Scopri che cos’è per te la Felicità e ti sarà più facile raggiungerla.

Siete sicuri di sapere che cos’è per voi la FELICITA’?

Nel Coaching scoprire “che cos’è la felicità” per il cliente è fondamentale, perché è utile a capire se il suo obiettivo, una volta raggiunto, gli regalerà il “ben-essere” e quindi lo farà davvero vivere meglio, in modo più appagato.
A me Coach riesce semplice, ma al cliente no.
Sapete perché?

Perché la felicità è soggettiva e a volte é difficile da riconoscere, anche quando l’abbiamo raggiunta.
Può trovarsi nelle buone relazioni, nel successo personale, nel guadagno

Per voi che cos’è la felicità?

Perché se non siete in grado di definirla chiaramente, non riuscirete certo ad ottenerla.

Provate a scrivere una LISTA, lasciandovi guidare da queste semplici domande:
– Come vorreste che fosse la vostra vita?
– Quali obiettivi vi siete posti?
– Quali esperienze desiderate fare?
– Che tipo di persona volete essere?
– Con chi volete trascorrere la vita?

E’ ovvio che il futuro non è sotto il vostro totale controllo e può capitare di non arrivare alla meta a causa di imprevisti.
Tuttavia, scrivere “nero su bianco” i vostri desideri profondi li fa sembrare raggiungibili e vi permette di concentrarvi su alcuni obiettivi chiari.

Significa, quindi, AVERE DEI PUNTI FERMI nella mappa del vostro futuro e sapere in quale direzione muovere i primi passi.

Provateci (se non l’avete già fatto).

Istruzioni per… essere un buon genitore!

Una delle domande più frequenti che si pongono i genitori in attesa è “sarò capace di essere un buon genitore?”.
L’istinto purtroppo non basta.
Perciò è meglio informarsi e magari seguire alcuni suggerimenti, in modo da placare ansie, dubbi e preoccupazioni. Purtroppo i figli non arrivano col manuale delle istruzioni!

Perciò… che tu sia prossimo a diventare genitore o che tu abbia già figli – piccoli o addirittura adolescenti – ecco alcuni buoni consigli!

1) Diventa un buon modello!
Non finirò mai di dirlo: i figli, di qualsiasi età, imparano da noi, imitandoci.
Perciò, insegnagli a distinguere ciò che è bene da ciò che è male; sii amorevole, empatico, positivo e porta loro il rispetto che vuoi per te.

2) Prenditi cura di te!
Significa che se sei troppo stanco, stressato, assonnato non puoi prenderti correttamente cura di un bambino.
Perciò, fai in modo di mangiare sano, bere liquidi e riposare.
E se riesci, per un’ora alla settimana cerca di dedicarti ad uno sport o ad una attività che ti piace: fai in modo di svolgerla fuori casa e senza tuo figlio, in modo da “staccare la spina”.

3) Sii organizzato!
Un genitore organizzato trasmette sicurezza e i bambini placano le loro ansie, se sanno com’è organizzata la giornata.
Perciò stabilisci degli orari fissi per cenare, andare a letto e definisci anche il tempo del gioco (che sia fuori casa o davanti ad un pc o sullo smartphone).
Tuo figlio deve conoscere questi orari e ciò che lo aspetta di giorno in giorno (come la visita dal dentista, lo sport, ecc.).
Assegna a tuo figlio un piccolo “dovere” (come rifarsi il letto o apparecchiare), perché tutti in famiglia ne hanno. In questo modo lo preparerai anche alla vita fuori casa.

4) Dai amore e abbracci!
Tuo figlio ha bisogno di sentire che lo ami tutti i giorni, perciò fagli sapere che è importante per te.
Mostragli il tuo amore, anche con un abbraccio: lo aiuterà ad accrescere la sua autostima e ad imparare ad amare gli altri.

5)Ascolta e comunica!
Sii un buon ascoltatore, in modo che tuo figlio sappia di poterti parlare sempre di qualsiasi cosa.
Se saprai ascoltare, è probabile che anche tuo figlio svilupperà questa qualità.
Se è già adolescente, affronta argomenti delicati come la droga, l’abuso di alcool, la guida spericolata, in modo che diventi consapevole delle conseguenze.
Parlagli dei veri amici e insegnagli a distinguerli dai falsi amici.
E quando comunichi con lui, usa un tono pacato, non urlare!
Altrimenti tuo figlio si chiuderà e non ascolterà più nulla di ciò che gli dirai.

5) Scegli le battaglie da combattere!
Non impuntarti su qualsiasi cosa: controlla che tuo figlio non faccia del male a sé o agli altri (in questo caso intervieni in modo fermo), ma se sbaglia qualcosa senza rendersene conto, non punirlo, ma dialoga con lui.

6) Sii positivo!
I figli amano essere lodati dai propri genitori, ma tu fallo senza esagerare, cioè quando ve n’è motivo.
Dimostragli di essere soddisfatto di lui, ma se desideri spronarlo a fare meglio, non dirgli: “Sono contento che tu abbia vinto la partita, MA potresti schiacciare meglio quella palla!”.
Prova invece così: “Sono contento per la vittoria! Ti va se il prossimo sabato lavoriamo sulle tue schiacciate?”.
Questo incoraggia tuo figlio ad avere una migliore immagine di sé, piuttosto che deprimerlo.

7) Metti dei limiti!
Stabilisci dei limiti per i tuoi figli e falli rispettare.
Loro proveranno a scavalcarli per avere più libertà.
Talvolta i bambini fanno fatica a capire che i limiti sono imposti per il loro bene, perciò parlagliene: cerca di farti capire, usa degli esempi concreti.

8) Lascia che prenda coscienza dei suoi errori!
Se tuo figlio commette un errore, aiutalo a pensare a come affrontarlo.
Così favorirai la sua capacità di problem solving e lo aiuterai a diventare più responsabile.

9) Lascia che sia indipendente!
Magari per te è difficile restare a guardare, mentre tuo figlio di tre anni insiste per vestirsi da solo con abbinamenti orribili o stravaganti.  Ma lasciaglielo fare (entro limiti ragionevoli)!
Se lui imparerà a fare da solo, tu sarai un po’ meno stressato!

10) Organizza delle uscite con la tua famiglia!
Ci sono tante cose da vedere e da vivere: musei, gite in mezzo alla natura per imparare a identificare le piante, gli alberi e i fiori, uscite al parco, in bicicletta, a cercare funghi o castagne, a giocare con la neve…
In questo modo trascorrerai del tempo con tuo figlio e contemporaneamente gli insegnerai qualcosa.

11) Leggi per lui!
Se hai un bimbo piccolo, finire la tua giornata leggendo qualcosa a tuo figlio, gli dimostra quanto tieni a lui e al tempo trascorso insieme. E’ un momento molto intimo, che ti connette a tuo figlio e gli trasmette inoltre il desiderio, un domani, di leggere.

Ora sai in quanti modi puoi diventare un genitore speciale…
Forza! Non ti resta che provare!

Lo sport è salute, ma non dirlo a tuo figlio adolescente!

Oggi parleremo di “adolescenti e sport”: dalla scelta o meno di dedicargli del tempo, ai suoi benefici, ai motivi per cui vogliono praticarlo, alla decisione di abbandonarlo per poi passare  – magari – ad un altro. E scopriremo come noi adulti dobbiamo comportarci di fronte alle loro scelte.

Prima però cerchiamo di capire chi è l’adolescente, così sarà più semplice comprendere le sue mosse.

L’adolescenza ai giorni nostri inizia verso i dieci – undici anni e termina verso i ventiquattro – venticinque. E’ un periodo della vita che coincide con la pubertà, cioè con un importante cambiamento fisiologico, dove si passa dall’essere bambini all’essere adulti sia nel corpo sia nella mente.
Il cervello, infatti, il corpo, le sensazioni, le idee e le curiosità subiscono grandi modifiche.
Inoltre “si cambia carattere” e si acquisiscono nuove capacità: si diventa capaci di prendere decisioni, di pianificare; si avverte la “spinta” ad agire; si hanno nuovi valori e si sviluppano nuove capacità di relazione.
In questa fase di totale cambiamento, i ragazzi hanno bisogno di sperimentare, di fare nuove esperienze, di dimostrare a se stessi e agli altri di “essere capaci”, oltre ad avere tanta energia da scaricare.

Lo sport, da sempre, è sinonimo di salute a tutte le età e durante l’adolescenza lo è ancora di più. Ecco perché i pediatri sono preoccupati: le loro ricerche attestano che gli adolescenti totalmente sedentari sono tantissimi! E il fenomeno riguarda soprattutto le ragazze, in una percentuale che va dal 24% (tra i 15 e 17 anni) al 30% (tra i 18 e i 19 anni).
Secondo i medici, la colpa è da attribuire alle nuove tecnologie (tv, computer o smartphone) che vengono utilizzate per 3 o 4 ore al giorno.
Tuttavia, a peggiorare le cose vi sono anche i genitori. Pensate che in terza media 4 minori su 10 vengono accompagnati a scuola in auto, mentre solo il 24% va a piedi e solo il 9% in bici. E questo non aiuta!
Il problema è davvero serio, visto che il 60% dei giovani italiani trascorre tra le 10 e 11 ore comodamente seduto, mentre dovrebbe praticare almeno un’ora al giorno di attività motoria per raggiungere uno sviluppo psicofisico armonico e salutare.
Basterebbe correre o passeggiare nel parco (magari col cane), fare un giro in bicicletta oppure godersi una nuotata in piscina.
La realtà quindi ci dimostra che i nostri adolescenti non sono sportivi, ma semplici “spettatori” dello sport, che seguono in TV.

Ma cosa cercano i nostri figli nello sport?

Dipende dall’età:
– a 5 – 10 anni vogliono giocare ed entusiasmarsi.
– A 11-14 anni desiderano vedere fin dove possono spingersi e quindi possono programmare e darsi obiettivi a lungo temine, impegnandosi anche nella cooperazione. Questa è la fascia d’età in cui la pratica sportiva è al massimo!
– A 15-20 anni possono scegliere di intraprendere la strada del professionismo oppure di raggiungere e mantenere la migliore forma fisica e la competenza sportiva. Tuttavia le statistiche dimostrano che è il periodo in cui vi è un netto calo nella pratica sportiva.

I motivi per cui gli adolescenti abbandonano la pratica sportiva sono:
– La scuola, per l’eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%)
– Il tipo di sport , che ormai annoia (65,4%) o è troppo faticoso (24,4%) oppure per la presenza di istruttori troppo esigenti (19,4%)

Cosa fare se nostro figlio vuole abbandonare?

Certamente dobbiamo incoraggiarlo a fare vari tentativi per trovare il suo sport preferito.
Significa che non lo criticheremo se ne inizierà uno e poi lo abbandonerà per provarne un altro.
La cosa importante è che scelga lo sport che gli piace di più e che si alleni per rendere più forti i suoi muscoli.
Pensate a sport aerobici, come nuoto, pattinaggio o corsa, da abbinare a quelli anaerobici come la ginnastica a corpo libero con esercizi di potenziamento e resistenza.

Non dimentichiamo che i ragazzi scelgono di praticare uno sport per:
amicizia, cioè per passare il tempo libero con i componenti del gruppo, oppure
– per naturale ribellione verso l’autorità dei genitori, che magari preferirebbero che il figlio facesse altro.

Il vero criterio da seguire nella scelta, però, dovrebbe sempre essere il gusto personale del ragazzo. Perciò lasciamo che scelga lui! E se sarà per lui una delusione… pazienza!
L’importante è che se ne renda conto da solo e non perché glielo suggeriamo noi!

E se nostro figlio é indeciso, come aiutarlo?

Di sicuro cercando di non imporre qualcosa che piace solo a noi.
Cerchiamo di parlarne con lui: analizziamo insieme le motivazioni della sua possibile scelta, i pro e i contro dei vari sport e poi lasciamogli del tempo per valutare.
In particolare:
Non facciamogli la predica sulla vita sedentaria, la salute, ma parliamo di divertimento e gioco.
– Facciamogli capire qual è la differenza tra sport di gruppo e individuali per valutare quali sono più adatti a lui.
– Diamogli la buona regola di non stare davanti a tv, pc e cellulare per più di 2 ore al giorno, così che abbia il tempo per praticare uno sport o comunque di muoversi.
– Per quanto sia difficile, proviamo a dare il buon esempio, praticando a nostra volta uno sport da soli o insieme a lui.

E quali sono i vantaggi che nostro figlio può ottenere grazie allo sport?

Sicuramente potrà sviluppare alcune caratteristiche positive come l’autonomia e la consapevolezza dei suoi limiti, ma anche allenare il suo spirito di iniziativa, la sua responsabilità, spingendolo alla socializzazione e alla cooperazione.
Lo sport inoltre insegna a pensare, valutare e proporre.
Per questo è considerato altamente educativo, al pari della famiglia e della scuola.

Ora che abbiamo chiaro quanto sia importante che nostro figlio faccia attività fisica, non ci resta che dialogare con lui per… proporgliela!

La lettera che tuo figlio adolescente non può scriverti!

Ho ritrovato questa bellissima lettera del 2015, scritta da Gretchen Schmelzer, psicologa e blogger statunitense, e ho pensato di condividerne la traduzione.

Caro Genitore,
questa è la lettera che vorrei poterti scrivere.

Di questa lotta in cui siamo, ora, ne ho bisogno. Io ho bisogno di questa lotta.
Non te lo posso dire perché non ho le parole per farlo e in ogni caso non avrebbe senso quello che direi. Ma, sappi, che ho bisogno di questa lotta. Ne ho bisogno disperatamente.

Ora ho bisogno di odiarti e ho bisogno che tu sopravviva a questo odio.
Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiarti e al tuo odiare me.
Ho bisogno di questo conflitto anche se, nello stesso momento, pure io lo detesto.
Non importa nemmeno su cosa stiamo a litigare: sull’ora di rientro a casa, sui compiti, i panni sporchi, sulla mia stanza incasinata, sull’uscire, sul restare a casa, sull’andare via di casa, vivere in famiglia, fidanzato, fidanzata, sul non avere amici, o sull’avere cattivi amici. Non ha importanza.

Ho bisogno di litigare con te su queste cose e ho bisogno che tu lo faccia con me.

Ho disperatamente bisogno che tu mantenga l’altro capo della corda. Che lo mantenga forte mentre io strattono l’altro capo dalla mia parte, mentre cerco di trovare appigli e punti d’appoggio per vivere dentro a questo mondo nuovo in cui mi sento.
Prima sapevo chi ero io, chi eri tu, chi eravamo noi. Ma ora, non lo so più.
In questo momento sono alla ricerca dei miei confini e a volte riesco a trovarli solo quando tiro questa fune con te. Quando spingo tutto quello che conoscevo al suo limite.
In quel momento io sento di esistere e per un minuto riesco a respirare.
E lo so che ti manca quel dolcissimo bambino che ero.
Lo so, perché quel bambino manca anche a me e a volte questa nostalgia è quello che rende tutto così doloroso in questo momento.

Io ho bisogno di questa lotta e ho bisogno di vedere che i miei sentimenti, non importa quanto tremendi o esagerati siano, non distruggeranno né me e né te.
Ho bisogno che tu mi ami anche quando sono il peggiore, anche quando può sembrare che io non ti ami.
In questo momento ho bisogno che tu ami te stesso e me, che tu ci ami entrambi.
Lo so che fa schifo essere antipatici e avere l’etichetta di “cattivo ragazzo”.
Anche io provo la stessa cosa dentro, ma ho bisogno che tu la tolleri, e che ti faccia aiutare da altri adulti a farlo. Perché io non posso farlo in questo momento.
Se vuoi stare insieme ai tuoi amici adulti e fare un “gruppo di auto-mutuo-aiuto-per-sopravvivere-al-tuo-adolescente”, fa’ pure. O parlare di me alle mie spalle, non mi importa.
Solo ti chiedo di non rinunciare a me, di non rinunciare a questo conflitto. Io ne ho bisogno.

Questa battaglia con te mi insegnerà che la mia ombra non è più grande della mia luce.
Questo conflitto mi insegnerà che i sentimenti negativi non significano la fine di una relazione.
Questo è il conflitto che mi insegnerà come ascoltare me stesso, anche quando questo potrebbe deludere gli altri.

E questa battaglia particolare, finirà.
Come ogni tempesta, sarà spazzata via. E io dimenticherò, e tu dimenticherai.
E poi tornerà di nuovo. E allora io avrò bisogno che tu regga la corda ancora. Avrò bisogno di questo ancora per anni.

Lo so che non c’è nulla di intrinsecamente soddisfacente in questa situazione per te.
Lo so che probabilmente non ti ringrazierò mai per questo, o neanche te lo riconoscerò.
Anzi probabilmente ti criticherò per tutto questo duro lavoro. Sembrerà che tu non faccia niente, che non sia mai abbastanza per me.
Eppure, mi affido interamente alla tua capacità di restare in questa battaglia.
Non importa quanto io polemizzi, non importa quanto io mi lamenti. Non importa quanto io mi chiuda in silenzio.

Per favore, resta dall’altro capo della fune. Sappi che stai facendo il lavoro più importante che qualcuno possa mai fare per me in questo momento.

Con amore, il tuo teenager.

© 2015 Gretchen L Schmelzer PhD

Qui il testo originale: The letter your teenager can’t write you

Metti ordine fuori e “dentro” di te!

Durante una sessione di Life coaching, una donna si lamenta di sé: “C’è disordine in casa e non lo sopporto! E’ che al disordine  fuori corrisponde il disordine che ho in testa! Cos’ho che non va?”.

Se anche voi vi siete posti la stessa domanda, sappiate che più siamo tesi, nervosi e più aumenta il nostro disordine in casa, come quasi a voler trasferire fuori la confusione che abbiamo dentro di noi.
E parliamo di “casa” perché quella è il nostro spazio privato, intimo: come direbbe Giovanni Pascoli, il nostro nido.
Molti psicologi spiegano che la casa rappresenta il nostro mondo interiore e può quindi essere la “foto” di come ci sentiamo in quel momento.
Attenzione: non significa che chi è disordinato, per forza abbia problemi che gli tolgono serenità. Magari il suo disordine è rappresentativo di una mente piena di idee, creativa.
Basta non giustificarsi, però, dicendo: “Anche mia madre lo era”, perché essere disordinato non è ereditario e non c’entra nemmeno con la mancanza di tempo.

Perciò… cosa succede se ci accorgiamo che la confusione in casa aumenta e noi non siamo dei disordinati cronici?

Certamente, dicono gli esperti, è sintomo di un disagio.

Potrebbe trattarsi di una decisione importante che non riusciamo a prendere, della lite con una persona a cui vogliamo bene, di un momento in cui abbiamo il morale un po’ a terra…
Potrebbe essere anche un modo per non guardarci dentro o per non riconoscere i nostri limiti.
Ecco quindi che lasciamo in sospeso questioni che ci tolgono serenità: le mettiamo lì e le lasciamo senza soluzione oppure le rimandiamo, esattamente come rimandiamo di mettere in ordine.

Lasciamo che i problemi vaghino per la nostra mente proprio come gli oggetti sparsi per casa.

Al lavoro ci sforziamo di essere in ordine, ma a casa ci lasciamo andare e siamo sciatti, trascurati, perché non ci prendiamo più cura di noi: i pensieri sono tutti rivolti a ciò che ci procura disagio.
E se un familiare ci fa notare come ci siamo ridotti, è peggio, perché al disagio si aggiunge il senso di vergogna.
Ci rendiamo conto di dover mettere in ordine la casa, ma proviamo un senso di fatica e ciò è legato al fatto di non avere le energie neppure per intervenire sui problemi della nostra vita.

E allora cosa fare? Come uscire da questo circolo vizioso?

Talvolta è sufficiente un evento positivo per darci nuovamente la spinta a ripartire.
Dobbiamo lasciare che il “nuovo” sostituisca il vecchio: le vecchie abitudini, i vecchi brutti pensieri, i vecchi oggetti, le vecchie storie d’amore o di amicizia ormai finite…
Partiamo da ciò che ci sta a cuore oggi e tagliamo “i rami secchi”: teniamo l’essenziale e liberiamoci da tutto ciò che non serve alla nostra vita (condizionamenti, giudizi e critiche distruttive…).

E visto che i cassetti, le scatole e gli armadi rappresentano il nostro mondo interiore, come rimettere ordine?

La prima cosa da fare è prenderci almeno mezz’ora di tempo per rispondere a semplici domande e “riflettere”:

  • Quali sono i miei bisogni oggi? (perché certamente saranno cambiati rispetto a quelli di tanti anni fa).
  • Quali sono le cose più importanti per me? (scriviamole in ordine: dalla più importante a quella meno).
  • Quali sono le cose assolutamente superflue nella mia vita? (scriviamole)
  • Di che cosa voglio circondarmi d’ora in poi nella mia vita quotidiana? (mettiamolo nero su bianco).

Dobbiamo muoverci nella direzione di cambiare la nostra esistenza, il nostro modo di vivere. E la nostra casa può aiutarci in questo: guardiamo a lei, ma pensando a noi.
Non è facile, ma occuparci di ciò che è utile e distinguerlo da ciò che è superfluo in casa, può stimolarci a farlo anche nella nostra Vita.

Bene, dunque! Avete scritto le risposte? Allora proseguiamo!

Prendiamo una decisione importante e scegliamo un momento “speciale”, nel quale non metteremo in ordine le cose come facciamo quotidianamente, ma faremo sul serio.
Organizziamoci in modo da avere la casa libera da figli, partner, animali domestici, così da non dover dare retta a nessuno e poterci concentrare solo sul riordino speciale, che deve essere solo quella volta e andare in profondità.
Poi…

  • Scegliamo da quale categoria partire (libri? Vestiti? Scarpe?) e non da quale stanza.
  • Lasciamo per ultima la categoria dei “ricordi” (foto, lettere, ecc).
  • Esaminiamo bene tutta la categoria (es. vestiti).
  • Scegliamo che cosa conservare, in base alle emozioni positive che ci trasmette (es. Apriamo il nostro armadio e chiediamoci: “Quel vestito mi fa battere il cuore?” . Se la risposta è “no”, eliminiamolo).
  • Non iniziamo a organizzare gli spazi se prima non abbiamo finito di buttare.
  • Buttiamo via tutto ciò che abbiamo scartato (senza rifilarlo a mamme, sorelle, ecc).

Per finire, ricordiamoci altre indicazioni utili di Marie Kondo, una vera professionista del riordino:

  • Evitiamo di riordinare se siamo tesi, di umore nero.
  • Teniamo la tv spenta, in modo da non distrarci.
  • Per rilassarci, ascoltiamo musica (ma senza parti cantate), così resteremo concentrati.
  • Iniziamo di buon mattino, quando siamo pieni di energie.

Persone tossiche: è il nostro corpo a dircelo!

Non tutte le frequentazioni che abbiamo ci fanno bene.
Ve ne siete mai accorti?

Se siamo ansiosi, ad esempio, può capitare di avvertire una sensazione di disagio in presenza di alcune persone, le quali – magari – ci parlano con particolare foga o ci assillano di domande ogni minuto.

Mi viene in mente una madre che, ogni qualvolta la figlia aveva un malessere, le domandava mille volte: “Come va?”, “Come stai? E’ passato un po’?”.
Col risultato che la figlia stava peggio.

Ci sono persone, amiche o familiari, che noi frequentiamo da anni, senza renderci conto che ci procurano “problemi”.
E come facciamo a scoprirlo?

Non è difficile, basta che “ascoltiamo” i segnali che ci manda quel saggio del nostro corpo.

A me era capitato diversi anni fa di rendermi conto che, dopo un po’ che mi trovavo in compagnia di un’amica, cominciava a dolermi il collo.
Un dolore sempre più acuto, al quale però non avevo mai associato la persona.
Quando lei ha cambiato città e quindi abbiamo smesso di frequentarci, il dolore è scomparso.
Allora ho capito: questa donna, sempre nervosa, tesa, sfogandosi con me non faceva altro che scaricarmi addosso tutti i suoi pesi.
E io me li caricavo sulle spalle, così che il collo si irrigidiva.

Sono tanti i segnali a cui possiamo stare attenti: la nausea, la tensione alle spalle, il mal di testa, di stomaco, di schiena…

L’importante è cominciare a farci caso e a domandarsi:
“Ma questa persona MI FA BENE?”.

E se la risposta finale è NO, valutare di diradare gli incontri o allontanarsi del tutto…

E se non possiamo farne a meno… essere consapevoli che rientrando a casa dopo averla frequentata… avremo un bel dolore o fastidio da qualche parte.

Lavoro con le persone: devo sempre essere al top per aiutarle?

Giorni fa passeggiavo in un parco con una insegnante di scuola materna, la quale mi raccontava le sue fatiche. Ad un certo punto mi confida: “Sai, riesco sempre a dare buoni consigli ai genitori dei miei bambini… Me ne rendo conto perché risolvo spesso i loro problemi educativi e familiari”.

Poi, con il tono sconfitto, osserva: “Ma allora, perché quando i problemi riguardano me e la mia vita non sono capace di trovare una soluzione?”.
E con un filo di voce e l’aria seria: “Ma a te, Laura, come Coach, abituata a sorreggere gli altri e a renderli felici, non capita mai di non riuscire ad aiutare te stessa e per questo starci male?“.

“Sentivo” perfettamente il suo disagio, perché era stato oggetto di tante mie riflessioni.

Anch’io, appena diventata Coach, nei momenti di frustrazione, dubbio, debolezza, mi ero chiesta: “Come posso aiutare gli altri, se non riesco a essere sempre al massimo?”.
Poi mi ero ricordata di quando il mio insegnante di Coaching, Luca Stanchieri, aveva chiarito che il Coach non è colui che ha trovato magicamente la chiave della felicità e quindi è senza problemi.

Così le ho risposto: “Vedi, come professionista DEVO essere in grado di portare al risultato e alla serenità il mio cliente, ma come essere umano possono capitare momenti in cui sono triste o abbattuta. Ciò che conta è la professionalità“.

“Se tu, ad esempio, andassi a fare terapia di coppia da una brava psicoterapeuta, ti importerebbe se lei fosse divorziata?”.
“E se fossi malata e ti rivolgessi ad un medico molto preparato, avresti meno fiducia scoprendo che è malato di cancro?”.

Così, per rassicurarla, ho concluso: “Nessuno di noi è immune da malattie e dispiaceri.
E nessuno ha perfettamente sotto controllo la vita.
Ma se sei una professionista, questo non deve influire sul tuo lavoro.
E questa è la spiegazione per cui sei tanto brava con gli altri e invece, quando sei coinvolta come essere umano, perdi lucidità e ti sembra di non trovare più la soluzione al tuo problema”.

Emozioni: che fatica essere maschi!

Parliamo di maschi ed emozioni… e lo so che le “femmine” avranno da ridire, ma resta il fatto che i maschi non hanno una vita semplice come a volte siamo solite credere.

Spesso li accusiamo di essere “insensibili”, e forse qualcuno lo è.

La maggior parte, però, cresce sentendo il dovere di “nascondere” i propri sentimenti, le proprie emozioni, perché ancora oggi l’immagine del maschio che va per la maggiore è quella di colui che raramente è triste, abbattuto, incerto o sofferente.

Di un maschio si può dire tutto: che è disordinato, distratto, superficiale… Insomma, i peggiori difetti.
Ma nessun maschio vorrebbe essere definito “vulnerabile”, perché ne andrebbe della sua immagine e del suo ruolo.

E così, sin da piccoli, imparano a non esternare le proprie emozioni.
Avete presente quando un maschietto piange perché si è fatto male o ha paura?
Spesso la risposta di chi gli sta intorno è: “Su, smettila di fare la femminuccia!”.
E non c’è nulla di peggio che essere considerati delle femmine, perché significa “non essere maschi”.

I maschi, quindi, imparano a non mostrare i propri sentimenti, a non renderli pubblici.

Come fanno allora, quando sono a terra?

Cercano di distrarsi, magari uscendo di casa: c’è chi va a correre, chi va al bar vicino a casa, chi fa un giro in auto, in moto o in bici, chi si dedica a uno sport, chi fa bricolage.
A casa, intanto, mamme, mogli, compagne, fidanzate si lamentano e si arrabbiano, perché in certi momenti difficili, loro – i maschi – reagiscono con il SILENZIO.

Ma loro non hanno intenzione di farci stare male;
non stanno in silenzio perché non hanno nulla da dire;
non sono privi di sentimenti o emozioni.

E’ solo che, manifestare il loro dolore, parlare della loro sofferenza, li farebbe apparire “fragili” e non lo vogliono.

Noi femmine, anche le più forti, possiamo permetterci il lusso di piangere, di crollare, di chiedere aiuto…  I maschi no, perché sin da piccoli sanno che non verrebbe apprezzato.

E questo è profondamente sbagliato.

Il fondamentale rapporto padre e figlia: cosa fare quando diventa difficile?

Se sei un papà, sai bene che quando tua figlia era piccola, ti adorava e non vedeva l’ora di trascorrere del tempo con te, per giocare insieme. Tu la guardavi ammirato e intenerito: amavi vederla crescere, anche se un po’ ti dispiaceva, perché volevi che restasse sempre “la tua piccolina”.

Poi gli anni sono volati e te la sei ritrovata cresciuta! Tu non sei più il suo eroe e a te lei preferisce le sue amiche. Non sei più neppure il suo “principe azzurro”, perché ormai ha messo gli occhi su qualche ragazzino imberbe.

Cosa fare, quindi, quando il tuo rapporto con lei diventa all’improvviso difficile?

Certamente ti risulta difficile amarla in modo incondizionato e cercare di starle vicino, visto che lei ti allontana e non ti ascolta più. Soffri e il rischio che vedi è quello di una frattura tra te e lei, soprattutto in seguito a scontri e incomprensioni.

Fortunatamente, il rapporto padre-figlia, seppur incrinato, può tornare sano e positivo.
Basta che tu, papà, faccia la prima mossa.

Ecco come:
1) Capirla, amarla e rispettarla.
Chiedile cosa puoi fare per lei e non aver timore di dirle: “Mi dispiace”, se serve.
Chiedi aiuto a tua moglie, affinché ti spieghi in privato che cosa non va, così che tu possa dimostrare a tua figlia l’amore incondizionato di cui ha bisogno.
Falle capire che sei lì per lei e lo sarai sempre.
Trattala sempre bene e mostrale che porti rispetto anche a sua madre (anche se magari siete separati o divorziati).
In questo modo imparerà quanto sia importante – da adulta – continuare ad essere trattata da un uomo con gentilezza, rispetto e attenzione.
2) Sii paziente!
Durante una discussione, più tu riuscirai a essere paziente, più lei si calmerà e capirà che si può discutere senza litigare.
3) Ascoltala senza dare consigli.
Quando lei ti espone un problema, non avere fretta di risolvere il suo problema. Magari lei ha bisogno solo di essere ascoltata per capire che cosa fare.
4) Lasciala essere se stessa.
Tua figlia è diversa da te? Fa scelte diverse da quelle che vorresti? Puoi cercare di riflettere insieme a lei, ma non puoi cambiare ciò che è. Parlate della sua vita in fondo, non della tua.
5) Falle vedere il positivo.
Quando da piccola dipinge e ti rendi conto che quello che fa non è un granché, ridici sopra insieme a lei. Non giudicarla. Trova qualcosa di positivo da farle notare. Questo tuo atteggiamento positivo la accompagnerà per tutta la vita.
6) Passa del tempo con lei.
Che sia un film o una pizza, ogni tanto portala fuori per condividere ciò che le piace fare. Sarà più disposta al dialogo e questo momento tutto vostro avvicinerà entrambi.
7) Mantieni le promesse.
E’ importante che lei abbia fiducia in te.
8) Rispetta la sua privacy.
Perciò non frugare fra le sue cose né analizzare tutti i contenuti delle sue chat. Dimostrale che rispetti i suoi limiti, soprattutto se è adolescente.
9) Cerca di conoscere il suo mondo.
Vuol dire che devi cercare di capire perché adora certi programmi TV o certi cantanti. Impara i nomi dei suoi amici, memorizza ciò che le piace. In questo modo la distanza tra te e lei si accorcerà.
10) Evita di criticarla apertamente.
Le adolescenti si “offendono” facilmente e mettono il muso a lungo. Perciò, se vedi che è ingrassata, al posto di dirglielo, proponile di venire a correre con te. Lei ha bisogno che tu sia protettivo e non negativo.
11) Dille che è bellissima.
Non è questione di dirle le bugie o trasformarla in una narcisista. Una figlia ha bisogno di sapere che il papà la considera bella, così che – se il mondo le dirà il contrario – lei non ci crederà (e quindi non ne soffrirà).
12) Insegnale cose “da maschio”.
Le cose da “femmina” già le imparerà dalla mamma, dalla nonna e dalle amiche. Perciò tu insegnale qualcosa da maschio, come montare una tenda in campeggio, cambiare l’olio alla macchina, arrampicare in montagna. La renderai più sicura di sé!
13) Rendila indipendente.
Non fare le cose al posto suo. Lascia che pian piano impari a fare di tutto.

Se hai la fortuna di avere una figlia, ricordati che il tuo ruolo e la tua figura sono fondamentali per la sua crescita. Molto di ciò che lei diventerà, sarà frutto del vostro rapporto: la sua autostima, la sua sicurezza, il modo in cui vedrà gli uomini, la sua immagine di sé…

E tutto questo inizia dalla nascita.

Sarà importante – per lei – sapere che ti prendi cura di lei in modo eccellente, come sa fare la mamma, ma anche che sei capace di giocare con lei sul tappeto.

E quando sarà adolescente e non avrà più tempo per stare con te, non dimenticare che apprezzerà sempre un momento da sola con te, in tranquillità, per raccontarti com’è andata la sua giornata.

Infine, non fare mai mancare a tua figlia i tuoi incoraggiamenti, affinché lei provi, sperimenti e colga le sfide della vita. Aiutala perciò a trovare gli strumenti per avere successo in ciò che sceglie di fare.

E… lascia che si senta libera di esprimere la sua personalità, anche se ciò significa – magari – vederla un po’ “maschiaccio”.