Un ragazzo di vent’anni mi confida di aver assunto cocaina per “allontanarsi dai suoi problemi”:
il padre lo giustifica perché “è solo, non ha fratelli e io e sua madre abbiamo appena divorziato”.
Un adolescente rischia di perdere l’anno scolastico a causa delle assenze accumulate: i genitori si lamentano, ma lo giustificano, dicendo che “non si sentiva mai pronto all’interrogazione o alle verifiche”.
Un undicenne al parco alza le mani su un ragazzino che l’ha pesantemente insultato. Entrambe le madri giustificano i figli, l’una dicendo che è stata una reazione naturale, visto che è stato provocato, e l’altra minimizza la pesante offesa lanciata dal proprio figlio, perché “stava scherzando”.
Ad un corso di formazione, una donna si lamenta perché i due figli adulti non se ne vogliono andare di casa e se ne stanno a bighellonare tutto il giorno, ma quando la trainer le indica cosa fare per tagliare il cordone ombelicale, lei risponde: “Be’, ma come posso fare così… Come fanno a mantenersi? Non possono mica lavorare otto ore al giorno per guadagnare una miseria!”.
Di esempi del genere potrei farvene a centinaia…
Ma il succo di tutto è che molti ragazzi vengono sempre giustificati dai genitori e magari pure dai nonni e da certi insegnanti o allenatori.
Viene quindi spontaneo domandarsi:
“Ma giustificare sempre e comunque i figli, va bene?”.
Certamente no!
Anzi, è pure pericoloso per la loro crescita, perché non capiranno mai che cos’è un limite né impareranno che esistono dei confini. E che dire della morale e delle regole?
I figli hanno bisogno di avere dei “paletti” entro i quali muoversi serenamente.
Devono conoscere le conseguenze delle loro azioni e spetta agli adulti metterli di fronte a ciò.
Chi giustifica sempre un figlio… non gli vuole bene!
Sceglie il quieto vivere, ovvero una posizione di comodo, che regala un’apparente serenità in famiglia, ma non fa crescere nessuno.
I genitori hanno il dovere di responsabilizzare i figli e questo è possibile se spiegano loro che cosa fare e che cosa no.
Non si tratta di colpevolizzare i figli per come “sono”, ma per ciò che hanno fatto di sbagliato.
Non bisogna quindi dire: “Tu sei un disastro”, ma “Tu ti sei comportato male, per questo e quest’altro motivo”.
Diventa quindi necessario spiegare ai figli in che cosa hanno sbagliato e dimostrare loro che è possibile rimediare, ma soltanto dopo aver compreso i propri errori.
Sono i genitori al timone e tocca a loro definire i limiti.
Non possono farlo i figli, perché non sono adulti e hanno bisogno di essere guidati con mano sicura, giusta e ferma.
I genitori devono sì sforzarsi di “comprendere” perché un figlio si è comportato male, ma questo non vuol dire giustificarlo. Per essere autorevoli devono imparare a dire “no” ai figli, senza paure o dubbi.
Devono aiutare i figli a riflettere sugli errori commessi e sulle conseguenze di certe azioni e farlo con calma, senza gridare, né accusare.
I figli, d’altro canto, devono capire di aver sbagliato (non di essere sbagliati) ed essere pronti a non ripetere l’errore.