La relazione che vivi ti rende infelice? Sposta il focus!

Oggi parliamo di relazioni sentimentali che NON ci rendono felici.

Ne parliamo al femminile, perché sono parecchie le donne – giovani e meno giovani – che si lamentano del partner e gli attribuiscono la colpa della loro infelicità.

Quando mi raccontano la loro storia, noto subito che parlano soltanto del partner:

“lui non fa questo, lui dice questo, se mi amasse direbbe o farebbe”…

E spesso vorrebbero che io dicessi loro che cosa prova o pensa il partner sulla base dei comportamenti che mi segnalano.

Vogliono entrare nella mente del partner e capire come ragiona.

Ma le cose non funzionano così.

Queste donne si sfiniscono di domande a cui non ci sono risposte e lo fanno nel tentativo (inconscio o meno) di avere il controllo su ciò che sta succedendo o che potrebbe accadere.

Praticamente, spostano tutta la loro attenzione da se stesse all’altro.
E fanno di tutto per far andar bene le cose, come se il risultato della relazione dipendesse solo da loro.

Si sforzano di essere accondiscendenti, in modo da non scontrarsi e soddisfare le esigenze del partner. Cercano di non deluderlo e di aderire sempre più all’idea che il partner ha di compagna ideale e di rapporto di coppia ideale.

Vi siete riconosciute in queste donne?

Se così fosse, proviamo ad approfondire il perché di questi comportamenti:

  • Magari siete convinte che per essere amate dovete essere “come il partner vi vuole” (le “brave” mogli fanno così!).
  • Magari sentite la necessità di avere il controllo su ciò che accade.
  • Magari a livello inconscio volete che il partner si comporti in un certo modo (cioè come voi desiderate) e, se ciò non succede, tentate di “cambiarlo” per trasformarlo nell’uomo giusto per voi.

Vi ritrovate in queste convinzioni?

E allora sappiate che portano a commettere gravi errori:

  • Focalizzarvi solo sul partner, vi allontana da voi stesse, dai vostri bisogni e desideri. Vi impedisce inoltre di ascoltare e comprendere le vostre emozioni, così utili per capire quale strada seguire. Nel tempo, il rischio che correte è quello di sentirvi sempre più inadeguate, con il conseguente calo della vostra autostima.

  • Vi convincete di poter far funzionare la coppia “da sole” e questo vi porta a essere schiacciate da questa responsabilità. E se doveste “fallire” nel vostro intento, vi carichereste anche della delusione, del dolore e della convinzione di “non essere state capaci” di far funzionare il rapporto.
  • Continuate a stare male, ma rimandate la chiusura del rapporto che non funziona, perché sperate che lui diventi come voi desiderate.

Come fare per uscirne?

Certo non è facile…

Prevede che voi cambiate il vostro modo di “vedere”.

Vediamo come:

1. D’ora in poi, quando vi rendete conto che i vostri pensieri pongono l’attenzione solo sul partner (es. perché dice questo?, perché si comporta così?), sforzatevi di concentrarvi su voi stesse e

domandatevi: “come mi sento io? Cosa desidero io? Questa situazione mi va bene oppure no? E come mai non mi piace?”…

2. Quando vi accorgete di fare i salti mortali per tenere in piedi il rapporto,

ripetetevi che “in una relazione si è sempre in due”, perciò la responsabilità è al 50%.

E se il partner non fa nulla per migliorare le cose, significa che è poco motivato a continuare la vostra relazione. Davvero volete investire su una relazione così sbilanciata? Pensate ancora che avrà un futuro?

3. Se da tempo pensate che è ora di chiudere la relazione, ma continuate a rimandare, perché sperate che lui cambi,

ripetetevi che le persone sono esattamente come le vediamo ora, nel presente.

Se aspettate che lui cambi… state solo perdendo del tempo prezioso.

In conclusione, lavorate su voi stesse e investite il tempo per ricostruire la vostra autonomia, che sta alla base della vostra serenità.

Nessuno deve mancarvi di rispetto!

Oggi vi parlo di “rispetto” e di “farsi rispettare”, perché in un solo giorno mi è capitato di assistere a due episodi che mi hanno lasciata senza parole.

Nel primo episodio ero in un negozio in attesa del mio turno. La coppia di mezza età, che il commesso stava servendo, si stava confrontando sull’acquisto. Ad un certo punto il marito alza la voce e, con tono autoritario, strilla alla moglie: “Stai zitta, va’! Che hai già parlato troppo!”.

Nel secondo episodio ero al parco. Una sedicenne cammina col suo cane al guinzaglio e parla al telefono in modo seccato: “Mammaaa, ti ho detto di no!” esclama. E poi urla: “Porca p….!, Caxxo! Ti ho detto di no!”.

Questi due casi dimostrano che:
1. L’uomo e la sedicenne hanno mancato di rispetto.
2. La moglie e la madre hanno permesso che mancassero loro di rispetto.

Magari è capitato anche a voi che qualcuno vi mancasse di rispetto. E come avete reagito?

Siete rimasti in silenzio, pensando: “Non è possibile che stia capitando proprio a me!” oppure avete immediatamente reagito?

Alcuni non reagiscono perché non hanno ben chiaro il concetto di rispetto.

Sappiate, però, che qualunque sia il vostro ruolo (di genitori, coniugi, lavoratori), il rispetto è qualcosa che dovete pretendere. E’ anche una questione di dignità.

Significa essere riconosciuti, considerati per ciò che siete e per il valore che avete.

Vuol dire non permettere a nessuno di offendervi con le parole, ma anche con il linguaggio non verbale fatto di espressioni facciali, alzate di spalle, smorfie, sbuffi…

Se desiderate il rispetto, dovete per primi rispettarvi, cioè amarvi, stimarvi, sentirvi importanti.
Al contrario, se pensate di essere scontati, sostituibili, inadeguati e manchevoli, allora gli altri non vi rispetteranno mai, perché i primi a mancarvi di rispetto sarete proprio voi.

Chi vi rispetta vi tratta con educazione.

Se, invece, si comporta con voi in modo offensivo e indelicato, vuol dire che gli avete “permesso” di oltrepassare il limite.

Perciò, il primo gesto importante da compiere verso voi stessi è “definire il vostro limite”, cioè il confine che gli altri non devono superare.

Una cosa utile, che mi sento di consigliarvi, è fermarvi a riflettere e poi scrivere su un foglio quali sono i “confini” che gli altri dovranno rispettare per non mancarvi di rispetto (ad esempio: “non permetterò a nessuno di dirmi parolacce, nemmeno per scherzo”). E poi aggiungete cosa risponderete nel caso qualcuno oltrepassasse i vostri confini (es. “risponderò: oh, ma come ti permetti!” oppure, simpaticamente “oh!, ma cosa sono queste confidenze?!”, ecc.).

Se a mancarvi di rispetto sono i figli, significa che non avete fatto loro comprendere che gli adulti siete voi e che loro sono tenuti ad osservare le vostre indicazioni/regole. Perciò, ristabilite i ruoli (in un prossimo articolo vi spiegherò come).

Se a mancarvi di rispetto è il partner, parlate chiaramente: fate presente che ha oltrepassato il limite. Non c’è bisogno di litigare, ma dovete avere ben chiaro che cosa non volete accettare e comunicarlo con calma e fermezza.

Prossimamente approfondiremo il tema del “rispetto”. Intanto vi lascio con questa frase:

“Se non si è convinti del proprio valore, non ci si farà mai rispettare: senza autostima non si va lontani. Dignità e autostima vanno di pari passo.”    Paolo Crepet

Vuoi migliorarti? Trova un “mentore”!

Capita nella vita di avere bisogno di qualcuno che ci sappia dare buoni consigli e che sia saggio e fidato.
Poco importa che sia donna o uomo, l’importante è che abbia tanta esperienza in ciò che desideriamo imparare o fare.

Questa persona è il “mentore”: qualcuno capace di insegnare, ispirare e guidare gli altri con la sua passione per ciò che fa e perché nel suo lavoro è coerente con i suoi valori.
E’ un esempio proprio grazie alla sua Vita, perché ciò che trasmette è coerente con ciò che è e con ciò che vive.

Bambini o adulti, abbiamo tutti bisogno di trovare un mentore se vogliamo diventare “migliori” in qualcosa.
Qualcuno capace di rispettare il proprio ruolo (di educatore, allenatore, insegnante, coach, esperto, genitore…), continuando ad amare ciò che fa.
Un ruolo non facile, ma certamente gratificante.
Pensate, ad esempio, ad un genitore che diventi “mentore” dei propri figli.

Magari state pensando di poter essere voi dei buoni mentori!
Perché no?!

Ma per esserlo, bisogna avere certe caratteristiche, altrimenti non si è credibili. Altrimenti si è semplicemente persone che dispensano banali consigli e chi vuole migliorare se stesso non ha certo bisogno di perdere tempo con frasi scontate.

Il “mentore” è speciale, perché insegna tutto ciò che sui libri non c’è, perché si basa sull’esperienza, sulla pratica che ha fatto dopo aver studiato.

Oh, certo che possiamo imparare di tutto leggendo libri, ma se vogliamo imparare “come” si fa bene qualcosa, dobbiamo trovare qualcuno bravo a farlo e disponibile a mostrarcelo.
Credo che l’esempio della nonna che insegna a cucinare una squisita torta calzi a pennello!

Teoria ed eccellente pratica: ecco le qualità del bravo mentore!

Vuoi diventare tu un mentore?
Ti piace l’idea di “trasmettere” tutto ciò che sai e che sei (a un figlio o magari ad un collega più giovane)?

Allora sappi che per diventare un bravo mentore ed essere “efficace” devi:
Essere umile, ovvero condividere ciò che sai, senza calarlo dall’alto.
Dare consigli e indicazioni chiare, cioè semplificare le informazioni per farle comprendere meglio.
Mirare le indicazioni a seconda di chi hai davanti, perché non siamo tutti uguali.
Andare oltre a come ti appare chi hai davanti.
– Essere capace di cogliere l’essenziale, cioè di lavorare sui dettagli, su ciò che conta davvero, buttando via tutto il resto.
Avere una mente flessibile.
– Aver sperimentato sulla tua pelle come fare a superare le difficoltà.
Avere sempre voglia di imparare qualcosa di nuovo ed essere capace di metterti in discussione per migliorare te stesso.

E se desideri in particolare modo essere il “mentore” dei tuoi figli:
– Concentra la tua attenzione nel trovare strade diverse per dare a tuo figlio la possibilità di “crescere” sempre più.
Sforzati di capire “come” stimolare tuo figlio.
Aiuta i tuoi figli a capire “dove” vogliono andare e “cosa” vogliono fare.
Non arrenderti, se vedi che tuo figlio ha difficoltà o sembra non essere motivato.
Assumiti la responsabilità dei suoi risultati, nel senso di essergli a fianco e aiutarlo, sostenerlo e guidarlo ogni giorno. Il genitore sei tu: tocca a te farlo crescere e migliorare.

Se invece non desideri essere tu un mentore, ma vuoi trovarne uno bravo… non ti resta che cercarlo: le caratteristiche che deve avere ora le conosci.

Scopri chi sei grazie agli amici che hai!

Noi adulti parliamo spesso ai ragazzi di quanto sia importante avere amici e ci preoccupiamo se non ne hanno tanti. Oppure ci lamentiamo con loro perché i ragazzi con cui escono, secondo noi, non “vanno bene”. E magari facciamo loro la predica affinché a scuola scelgano come compagno di banco “quello giusto”.

Ma cosa vuol dire?
Cosa intendiamo con “giusto”?
Proviamo a pensare a noi.
Sì, proprio a noi adulti.

Quando un amico è “giusto” per noi?

Ce lo siamo mai chiesti?
Io non credo…

Non esiste l’amico “standard”. Sì, insomma, quello con delle caratteristiche che verrebbero apprezzate da chiunque.

Magari abbiamo amici estremamente dinamici, che non stanno mai fermi e ci propongono sempre attività di movimento (bici, calcetto, corsa, trekking, nuoto) e a noi va bene così perché li consideriamo stimolanti. Magari abbiamo amici amanti del cinema, che vorrebbero facessimo abbonamenti e iscrizioni a circoli cinefili, oppure abbiamo amici appassionati di libri, che apprezziamo perché con loro possiamo riflettere e confrontarci su ciò che leggiamo.

Perciò, la prima cosa da fare è chiarirci:

“Chi è l’amico giusto per noi”?

Mettiamo quindi da parte il discorso dei figli, dei ragazzi, degli adolescenti e guardiamo a noi.

Di che cosa abbiamo bisogno per stare bene?

Prima o poi dobbiamo domandarcelo per capire se ci siamo circondati degli amici “giusti” per noi.

Faccio un esempio tratto dalla realtà:
una giovane donna che ho seguito con il Life Coaching, parlando delle sue relazioni amicali, mi ha detto: “Non so, non capisco che cosa mi stia succedendo: le amiche di sempre con cui ho condiviso vacanze, feste, divertimenti, non mi interessano più. E’ come se con loro mi annoiassi. Le trovo addirittura superficiali! E mi chiedo come sia possibile, visto che non è successo niente tra noi!”.

In realtà non è successo niente “tra loro”, ma “in lei” sì.
Il fatto stesso di aver iniziato un percorso di Life Coaching, di ricerca e scoperta delle sue potenzialità, l’ha messa su un binario diverso rispetto alle sue amiche focalizzate su aspetti della vita meno profondi.
Ed è così che succede per alcune persone: certi amici frequentati fino a quel momento perdono un po’ di smalto, sono meno interessanti e il desiderio di vederli si affievolisce.

Non significa che siano “sbagliati” e nemmeno che siamo “sbagliati” noi.
Semplicemente non rispondono più ai bisogni che sentiamo importanti da soddisfare per stare bene.

Torno all’esempio di prima:
se quella giovane donna ha perso l’interesse per le discoteche, gli aperitivi, lo shopping, perché si è resa conto che non le regalano una vera felicità e ha sentito il bisogno di mettersi in cammino per conoscersi davvero e migliorarsi come persona… è evidente che quelle amicizie non siano più adatte a lei, perché non sono più in sintonia con ciò che lei cerca.

Forse anche ad alcuni di noi – in questo periodo – sta accadendo lo stesso.
O magari è da tempo che siamo scontenti delle amicizie che abbiamo.
Magari non abbiamo più alcun dubbio dell’invidia di qualcuno nei nostri confronti.
Magari ci ha sfiorato il pensiero che l’amico tal dei tali sia un opportunista e i fatti sembrano confermarcelo.

Ed è dura accettare di aver voluto come amico/a qualcuno che non ha fatto né voluto il nostro bene; che ci ha manipolati senza che ce ne rendessimo conto.

Ma niente paura!
Se ora ci siamo svegliati, vuol dire due cose:

  • Che siamo consapevoli
  • Che probabilmente non erano “veri” amici.

Allora domandiamoci:

“Con chi voglio stare?”.

Prendere questa decisione è di sicuro una scelta importantissima, perché

le persone con cui trascorriamo il tempo tutti i giorni sono quelle che “ci plasmano”.

Se – ad esempio – vogliamo migliorarci, crescere come persone e professionisti, scegliamo di frequentare persone/amici che mirano a migliorare sempre se stessi e le proprie prestazioni.
Se vogliamo essere felici, cerchiamo di frequentare persone che lo sono o che tendono ad esserlo.
Se vogliamo essere determinati, cerchiamo amici che siano tenaci.

Aristotele, grande filosofo, diceva che l’amicizia si basa su tre elementi: l’utilità, il piacere, la virtù.

L’utilità è tipica sul lavoro, nella collaborazione tra colleghi, ma anche nello sport (come tra i compagni di squadra): ci si rispetta, ci si apprezza, ma è un tipo di amicizia che tende ad indebolirsi col tempo (come quando un collega va in pensione o cambia azienda).

L’amicizia basata sul “piacere” è molto diffusa: sono amici che amiamo frequentare perché con loro ci divertiamo tanto. Già! Ma dopo anni (come la giovane donna di cui vi parlavo) può capitare di non divertirsi più tanto ed ecco che il legame si spezza.

Se invece l’amicizia è fondata sulla “virtù”, allora stiamo certi che durerà a lungo, perché significa avere scelto amici che arricchiscono la nostra vita (e viceversa) e che ci sostengono, ci ispirano, persino ci sfidano.
Questi amici sono rari anche perché illuminano i nostri pensieri e – se perdiamo di vista il nostro traguardo – ci indicano dov’è.
Questi sono gli amici veri! Quelli con cui stare bene…

Capire di “quali amici” ci siamo circondati è anche un modo per capire meglio noi stessi e le nostre scelte.

E, perché no, essere in grado di distinguere la vera amicizia da quella falsa, interessata.

Riflettiamoci…

perché la vita è una e tutti noi abbiamo tempo ed energie limitate per viverla.

Ma quanto ci fanno bene le chat?

Che invenzione, Whatsapp!
Scrivi a chi vuoi, quando vuoi, nel Paese che vuoi e non paghi nulla!
Davvero fantastico!
Puoi creare gruppi e condividere parole, ma anche video, foto, articoli…
Insomma, quanto è meraviglioso il mondo delle chat!

Però mi viene qualche dubbio: magari se lo condivido con voi, scoprirò di non essere l’unica ad averlo.
Vediamo un po’…

Grazie a Whatsapp i messaggi ci arrivano a tutte le ore.
Fra l’altro, siamo sempre connessi, persino quando “per privacy” facciamo in modo che gli altri non vedano se abbiamo letto il loro messaggio oppure no.
Eh, già, perché loro non lo vedono, ma noi sappiamo bene che è arrivato e… come resistere alla tentazione di scoprire che cosa dice?
Così, che si tratti di lavoro o meno, il nostro cervello non stacca mai.

Avete fatto caso, ad esempio, che restare a lungo sul cellulare la sera, prima di andare a dormire, ci guasta la qualità del sonno?

Che dire poi degli sfoghi scaricati sui tasti del cellulare, senza nemmeno riflettere sul contenuto e sulle conseguenze?
Ho in mente il caso di una persona adulta che, in un momento di crisi totale, sentendosi sola, ha mandato un messaggio Whatsapp ad un amico, dipingendo una situazione drammatica in cui pareva voler porre fine alla propria vita. L’amico, che aveva letto tardi il messaggio, si era angosciato e affrettato a telefonarle… scoprendo che la persona in questione stava benissimo e che il messaggio “era stato solo uno sfogo del momento”.

Benedetto Whatsapp!

E che dire dei gruppi?
E’ così bello e comodo poter condividere con un clic i propri pensieri
Già, peccato che poi questi gruppi diventino il ricettacolo di pettegolezzi, cattiverie, prese in giro, alle spalle di chi non è membro del gruppo.
Oh, all’inizio può anche essere divertente leggere certe battute sul tizio che non sopportiamo: in fondo resta tutto nel gruppo!
Vero, ma se ci avete fatto caso, alimenta sentimenti negativi nei confronti di chi viene preso di mira (generalmente un collega, un superiore).

Sì, ok, ma è anche uno strumento utile Whatsapp!

Certamente, basti pensare a quando viene usato per la scuola
Avete presente le chat dei genitori della classe?
Quelle dove si comincia a parlare di compiti e si finisce per “sparlare” dell’insegnante, dei suoi metodi, del suo carattere (che nemmeno si conosce)?

Vabbè, ma mica sono tutte così le chat!

Mmmm… quelle dei genitori, mi risulta di sì.
Quantomeno sono zeppe di commenti poco costruttivi e quindi poco utili.

E cosa dire di chi usa Whatsapp per ritagliarsi una piccola evasione dalla quotidianità (dalla moglie o dal marito) e poi, però, la sera deve correre a cancellare la conversazione nel timore che il coniuge la legga?

Pensate ancora che sia fantastico Whatsapp?
Che porti valore e serenità nella vostra vita?

Be’, durante i viaggi è comodissimo: vogliamo mettere l’utilità di mandare messaggi da oltreoceano senza dover pagare uno sproposito?
E che dire delle foto che possiamo inviare, regalando gioia a chi è a casa e magari in pensiero per noi.

Whatsapp non è né fantastico né terribile.
E’ l’uso che ne facciamo a evidenziare la sua reale utilità o meno.

Siamo noi a dover scegliere “come” usarlo e quanto usarlo.
Tocca a noi capire che, usare una chat per demolire una persona, anche se “solo” all’interno del gruppo, non va bene: non ci fa bene!
Così come buttare il tempo a scrivere per un’ora, quando una telefonata sarebbe più appropriata e gradita.

Tocca a noi porre un limite alle comunicazioni professionali via chat quando siamo ormai a casa, perché il nostro cervello – per stare bene – ha bisogno di staccare, di pensare ad altro (e non alla chat dei colleghi).

Perciò, perché non ci prendiamo uno spicchio di tempo e riflettiamo sul motivo per cui “dipendiamo” così tanto da questa chat?

Magari scopriremo che – in fondo in fondo – soffriamo un po’ di solitudine, o che il rapporto con il nostro partner è un po’ vuoto, o ancora che siamo un po’ tirchi e non vogliamo telefonare, o ancora che siamo un po’ pettegoli… Scherzo!, ma non troppo.

Proviamo sul serio a chiederci: “In che modo – d’ora in poi – desidero usare Whatsapp?”.

Per cambiare in meglio la nostra vita, basta prendere una decisione e iniziare ad agire

Caro genitore, dipende da te come ti tratteranno i tuoi figli quando sarai anziano.

Non ho mai conosciuto i nonni, quelli che ti strapazzano di baci e ti abbracciano così forte da toglierti il fiato. Sono morti prima che nascessi, lasciando sole le nonne. Però ho avuto la fortuna di vivere i primi anni della mia vita insieme a una nonna speciale e a una bisnonna birichina.

E’ vero, la nonna era malata di quel male che non risparmia quasi nessuno, ed io avevo solo cinque anni “e mezzo” quando è mancata, ma i ricordi che mi ha lasciato sono ancora vivissimi e a volte mi sembra di sentire ancora la sua voce, con quella “erre” così diversa da tutti gli altri e il suo sguardo così dolce.

Ero (e continuo ad essere) innamorata di mia nonna, perché mi faceva sentire importante…

Bastava il suo sguardo, una sua occhiata complice e io sentivo tutto il suo amore.

Eh, i nonni! Quale dono prezioso del cielo!

In casa mia, lei e la bisnonna erano rispettate e coccolate: il valore della loro saggezza era inestimabile.

Oggi purtroppo non è più così. Almeno nella maggior parte dei casi.

Non vanno più di moda il rispetto, l’ammirazione e l’attenzione verso gli anziani.

Quante volte assisto a scene in cui i nipoti maltrattano a parole e a gesti i nonni!
Quante risposte maleducate, espresse con parolacce e tono di voce sprezzante!
Magari in presenza dei genitori, che nemmeno intervengono!

Eh, già! I nonni… Chi li rispetta più?!

Ho visto nipoti sbuffare in faccia ai nonni a cui erano affidati. E ho visto i nonni spiazzati, incapaci di reagire.
Un dono del cielo buttato via!
Che tristezza, se penso a quanto avrei voluto continuare a crescere con la mia nonna accanto…

Il fatto è che oggi ben pochi genitori insegnano “il rispetto per l’anziano” ai figli e così vanno perse tutte quelle buone azioni che invece – se compiute – fanno stare bene sia chi le riceve sia chi le fa.

E allora perché non rivederle insieme, qui, ora?

Caro genitore, sei al timone del tuo vascello! Sei il capitano della nave!

Dipende da te, da una tua scelta educativa, se domani – quando sarai anziano – tuo figlio ti tratterà con rispetto, stima e tuo nipote si rivolgerà a te ammirando la tua saggezza e il tuo valore.

Perciò non perdere tempo prezioso!

Che tuo figlio sia piccolo oppure già grande, “allenalo” al rispetto per chi è anziano.

Fagli comprendere il valore della vecchiaia e farai un regalo a te stesso, ma anche a tutta l’umanità.

Parti da qui e sii d’esempio:

1. Dare del “lei” agli anziani che non si conoscono.
Non è difficile per i bambini imparare a farlo. Certo, è faticoso per noi adulti dover insistere e correggerli, ma ti assicuro che a 8 anni ci riescono perfettamente. Io l’ho fatto e ha funzionato.

2. Offrire il proprio aiuto.
I nonni non chiedono nulla, ma non significa che non abbiano bisogno.
– Offrirsi di portare al posto loro dei pesi, come i sacchetti della spesa o le confezioni di acqua, può solo far piacere.
Prenderli sotto braccio, quando devono attraversare la strada o scendere le scale, è un gesto d’affetto, ma è anche un valido sostegno per loro che così si sentono più sicuri.

3. Cedere il posto a sedere.
Che sia in chiesa, in un ufficio, sul treno o sull’autobus, chiedere ad un anziano se vuole il nostro posto a sedere e alzarci per cederglielo, resta sempre un bel gesto che ci distingue dal resto della gente. In fondo, stare in piedi quando si è giovani, non è una gran fatica.

4. Rivolgersi ai nonni/anziani con educazione.
Significa:
– Capire che sono “grandi” e non bambini.
– Evitare toni aggressivi, arroganti, saccenti.
– Evitare le frasi e gli atteggiamenti di compatimento (se non capiscono qualcosa non vuol dire che sono “deficienti”).
– Non sbuffare loro in faccia né fare “spallucce”.
– Censurare frasi del tipo: “Ma sei sordo?!”, “Non hai capito niente!”, “Non sei capace!”, perché a nessuno di noi, tantomeno a dei bambini/nipoti, piacerebbe sentirsi giudicare a quel modo.

5. Rispettare il loro riposo.
Vuol dire non disturbarli se e quando hanno bisogno di fare un pisolino. Perciò non gridare, non svegliarli, evitare di fare giochi rumorosi vicino a loro.

6. Essere pazienti.
Lo so, a volte non è facile, ma dobbiamo far capire ai bambini che anche loro, quando saranno anziani, avranno bisogno di più tempo per ricordare le cose o comprenderne di nuove. Bastano un bel respiro e un sorriso. In fondo, quante volte dobbiamo ripetere le cose a loro, ai bambini?

7. Evitare di evidenziare i loro problemi legati all’età.
Far notare ad un nonno che cammina troppo lentamente, che non ci sente, che sta perdendo i capelli o dirgli che fa ridere con la dentiera o che va troppo spesso a fare pipì non lo aiuta a stare meglio. E’ già un disagio per lui… Perciò, perché infierire?

8. Far loro dei complimenti.
Basta davvero poco! Insegniamo ai figli a “valorizzare” i nonni, facendo loro notare le qualità che hanno: “Nonno, come sei bravo a bocce!”, “Nonna, sei bravissima a fare la torta di mele!”.
Ci sono anche dei complimenti mascherati da richieste d’aiuto, che fanno sentire i nonni utili e ancora in gamba: “Nonno, tu che sei bravo a costruire le cose, mi aiuti con il compito di tecnologia? Devo usare il traforo…”, “Nonna, tu che sei la migliore, mi insegneresti a cucinare la torta di mele?”.

9. Non fissare gli anziani con handicap.
Di solito è la prima cosa che si insegna, quella di non guardare fisso né additare chi ha un handicap. Con gli anziani, che diventano sensibili e permalosi, è bene ricordarselo. Perciò, se un anziano cammina col girello o zoppica o ha un equilibrio precario, insegniamo a non riderne, ma a comprenderne la difficoltà.

10. Salutare per primi.
E’ importante che i figli, grandi o piccoli, sappiano che è buona regola salutare per primi gli anziani. Un sorridente “Buongiorno”, quando si incontra un anziano, non ha mai fatto male a nessuno!

11. Far visita e telefonare.
I nonni che non vivono in casa con noi e nemmeno a così breve distanza da poterci andare a piedi, di solito soffrono un po’ di questa lontananza e spesso sono loro a muoversi o a telefonare.
Perché allora non sollecitare i bambini/adolescenti a chiamare i nonni? A informarsi se stanno bene o semplicemente a salutarli?
I nipoti adolescenti hanno cellulari costosissimi e messaggiano continuamente.
Perché allora non trovare un minuto per chiamare i nonni?

Ecco, sono certa che molti di voi potrebbero suggerirne altre di “buone pratiche” e quindi, perché non scriverle tra i commenti?

Il Mondo, la cosiddetta “società”, siamo noi.
E sta a “noi” renderla migliore.
Magari partendo proprio da qui.

Con i figli… “cogli l’attimo” e non te ne pentirai!

Due settimane fa ero sul lago: leggevo un bel libro, ammirando di tanto in tanto il paesaggio.
Proprio a pochi metri da me, ad un certo punto, vedo passare una vecchia barca di legno: un uomo anziano, con la pelle abbronzata e i capelli bianchi mossi dal vento, remava stando in piedi e facendo una certa fatica.

La barca a remi procedeva lentamente: a prua, un bambino di otto-nove anni stava seduto e rilassato, contemplando il lago.

“Vieni qui, ora! Ti insegno come fare” gli dice il vecchio.
“Ma nonno, sono troppo piccolo!” si affretta a rispondere il bambino.
“Non è vero, io ho imparato alla tua età” commenta tranquillo il nonno.
“Ma perché DEVO impararlo adesso?” chiede il nipote.
“Perché io non so quanto riuscirò ancora a remare e tu devi saperlo fare” spiega l’uomo.
“Sì, nonno, ma PROPRIO ADESSO?” si lamenta il ragazzino.
“Certo! Perché GIA’ mi sento un po’ stanco…” risponde il nonno con tono affettuoso.

Volete sapere com’è andata a finire?

Ho visto il bambino mettersi ai remi, guidato dalle mani e dalle indicazioni del nonno, e remare… Remare fino a far scivolare veloce sull’acqua la barchetta.

Volete sapere che espressione aveva sul viso il bambino?

Il suo sguardo, inizialmente concentrato e serio, ha poi mostrato tutta la soddisfazione e la gioia di esserci riuscito.

Non è una storiella inventata, questa.
E’ una storia vera, di quelle che chiunque può “vedere” se interessato e incuriosito dal comportamento umano.

Sapete perché ve l’ho raccontata?
Perché… CARPE DIEM, come direbbe il bravo professore del film “L’attimo fuggente”.

Dobbiamo saper cogliere le occasioni per insegnare qualcosa ai nostri figli, nipoti, perfino al partner.

Non si tratta di “mettersi in cattedra” e impartire una lezione. E chi la ascolterebbe?!

Nelle molteplici occasioni dobbiamo saper scegliere il momento migliore, quello che si presta meglio a darci una mano a trasmettere un valore, una tradizione, un ricordo, qualcosa di pratico (come remare).

Non facciamo l’errore di rimandare… “Tanto poi c’è tempo!”.
Il tempo non c’è!
Ecco perché “carpe diem”: cogli l’attimo!

Quel nonno è stato eccezionale a cogliere l’attimo.
Se avesse rimandato al giorno dopo, le condizioni non sarebbero state le stesse. E magari il nipote non l’avrebbe assecondato.
Ma le sue parole, il tono, il significato implicito del “non sarò qui vicino a te per sempre”… hanno colpito il nipote, che ha deciso di provare.

Quel nonno ha dato una lezione a tutti noi, perché in una frase ha racchiuso un valido insegnamento:

con i bambini e coi ragazzi bisogna spesso inventarsi una “buona scusa” per far sì di essere ascoltati.
Importante è anche dare un tempo, “ora” e non “la prossima volta”.

Dobbiamo cogliere tutta la bellezza di saper coinvolgere i figli, facendoli sentire utili, persino necessari in alcuni momenti.
E loro ci seguiranno, senza protestare, perché si sentiranno importanti, valorizzati.
Come ad esempio una bimba di 5 anni che ho visto accompagnare, tenendola per mano, la nonna che si reggeva col bastone…

Quanta tenerezza, quanta disponibilità e amore in quel gesto.

Ma i bambini, i ragazzi sono così: capaci di “dare” tantissimo e imparare tantissimo.

Sta a noi “cogliere l’attimo” e domandarci:

“Quanto è importante per me trasmettere a mio figlio ciò che so, ciò che amo, ciò in cui credo?”…

e il gioco è fatto!

Ecco come affrontare il rientro dalle ferie senza ansia.

Quando le vacanze finiscono e inizia il mese di settembre, è frequente essere assaliti da sintomi che si possono descrivere così: un sonno disturbato (si fatica ad addormentarsi o ci si sveglia alle 5), una sorta di apnea (che fa sentire la necessità di tirare profondi respiri per riempire di nuovo i polmoni), delle tensioni al collo e alle spalle (che tendono a sollevarsi), una facile irritabilità, il mal di testa,…

Molte donne avvertono un senso di soffocamento, come se qualcosa le stringesse alla gola e qualcuno le schiacciasse verso il basso.

Che dite? Vi risulta?

Il fatto è che l’ansia da rientro è legata a quel tutto che ricomincia di colpo, senza pietà, e al quale non possiamo sottrarci.
Saliamo su quel treno in corsa, sapendo bene di non poter più scendere per molto tempo e questo ci spaventa.

Non significa che ci paralizzi! Figuriamoci! Però rende il rientro carico di “pesi”.

Noi donne, poi, che oltre al lavoro fuori casa ci ritroviamo pure con quello domestico (valigie da disfare, lavatrici, stendere, stirare, pulire la casa, ecc) patiamo in modo più accentuato questo periodo.

Mi viene in mente un’amica che, col fiato corto, mi ha detto: “Non ce la faccio! Non ce la faccio a fare tutto! Ho la casa che sembra esplosa! I ragazzi, il marito, la spesa, le pulizie…! E’ come svuotare il mare col cucchiaino! Inizio a disfare una valigia e a mettere in ordine, ma poi vado in bagno e ci sono in giro la borsa con i solari e quella coi farmaci, in cucina il frigorifero è vuoto, il terrazzo è sporco… Oddio mi sento male!”.

Come darle torto?! Credo che la sua ansia sia condivisibile, ma  resta il fatto che non aiuta, anzi!

Perciò, ecco come possiamo intervenire, dopo aver evitato di tornare a casa la sera prima del rientro al lavoro.

  • Non guardiamo “tutte le cose da fare insieme”, altrimenti ci viene un mancamento!
  • Ci sono delle priorità (es. valigie, polvere, ecc.) e possiamo scriverle in ordine su carta, così non ci viene la tentazione di fare altro contemporaneamente.
  • Quando ci assale il “non ce la faccio!”, fermiamoci e respiriamo come spiegato in questo articolo (https://www.coachgazzola.it/2018/06/02/la-stanchezza/ )
  • Per qualche giorno non “perdiamo tempo” sui social, altrimenti ci ritroviamo con l’acqua alla gola e… altro che ansia!
  • Pretendiamo collaborazione da figli e marito: chiediamo loro di occuparsi di qualcosa (spesa, disfare la propria valigia, ecc).
  • Andiamo a letto prima (rispetto alle ore piccole fatte in vacanza) e – se il sonno non arriva o i cattivi pensieri ci assalgono – leggiamo qualche pagina di un buon libro che abbiamo scelto per la sua trama, la quale ci può portare “altrove” con la mente.
  • Troviamo una mezzoretta per fare movimento, in modo da scaricare le tensioni provocate dal doverci occupare di ciò che non ci piace. Possiamo fare una passeggiata col cane, un breve giro in bici, qualche esercizio in palestra (per chi ha già l’abbonamento)…
  • Alziamoci la mattina e – davanti allo specchio – al posto di lamentarci, proviamo a farci un sorriso e a dirci qualcosa di positivo (non ci credevo, ma funziona!).
  • Non guardiamo a tutto ciò che abbiamo perso con la fine delle ferie, ma a quello che abbiamo guadagnato “grazie” alle ferie (nuove amicizie, serenità, stimoli da coltivare).
  • Fissiamo degli incontri con gli amici che ci stanno più a cuore, così conteniamo lo stress .

La cosa più importante è creare una sorta di puzzle mentale:

immaginiamo un puzzle che rappresenti la nostra casa e tutto ciò che c’è da fare. Poi focalizziamoci sui singoli pezzi, ben sapendo che dovremo essere calmi e pazienti per portare a termine il lavoro.

Solo così potremo alleggerirci di questo “macigno”, che è il rientro!

E se avete sperimentato altre buone pratiche… scrivetele qui sotto nei commenti (o a me, via email: laura@coachgazzola.it), in modo da poterle condividere.

I pesi sono più leggeri se portati insieme ad altri!  😉

Smettiamo di essere delle “isole” e guadagniamo in serenità!

“E’ tutto uno schifo!”, “Va tutto male!”, “Non funziona niente!”, “E’ colpa della società!”…
Quante volte ascoltiamo o produciamo continui mugugni fini a se stessi?

La verità è che siamo diventati delle isole: ciascuno per sé e nessuno per tutti!

Abbiamo frainteso il suggerimento di “pensare un po’ a noi stessi” e l’abbiamo trasformato in “prima io e poi gli altri”.
Questo – a sua volta – si è tradotto in mancanza di attenzione, di ascolto, di rispetto per gli altri.

La saggezza insita nel concetto “la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri” è diventata “prima di tutto viene la mia libertà – ovvero tutto ciò che voglio fare – e gli altri si arrangino”.

In tutta sincerità, mi fa male scrivere questa riflessione, che è frutto di anni di osservazione di questa “nuova” umanità, perché io non mi sento e non sono così.
Tuttavia, si sa, bisogna necessariamente generalizzare, anche se questa esigenza mi fa venire l’orticaria!

Per cambiare le cose, però, questa pseudo-filosofia non funziona.
Basta guardare come ci siamo ridotti…: imbronciati, cupi, infelici.

Non è mettendosi sempre ed esclusivamente al centro di tutto che si diventa felici: esistono anche gli altri.

Già: gli altri! Quelli per i quali si sprecano le critiche, i giudizi, le cattiverie.
E di solito si tratta di critiche “distruttive” e non costruttive.
E’ sufficiente leggere i commenti sui social per rendersene conto.
L’intento è demolire l’altro: la sua (buona) immagine, la sua (seria) professionalità…

Si distrugge l’altro per emergere e, la cosa peggiore è che lo si fa davanti a chi sta crescendo, ai figli, che così imparano immediatamente a fare lo stesso.

“Ma cosa ci possiamo fare se il mondo va così?”.

Ehhh, troppo facile risolvere la questione in questo modo, con un “me ne lavo le mani”, mi arrendo, non è affar mio!

Le cose si possono cambiare. Noi possiamo cambiare.

“Di impossibile non c’è niente, se stiamo uniti” dice il personaggio di un romanzo di Andrea Vitali. Ed è così!

Iniziamo dal nostro vivere in famiglia:

  • facciamo sentire ai figli che papà e mamma sono “uniti”, che si vogliono bene e si trattano con rispetto. Eliminiamo quindi le liti e le discussioni davanti ai figli, soprattutto le critiche offensive e le esclamazioni con parolacce.
  • Alimentiamo in casa la bellezza di “essere uniti” in famiglia: l’importanza di andare d’accordo, di trovare soluzioni che accontentino un po’ tutti, che regalino serenità.
  • Valorizziamo i componenti della famiglia: tutti e non solo chi ha più affinità con noi.
  • Usiamo un linguaggio positivo, che incoraggi ad affrontare i problemi, le sfide e stimoli ad agire (piuttosto che a criticare e basta).
  • Insegniamo ai figli la ricchezza di aiutare chi è in difficoltà (magari dando una mano ad un compagno che viene un po’ isolato per la sua timidezza).
  • Diamo il buon esempio come adulti, trattando con gentilezza le altre persone e dedicando loro un po’ della nostra attenzione.

Se ci impegneremo a mettere in pratica quotidianamente questi semplici comportamenti, allora sì che cambieremo le cose.

Allora sì che smetteremo di essere e di crescere delle “isole”.

E col passare del tempo, questa “unione” balzerà agli occhi degli altri e sarà d’esempio a qualcuno che deciderà di fare lo stesso.

E l’input sarà inarrestabile… così come i suoi meravigliosi risultati,

perché smettere di essere delle aride “isole” può solo regalarci gioia e serenità.

Grazie alla mia Coach ho spiccato il volo! (Testimonianza)

Ciao a tutti,
ho 17 anni, sono uno studente e uno sportivo.

Ho iniziato il percorso con la Coach Gazzola per un problema legato alla scuola.

L’anno scorso, infatti, verso la fine di aprile non riuscivo  a recuperare le materie insufficienti, nonostante passassi molto tempo sui libri.

Così, in un momento di sconforto e di frustrazione, chiesi a mia mamma un aiuto.
Lei mi parlò di Laura, che aveva conosciuto in passato e alla quale lei stessa si era rivolta, ottenendo ottimi risultati.
Accettai, anche se ero un po’ scettico all’inizio, inconsapevole di un percorso che poi sarebbe durato circa un anno.

Il nostro percorso è iniziato da una serie di problemi riguardanti la scuola, per poi con il tempo toccarne altri: lo sport che pratico, la mia persona, le relazioni con gli altri.

Per chi non lo sapesse, le sessioni si basano sul dialogo e sono molto piacevoli, perché tutto è molto rilassante: in alcuni momenti anche divertente, grazie all’umorismo e ai metodi molto originali che utilizza Laura per rendere leggeri i momenti difficili.

Grazie a lei sono riuscito a imparare nuovi metodi per la gestione del tempo sia durante le verifiche e sia durante lo studio a casa;
ho migliorato il rendimento scolastico e sportivo seguendo delle tecniche di concentrazione;
grazie ad altre tecniche di respirazione ho imparato a gestire meglio le ansie e le preoccupazioni e infine, lavorando molto su me stesso, sono riuscito a prendere coscienza dei miei punti di debolezza e di forza, facendo fruttare quest’ultimi.

Solo ora comprendo l’enorme responsabilità e lavoro che una Coach come Laura deve sostenere, ma capisco anche la sua gioia e le sue soddisfazioni nel vedermi migliorare.

Non so come abbia fatto, ma le sono bastate poche sessioni per capire che tipo di persona ero e capire come lavorare con me.

Secondo me, Laura è davvero portata per questo lavoro, avendo tantissima pazienza, professionalità, positività e grinta, che mi facevano tornare a casa carico come una molla!

Per concludere,

mi sento di consigliare ai ragazzi della mia età di intraprendere un percorso di Coaching, perché permette di analizzarci, cosa che noi adolescenti non siamo abituati a fare, e di imparare a metterci in gioco, osando sempre di più fino a raggiungere il nostro obiettivo.

Riccardo