Scopri se sei un “genitore elicottero” e impara a rendere liberi i tuoi figli.

L’espressione inglese “genitore elicottero” indica il genitore che – come gli elicotteri –  è sempre “sopra” ai propri  figli e cerca di provvedere in ogni modo ai loro bisogni, risolvendo loro i problemi prima ancora che si manifestino.

Il termine, nato per definire quei genitori eccessivamente concentrati sui figli preadolescenti e adolescenti (che hanno cioè un’età per poter risolvere da soli i propri problemi, assumendosene tutta la responsabilità), oggi viene esteso a tutti i genitori che tendono a impedire ai propri figli di esplorare da soli, affiancandoli nel gioco o dicendo loro che cosa devono o non devono fare in ogni occasione.
Alla scuola primaria, i genitori “elicottero” potrebbero spingere i figli a scegliere di frequentare certi compagni e altri no oppure a voler seguire un certo allenatore piuttosto che un altro o ancora a preferire una maestra rispetto ad un’altra.
Questi genitori affiancano sempre i propri figli quando devono fare i compiti scolastici e li assistono per tutto il tempo, anche se i figli potrebbero fare da soli e, oltre a questo, scelgono per loro quali sport o quale strumento o quali attività devono seguire dopo la scuola.
Alla (ex) scuola media, i genitori “elicottero” interferiscono con il programma scolastico ed entrano in conflitto con gli insegnanti quando i figli ottengono voti bassi.

I comportamenti di questi genitori sono dettati da buone intenzioni, ma portano a conseguenze negative.

A tutti i genitori dispiace vedere il proprio figlio in difficoltà, ma spianargli la strada non è ciò di cui ha realmente bisogno.
Amare i propri figli non significa rendere loro più facili le sfide della vita, ma insegnare loro ad affrontarle, avendo fiducia nella loro capacità.

Essere “genitori elicottero” quindi porta con sé effetti negativi sui figli.
Vediamo quali:

    1. Scarsa autostima.
      Se un genitore sta troppo addosso ad un figlio, il messaggio che gli trasmette è che non si fida di lui e che non lo considera capace di gestire i compiti scolastici da solo.
    2. Aumento dell’ansia.
      I figli di genitori “pressanti”, autoritari, hanno maggiori probabilità di soffrire di ansia o depressione.
    3. Scarso sviluppo delle abilità pratiche.
      Se il genitore si occupa sempre delle cose che riguardano i figli (prepara loro i vestiti, il pranzo, sparecchia, rifà loro il letto, mette in ordine la loro stanza…), essi non svilupperanno mai le capacità di cui hanno bisogno per svolgere questi compiti da soli.
    4. Incapacità di gestire lo stress.
      Se i genitori sono sempre pronti ad aiutare i figli, questi non svilupperanno le abilità di cui hanno bisogno per affrontare la perdita, il fallimento o la delusione. Questo costituirà un problema quando dovranno affrontare lo stress della vita da soli.
  • Se vi siete resi conto di essere “genitori elicottero”, ecco cosa fare per “liberare” i vostri figli:

– Lasciateli esplorare.
I più piccoli, ad esempio, hanno bisogno di imparare a camminare ed esplorare da soli (calciare o lanciare una palla, correre in uno spazio aperto). Incoraggiateli a salire le scale, a esplorare piccoli spazi, senza perderli di vista. Se sarete entusiasti di offrire loro la libertà, svilupperanno fiducia in se stessi piuttosto che avere paura del mondo che li circonda.

– Lasciate che facciano delle scelte.
Dai diciotto mesi ai tre anni, fate in modo che i vostri figli possano scegliere a quale gioco giocare. Mettete loro a disposizione i vari giocattoli e rendeteli facilmente accessibili, così che possano prenderli. Non dite loro quali attività potrebbero essere divertenti, in modo che i vostri figli possano capire da soli cosa desiderano fare.

– Evitate di sostituirvi a loro.
Permettete ai vostri figli di provare la delusione, di affrontare le difficoltà o addirittura di fallire in un compito. Lasciate che si mettano alla prova, altrimenti non sapranno mai di esserne capaci o meno. Cercate di capire quando è il momento di allontanarvi, in modo che i vostri figli possano diventare autonomi.

– Ricordatevi della loro forza.
E’ importante tenere traccia dei piccoli successi ottenuti dai vostri figli.
Scriveteli su un foglio e usateli per incoraggiare i vostri figli, quando si sentiranno insicuri. Serviranno a far loro notare che sono stati capaci di farcela da soli. Allo stesso tempo, questo elenco vi sarà utile per ricordare a voi stessi quando sarà il momento di fare marcia indietro e lasciare che i vostri figli risolvano i problemi da soli.

Madre Teresa di Calcutta: “Messaggio per donne straordinarie”.

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi, i giorni si trasformano in anni….

Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.

Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea d’arrivo c’é una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’é un’altra delusione.

Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.

Non vivere di foto ingiallite.

Insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’é in te.

Fai in modo che al posto della compassione, ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.

Però… non trattenerti mai!!!

Impariamo a smascherare gli opportunisti.

Credo che a tutti sia capitato nel corso della vita di essere delusi da certe persone.
Avete presente quella sgradevole sensazione, quel senso di sofferenza che si prova quando ci si accorge che la persona che abbiamo frequentato – felici di farlo – è tutt’altro che sincera, leale, onesta e non prova per noi l’affetto che noi proviamo per lei?
Può trattarsi di un collega, un conoscente, ma anche di un amico e persino di un parente.

Dai, provate a pensarci: quante volte vi è capitato?

La domanda, però, è: ma sono state davvero loro a “cambiare” o siamo stati noi a non prestare attenzione ai campanelli d’allarme?

Mi racconta una donna: “Sa, credevo fossimo diventate amiche: si sfogava con me, mi chiedeva consigli e poi, tutto d’un tratto, ha smesso di frequentarmi. Ora in ufficio mi tratta come un’estranea e mi risponde in modo sbrigativo. Frequenta un’altra collega che ha sempre criticato. E dire che quando era appena arrivata, le ho dato tutte le dritte possibili!”.

Cosa è successo?

Semplice: ha aperto il suo cuore a un’opportunista e si è sentita stupida, ingenua per non essersene accorta.
Ma come può rendersi conto che la stanno usando se non è come loro, se è una persona “autentica” e buona?

Impresa ardua, ma non impossibile!

Ecco degli indizi:

  • L’opportunista è incapace di vera amicizia: fa solo ed esclusivamente il proprio interesse.
  • Si affianca a chi gli fa comodo in quel momento, ma una volta ottenuto ciò che vuole, cambia “amico”.
  • Ha le idee chiare su quello che vuole dagli altri e “chiede” sempre, ma non dà nulla senza un tornaconto.
  • Si prende gioco delle persone e le “usa”.

Facciamo qualche esempio di soggetti opportunisti:

  • quello che “scrocca” sempre il passaggio in macchina quando uscite in compagnia;
  • quella che vi chiede di “ritirarle” sempre il figlio da scuola, perché lei non può;
  • quello che si abbuffa al ristorante, tanto poi si divide;
  • quello che si fa aggiustare il pc o si fa aiutare ad usarlo (così risparmia i soldi del tecnico);
  • quella che vi invita fuori o vi telefona solo per sfogarsi (e poi non si fa più sentire per un bel po’);
  • quella che vi chiede di andare a correre o al cinema, perché non ha nessun altro in quel momento;
  • quella che si è appena trasferita nel vostro paese o nel vostro ufficio, non conosce nessuno, ma diventa “amica” vostra perché vede che avete buoni amici e un’ottima reputazione (e stare con voi le apre le porte).

Insomma, i motivi sono tantissimi e io spero di aver “aperto gli occhi” a chi di voi è buono e sensibile, affinché non cada nella trappola.

Perciò… se avete realizzato di avere accanto qualche opportunista… prendete le distanze!
Anzi, tagliatelo fuori dalla vostra vita!
Solo così eviterete tante sofferenze.

La lettera che ogni figlia vorrebbe ricevere.

Figlia mia,
ricordati sempre di essere te stessa.

Non cadere nell’errore di “voler piacere” a tutti i costi, perché è sciocco, inutile e finiresti poi col non piacere più a te stessa, cioè a colei che ti amerà sempre più di chiunque altro.

So che arriverà il momento in cui sentirai il bisogno di compiacermi, magari meritando sempre bei voti a scuola oppure vincendo una gara sportiva, oppure comportandoti sempre come una “brava bambina”.

A chiunque farebbe piacere avere una figlia così, ma non a me se ciò significasse saperti angosciata al pensiero di non riuscire a ottenere un bel voto.
Non voglio poi che dall’esito di una gara dipenda la tua autostima e non voglio che tu sia la bimba perfetta né quella “sempre più brava, più gentile e più educata” di tutti gli altri.

Sii sempre te stessa, anche se dovrai lottare con i denti per non farti travolgere da quello che desiderano gli altri per te.

Impara ad ascoltare il tuo cuore: senti come batte?

Quella sei tu : sono le tue emozioni, sono i tuoi desideri…
Sono quello che conta di più, se vuoi vivere felice.
… ascoltandoti, infatti, scoprirai che per te esistono cose davvero importanti  e altre assolutamente inutili.

Sai, sarò felice se ti vedrò studiare con la passione di chi vuole imparare cose nuove e non per uno sciocco voto dato da un’insegnante che magari non ha capito niente di te.

Perché sai che cosa conta davvero nella vita?

L’impegno, la costanza, l’energia e l’entusiasmo… che guidano le nostre azioni verso i nostri obiettivi.
Se riuscirai a credere in questo, ti sentirai sempre speciale e nessuno riuscirà a farti sentire debole, fragile, incapace di camminare da sola.

Non permettere a nessuno di dirti come sei!

Lungo il tuo cammino, vedrai, ti capiterà certamente di incappare in quelli che sputano sentenze e si permetteranno di venirti a dire che “sei tagliata per…, ma limitata in…”, che “sei un tipo lunatico oppure sempre allegro” , che “sei una frana in…”, che “si vede che non ti interessa questo o quest’altro”, che “hai bisogno di un uomo così e così”.

Lasciali tutti parlare, figlia mia.
E più ne incontrerai e più dovrai trovare un angolo di pace in cui rifugiarti per guardarti dentro e per poter gridare al mondo: “Io sono io!”.

Ascolta le mie parole…
Ricorda che ti starò sempre vicina e che ti amerò per sempre.

                                                                                                                            La tua Mamma

Il segreto per sentirci felici è usare al meglio le nostre potenzialità.

Sapete quante persone “inconsapevoli” delle proprie potenzialità ci sono?

Tantissime!
E ne ho la conferma tutte le volte che inizio un percorso di Coaching.

Chi è forte, ma dice di sentirsi fragile;
chi è coraggioso e si considera debole;
chi è integro, sincero, onesto e pensa di avere problemi di adattamento;
chi è creativo ed è convinto di non esserlo solo perché non lavora né come pubblicitario né come artista…

Conoscere le proprie potenzialità è fondamentale, ma bisogna essere guidati a farlo.

Conosco una donna adulta che quando ne è diventata consapevole ha pianto dall’emozione e dalla gioia: si era sempre dipinta come i familiari l’avevano descritta, senza potersi rendere conto che quella non era lei.

La mamma e il papà l’avevano sempre definita in un certo modo e lei aveva messo insieme le loro “definizioni” e se le era cucite addosso come etichette, convinta che le appartenessero…

Ma quella NON era lei!
Per niente!

E infatti, arrivata ad un certo punto della vita, quelle “definizioni” hanno cominciato a starle strette, perché la stavano schiacciando e lei faticava a sopportarle.

Di fatto, però, non sapeva chi era e si osservava come fosse un’estranea.
Si era “persa”… ed era entrata in un momento terribile, di vera crisi.

Ma quello aveva segnato l’inizio della sua ricerca e della sua rinascita.

Per vivere pienamente, infatti, ed essere soddisfatti dobbiamo conoscere chi siamo: scoprire le nostre potenzialità e usarle al meglio in tutto ciò che facciamo.

Allora, sì, potremo sentirci felici, perché non c’è nulla di più gratificante di essere in armonia con noi stessi, con i nostri bisogni e con i nostri desideri.

Se vuoi “orientarti” bene, inizia in seconda media.

Gli studenti all’ultimo anno della “ex scuola media” hanno solo tre mesi di tempo (da settembre a dicembre) per decidere a quale scuola superiore iscriversi.

E’ una scelta importante, perché frequentare una scuola non adatta significa poi ritrovarsi demotivati, fare fatica a studiare e quindi avere un basso rendimento, che porta col tempo a sentirsi inadeguati, con la conseguenza di una scarsa autostima nelle proprie capacità.

Tutto questo può portare i ragazzi a non voler più cogliere nuove sfide né a mettersi alla prova.
In poche parole, a non volersi porre obiettivi, per paura di fallire o di non essere in grado di raggiungerli.

Ecco perché orientarsi bene è fondamentale.

Il percorso di Orientamento a scuola, fatto in classe con i docenti, è utile sia per capire le differenze tra i vari tipi di scuola superiore (liceo, istituto Tecnico, professionale, ecc.) sia per conoscere le caratteristiche specifiche di ciascuno (quali materie si studiano, per quante ore, quali sono gli indirizzi e gli sbocchi professionali).
Altrettanto utili, a questo scopo, sono le proposte dei singoli istituti: partecipare al loro Open Day permette di visitarli e di fare delle domande di approfondimento.
Di solito gli studenti trovano interessanti anche i Saloni dell’Orientamento, dove possono raccogliere informazioni e ricevere brochure da consultare con calma a casa insieme alla famiglia.

Nonostante questo, molti ragazzi sbagliano la scelta e si ritrovano bocciati al termine del primo anno.
Come mai?

I ragazzi non si conoscono.
Scelgono spesso in base alla “bravura” a scuola (sono bravo in matematica, quindi liceo scientifico), ma i buoni voti non predicono per forza i risultati futuri, che dipendono da tante variabili (i docenti, il gruppo classe, il contesto).

I voti perciò possono dare indicazioni fuorvianti, poiché non parlano dei desideri, dei sogni, delle passioni e degli hobby dei ragazzi.

Pensate al draghetto Grisù che sputava fuoco, ma voleva fare il pompiere e salvare la gente.
Quello era il suo sogno!

Perciò indaghiamo su che cosa li rende felici e, se non lo sanno, recuperiamo l’informazione da ciò che amavano fare da piccoli.

Quale attività fa perdere loro il senso del tempo e dello spazio?
Dovranno trascorrere cinque anni a scuola: come li vogliono passare?

Non focalizziamoli sul trovare lavoro in futuro, perché il mercato del lavoro è così mutevole che è impossibile prevedere quali saranno gli sbocchi professionali da qui a 5 anni.

Perciò meglio tenere in considerazione le loro potenzialità e aspirazioni, ma anche i loro tempi di concentrazione e il valore che attribuiscono allo studio.

Evitiamo le scelte fatte solo per vicinanza a casa, per seguire il gruppo di amici, per far felici i genitori, seguendo magari le loro orme, oppure per liberarci da una materia in cui facciamo un po’ fatica: le difficoltà fanno parte della vita ed è meglio imparare ad affrontarle, scoprendo come.

Studiare è faticoso, ma scegliere la scuola giusta può renderlo piacevole.

 

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato in un inserto sul Mondo della Scuola de “IL CITTADINO MB”  del 18 gennaio 2020.

Non festeggiare San Valentino se…

San Valentino è la festa di “chi è innamorato”.
Per questo ho pensato di sintetizzare il pensiero di alcuni illustri studiosi che parlano di amore “vero”, in modo da chiarirci le idee e valutare se festeggiarlo o meno.

Ecco 15 VALIDI MOTIVI per “NON FESTEGGIARLO”:

1) Perché credi di essere innamorata, ma non lo sei.
Infatti, provi una forte attrazione e pensi continuamente al partner, ma dopo aver provato per un po’ queste emozioni, perdi di interesse per lui.

2) Perché quando ti chiedono se sei “innamorata” del partner, rispondi elencando tutte le sue straordinarie qualità, ma non ti viene in mente di dire che cosa provi TU per lui.

3) Perché del partner vedi SOLO le mille qualità e quando, improvvisamente, compaiono i difetti, ti senti ingannata, tradita.
In realtà hai fatto tutto da sola.

4) Perché, sebbene tu ti senta “sulle nuvole”, non hai un PROGETTO COMUNE che ti leghi a lui.

5) Perché, anche se è trascorso molto tempo e dici di stare bene con l’attuale partner, in realtà NON hai sotterrato il passato e continui a soffrire per il tuo ex.

6) Perché hai una paura folle del futuro (invece chi è innamorato veramente non ce l’ha).

7) Perché non riesci ad avere piena fiducia nel tuo partner, ad abbandonarti e affidarti a lui.

8) Perché non senti l’importanza di essere “vera”, autentica e trasparente con il tuo partner.

9) Perché tra te e il tuo partner NON c’è l’apprezzamento (reciproco) di essere unici, straordinari e insostituibili per l’altro.

10) Perché NON ti senti accettata per ciò che sei e quindi cerchi di diventare ciò che il partner vorrebbe.

11) Perché con il tuo partner ci sono sempre continui SCONTRI. Una sorta di vita senza felicità “vera”. Un semplice “tirare avanti”.

12) Perché stai ormai facendo la CONTABILITÁ del dare e avere: “Io ti ho dato e tu no”.

13) Perché non senti il desiderio di chiedere spesso al tuo partner “Che cosa pensi?”
(chi è innamorato, invece, vuole sapere dell’altro, della sua vita, dei suoi pensieri nascosti).

14) Perché quando il partner ha dei problemi NON ti senti coinvolta, perciò gli dici: “Ti amo, ma risolvi prima i tuoi problemi e poi torna da me” (se sei innamorata, invece, i problemi del partner diventano spontaneamente anche i tuoi, da risolvere insieme).

15) Perché dici di amare il tuo partner, ma non lo porti con te nella tua vita: lo tieni separato dal tuo lavoro, dai tuoi amici, dai tuoi progetti per il futuro.
Continui la tua vita, senza modificare nulla, conservando sempre i tuoi rapporti (dai quali il partner viene escluso), mentre lui deve stare alle tue regole, sempre in attesa.

Se ti ritrovi in molti di questi punti NON sei innamorata (oppure non lo è il tuo partner di te).
Perciò a che serve “festeggiare”?

“Mi sentivo vuota e senza stimoli: per questo sono felicissima del mio percorso di Coaching!”.

Conoscevo Laura solo di nome.
Di lei sapevo che era una prof di scuola media, perché ne avevo sempre sentito parlare benissimo da genitori che l’avevano avuta.
Poi un giorno ho scoperto che era anche una Life Coach!

Bene!, ma cos’è una Life Coach???
Ho poi capito che era tutto quello di cui avevo davvero bisogno

Stavo vivendo un periodo particolarmente duro: avevo dovuto affrontare un grave lutto e una gravidanza.
Qualcosa in me non andava più bene…

E’ difficile da spiegare, ma non ero più io… O meglio: non mi “sentivo” più io.

Mi sentivo vuota e senza stimoli: volevo uscirne, ma non sapevo come.

Così, anche se ci ho messo un po’, alla fine mi sono decisa a comporre il suo numero.
Già da quella chiacchierata al telefono, Laura ha subito capito la mia situazione e io, dopo tanto tempo, finalmente mi sono sentita capita!

Ricordo il primo incontro…
Ricordo benissimo il sorriso con cui mi ha accolta: un sorriso difficile da dimenticare.

Cosi è iniziato il mio percorso alla scoperta delle mie potenzialità e non solo.

Laura mi ha aiutata a capire quale obiettivo pormi per tornare a sentirmi me stessa e mi ha aiutata a costruire il “ponte” per raggiungere la mia meta.

Mi ha vista piangere e sorridere, ha gioito con me per ogni mio piccolo traguardo raggiunto, mi ha spronata e a volte anche bacchettata.

Non potrò mai smettere di ringraziarla per il lavoro fatto con me!

La mia vita ha una strada ancora lunga… ma se guardo indietro sono felicissima del cammino che ho fatto.

Anzi!, che “abbiamo” fatto. 😊

Alessia B.

Se vuoi figli felici, non metterli sotto una campana di vetro.

Ci sono aspetti dei figli che sfuggono anche ai genitori più attenti e che finiscono per preoccuparli.
Parliamo di ragazzi che ci appaiono ansiosi, inquieti, che sembrano non riuscire a sopportare le tristezze e i dolori della vita… Sì, insomma, ragazzi che talvolta definiamo “disorientati”.

Queste caratteristiche (se prive di cause oggettive) ci danno un’informazione preziosa, a cui magari non abbiamo mai pensato, ovvero che

i ragazzi abbiano un concetto di felicità legato solo ai “piaceri immediati”,

quelli del presente, di ciò che va consumato al momento, come il pomeriggio alla Spa, la serata in discoteca, la cena al “All you can it”, i week-end fatti per “staccare la spina” che regalano un benessere molto limitato.

Un piacere che dura il tempo del momento, ma che poi non li fa stare bene, ma li costringe ad una continua ricerca di felicità.

Ed ecco, allora, che anche il rientro dalle vacanze diventa un dramma.
E quando i genitori vedono i figli infelici, nonostante ciò che di bello hanno vissuto, iniziano a pensare che qualcosa in loro non vada.

Il sospetto viene poi confermato dalle affermazioni degli altri: “Eh, ma come mai non è felice? Con la vacanza che gli avete fatto fare…”.

E così i genitori attenti cominciano ad indagare: prima con semplici domande “Ma che cos’hai?”, “E’ successo qualcosa?” e, trovandosi di fronte un figlio/a infelice che non sa nemmeno spiegare il perché, temono il peggio e corrono ai ripari con visite, esami e poi cure.

Il risultato però non cambia: il figlio resta infelice.

E allora l’aggettivo che comincia a definirlo più spesso è “poverino”! Già, perché evidentemente le cure non funzionano e non è certo colpa sua se è così abbattuto e in ansia.
“Forse è depresso”…

Vedete, con questo atteggiamento però noi li facciamo sentire delle vittime e quindi togliamo loro qualsiasi responsabilità nell’affrontare ciò che crea loro disagio.

Sono giù di morale, tristi, infelici: tutte emozioni negative da cui vogliono fuggire.
Desiderano essere felici e stanno male se devono convivere con ciò che li mette a disagio.

Ma noi sappiamo bene che la Vita è piena di avversità più o meno pesanti da affrontare.

I ragazzi oggi cercano una vita priva di problemi e spesso i genitori fanno in modo di “regalargliela”.
Solo che questo stile educativo indebolisce i ragazzi, perché non li allena ad affrontare le avversità.

Se amiamo i nostri figli, dobbiamo lasciare che affrontino le difficoltà.
Solo così li aiuteremo a crescere, a far emergere le loro risorse.

Quindi, se vogliamo il bene dei nostri figli, non spianiamo loro la strada.

E sapete perché così facciamo loro un regalo prezioso?

  • Diamo loro la possibilità di migliorare la stima che hanno di sé, perché potranno scoprire le loro capacità nascoste.
  • Le avversità (come un lutto, un divorzio, un licenziamento, una malattia in famiglia) diventeranno un filtro nelle loro relazioni sociali. Pian piano impareranno a separare gli amici del sabato sera da quelli veri, a cui si affezioneranno ancora di più, visto che li avranno avuti vicini nel momento del bisogno.
  • Miglioreranno il senso della vita, perché – affrontando problemi anche seri – cambieranno le loro priorità.

Perciò… non sostituiamoci ai nostri figli, non mettiamoli sotto una campana di vetro: non trasformiamoli in esseri fragili e indifesi.

Troveranno la vera felicità solo quando saranno capaci di superare le difficoltà e non avranno paura di fare dei progetti e di realizzarli.

Vuoi farti notare? Usa meglio lo smartphone!

Oggi la gente ama farsi notare per come si veste, per ciò che possiede, per le persone che frequenta, per i followers che ha sui social.

Uno degli elementi che vengono meno considerati per farsi notare è l’educazione.

Parliamo pure in generale, ma fateci caso: è proprio così.
Eppure “essere educati” significa adottare comportamenti positivi, che rendono migliori noi, ma anche i nostri figli e quindi l’intera società.

Sono forse un’illusa? Non credo proprio.

Migliorare il mondo in cui viviamo è possibile: dipende da ciascuno di noi.

E allora perché non partire dall’uso dello smartphone?
Quell’oggetto che ormai è parte integrante di noi, quasi una sorta di appendice?

Vediamo cosa possiamo fare concretamente per dimostrare agli altri che “essere educati” fa bene a tutti:

  • Quando siamo in mezzo agli altri, evitiamo di “urlare” al cellulare. Basta usare un tono di voce che non disturbi e che non obblighi gli altri ad ascoltare i fatti nostri.
  • Quando siamo in pubblico, non mettiamoci a discutere, litigare, raccontare fatti privati facendo nomi e cognomi. Le persone hanno già i propri problemi e non è il caso che si sorbiscano anche i nostri.
  • A tavola non teniamo il cellulare sul tavolo (vicino al tovagliolo). Il pasto è il momento di guardarsi in faccia e di scambiare qualche parola, perciò niente tablet né cellulari.

Sì, vabbè Coach, ma come facciamo a farlo rispettare ai figli?

Vi suggerisco un modo semplice ed efficace: puntate un timer da cucina su quanto tempo prevedete che durerà il pranzo o la cena e, finché non suonerà, il cellulare resterà in un’altra stanza o in una cesta apposita. 😉

  • Al ristorante o a casa di amici, mettiamo in vibrazione il cellulare ed evitiamo di far “suonare” le notifiche: in questo modo dedicheremo tutta la nostra attenzione agli amici, che lo apprezzeranno.
  • Nei luoghi culturali (teatro, cinema, mostre e musei), ma anche nelle chiese o nelle aule universitarie e scolastiche, mettiamo la modalità “silenzioso” e teniamola per tutto il tempo necessario. Sarà per noi un vero stacco dalla quotidianità e dimostreremo rispetto per chi lavora o visita questi luoghi.
  • Usiamo il vivavoce solo se siamo da soli, magari in macchina. Anche per ovvie questioni di privacy.
  • In linea generale, a proposito di lavoro, a meno che la professione della persona a cui telefoniamo non preveda la reperibilità h.24, cerchiamo di chiamare tra le 9 e le 18 e non al di fuori. E se proprio non possiamo farne a meno, chiediamole: “Può parlare in questo momento?” e aggiungere “Oppure vuole che la richiami?”.
  • Con amici, familiari e parenti, invece, vale sempre la buona norma di non telefonare durante i pasti (ad esempio h.12.00-13.45 e h.19.30-21), ma nemmeno dopo le h.22, perché potrebbero allarmarsi.

Se ci pensate sono piccoli accorgimenti che però fanno la differenza.
A noi non costano nulla, ma ci fanno guadagnare in “immagine” oltre che in sostanza.

Che ne dite?