanno bisogno di fare un pisolino. Perciò non gridare, non svegliarli, evitare di fare giochi rumorosi vicino a loro.

6. Essere pazienti.
Lo so, a volte non è facile, ma dobbiamo far capire ai bambini che anche loro, quando saranno anziani, avranno bisogno di più tempo per ricordare le cose o comprenderne di nuove. Bastano un bel respiro e un sorriso. In fondo, quante volte dobbiamo ripetere le cose a loro, ai bambini?

7. Evitare di evidenziare i loro problemi legati all’età.
Far notare ad un nonno che cammina troppo lentamente, che non ci sente, che sta perdendo i capelli o dirgli che fa ridere con la dentiera o che va troppo spesso a fare pipì non lo aiuta a stare meglio. E’ già un disagio per lui… Perciò, perché infierire?

8. Far loro dei complimenti.
Basta davvero poco! Insegniamo ai figli a “valorizzare” i nonni, facendo loro notare le qualità che hanno: “Nonno, come sei bravo a bocce!”, “Nonna, sei bravissima a fare la torta di mele!”.
Ci sono anche dei complimenti mascherati da richieste d’aiuto, che fanno sentire i nonni utili e ancora in gamba: “Nonno, tu che sei bravo a costruire le cose, mi aiuti con il compito di tecnologia? Devo usare il traforo…”, “Nonna, tu che sei la migliore, mi insegneresti a cucinare la torta di mele?”.

9. Non fissare gli anziani con handicap.
Di solito è la prima cosa che si insegna, quella di non guardare fisso né additare chi ha un handicap. Con gli anziani, che diventano sensibili e permalosi, è bene ricordarselo. Perciò, se un anziano cammina col girello o zoppica o ha un equilibrio precario, insegniamo a non riderne, ma a comprenderne la difficoltà.

10. Salutare per primi.
E’ importante che i figli, grandi o piccoli, sappiano che è buona regola salutare per primi gli anziani. Un sorridente “Buongiorno”, quando si incontra un anziano, non ha mai fatto male a nessuno!

11. Far visita e telefonare.
I nonni che non vivono in casa con noi e nemmeno a così breve distanza da poterci andare a piedi, di solito soffrono un po’ di questa lontananza e spesso sono loro a muoversi o a telefonare.
Perché allora non sollecitare i bambini/adolescenti a chiamare i nonni? A informarsi se stanno bene o semplicemente a salutarli?
I nipoti adolescenti hanno cellulari costosissimi e messaggiano continuamente.
Perché allora non trovare un minuto per chiamare i nonni?

Ecco, sono certa che molti di voi potrebbero suggerirne altre di “buone pratiche” e quindi, perché non scriverle tra i commenti?

Il Mondo, la cosiddetta “società”, siamo noi.
E sta a “noi” renderla migliore.
Magari partendo proprio da qui.

Smettiamo di essere delle “isole” e guadagniamo in serenità!

“E’ tutto uno schifo!”, “Va tutto male!”, “Non funziona niente!”, “E’ colpa della società!”…
Quante volte ascoltiamo o produciamo continui mugugni fini a se stessi?

La verità è che siamo diventati delle isole: ciascuno per sé e nessuno per tutti!

Abbiamo frainteso il suggerimento di “pensare un po’ a noi stessi” e l’abbiamo trasformato in “prima io e poi gli altri”.
Questo – a sua volta – si è tradotto in mancanza di attenzione, di ascolto, di rispetto per gli altri.

La saggezza insita nel concetto “la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri” è diventata “prima di tutto viene la mia libertà – ovvero tutto ciò che voglio fare – e gli altri si arrangino”.

In tutta sincerità, mi fa male scrivere questa riflessione, che è frutto di anni di osservazione di questa “nuova” umanità, perché io non mi sento e non sono così.
Tuttavia, si sa, bisogna necessariamente generalizzare, anche se questa esigenza mi fa venire l’orticaria!

Per cambiare le cose, però, questa pseudo-filosofia non funziona.
Basta guardare come ci siamo ridotti…: imbronciati, cupi, infelici.

Non è mettendosi sempre ed esclusivamente al centro di tutto che si diventa felici: esistono anche gli altri.

Già: gli altri! Quelli per i quali si sprecano le critiche, i giudizi, le cattiverie.
E di solito si tratta di critiche “distruttive” e non costruttive.
E’ sufficiente leggere i commenti sui social per rendersene conto.
L’intento è demolire l’altro: la sua (buona) immagine, la sua (seria) professionalità…

Si distrugge l’altro per emergere e, la cosa peggiore è che lo si fa davanti a chi sta crescendo, ai figli, che così imparano immediatamente a fare lo stesso.

“Ma cosa ci possiamo fare se il mondo va così?”.

Ehhh, troppo facile risolvere la questione in questo modo, con un “me ne lavo le mani”, mi arrendo, non è affar mio!

Le cose si possono cambiare. Noi possiamo cambiare.

“Di impossibile non c’è niente, se stiamo uniti” dice il personaggio di un romanzo di Andrea Vitali. Ed è così!

Iniziamo dal nostro vivere in famiglia:

  • facciamo sentire ai figli che papà e mamma sono “uniti”, che si vogliono bene e si trattano con rispetto. Eliminiamo quindi le liti e le discussioni davanti ai figli, soprattutto le critiche offensive e le esclamazioni con parolacce.
  • Alimentiamo in casa la bellezza di “essere uniti” in famiglia: l’importanza di andare d’accordo, di trovare soluzioni che accontentino un po’ tutti, che regalino serenità.
  • Valorizziamo i componenti della famiglia: tutti e non solo chi ha più affinità con noi.
  • Usiamo un linguaggio positivo, che incoraggi ad affrontare i problemi, le sfide e stimoli ad agire (piuttosto che a criticare e basta).
  • Insegniamo ai figli la ricchezza di aiutare chi è in difficoltà (magari dando una mano ad un compagno che viene un po’ isolato per la sua timidezza).
  • Diamo il buon esempio come adulti, trattando con gentilezza le altre persone e dedicando loro un po’ della nostra attenzione.

Se ci impegneremo a mettere in pratica quotidianamente questi semplici comportamenti, allora sì che cambieremo le cose.

Allora sì che smetteremo di essere e di crescere delle “isole”.

E col passare del tempo, questa “unione” balzerà agli occhi degli altri e sarà d’esempio a qualcuno che deciderà di fare lo stesso.

E l’input sarà inarrestabile… così come i suoi meravigliosi risultati,

perché smettere di essere delle aride “isole” può solo regalarci gioia e serenità.