Avete presente i colloqui scolastici?
Sono quei momenti durante i quali un genitore si trova faccia a faccia con chi si occupa di suo figlio e al contempo ha il dovere di “valutarlo” per comportamento e rendimento.
Niente di peggio, vero?
Le madri sono quelle a cui tocca quasi sempre questa incombenza: chi ci va in preda all’ansia, chi preoccupata, chi arresa… Poche sono quelle veramente serene.
Come docente e Coach, immagino sempre quali possano essere gli stati d’animo di una madre e cerco di cogliere il suo legame profondo col figlio, attraverso il linguaggio e le espressioni verbali e non verbali che usa.
Ci sono le mamme ansiose, con le mani sudate, che parlano poco oppure molto velocemente: chiedono rassicurazioni e consigli.
Poi ci sono quelle preoccupate, che arrivano con la fronte già corrucciata e tengono spesso le mani chiuse a pugno l’una dentro l’altra: si rilassano solo dopo aver sentito che va tutto bene.
Ce n’è un “tipo”, però, molto particolare: quella che appare sicura di sé, che tende il braccio per salutare e ha una stretta di mano forte. Quella che sembra avere tutte le risposte e quindi non accetta alcuna osservazione sul figlio.
Se il giudizio sul comportamento non è come si aspetta lei,… apriti cielo!
Tutte le volte che mi capita di incontrare donne del genere, penso a quale grosso problema abbiano con il loro essere madri e a quanta inconsapevolezza si trascineranno per tutta la vita, danneggiando pure il figlio.
Sono mamme che continuano a vivere in uno stato di “fusione” col figlio.
E la cosa è grave, perché la fusione esiste, ma per brevissimo tempo dopo la nascita. Non oltre.
Se, come madre, non riesco a vedere e a vivere mio figlio come un essere separato da me…
allora, tutto ciò che gli altri diranno di lui, sarà una critica che mi colpirà sul piano personale, come fosse mossa a me direttamente.
Questo non ha nulla a che vedere col sentirsi dispiaciute per il proprio figlio.
Queste madri, sentendosi un tutt’uno col figlio, si sentono giudicate in prima persona e quindi in dovere di difendersi:
“Guardi che io sono una brava madre, eh! Non una di quelle che abbandona a se stesso il proprio figlio!”. Frase tipica, pronunciata spesso all’inizio del colloquio, senza che il docente abbia detto nulla a riguardo.
Ma questo figlio è un essere a sé, con emozioni, sentimenti e comportamenti diversi dalla madre, ed è sano che sia così.
Una madre, quindi, dovrebbe fare il grande passo di accettare questa inevitabile separazione e di accoglierla come un momento di crescita per sé e per il figlio.
Significa fare “il proprio dovere di mamma”, senza pretendere che tutto vada come si vuole o in modo perfetto.
Significa mettersi in discussione, con lo scopo di migliorarsi e non di “fustigarsi”.
Vuol dire accettare se stesse, ma senza cadere nel “come sono brava, non potrei fare di meglio”, perché
lo scopo è porsi delle domande e diventare consapevoli di sé, in modo da vivere più serenamente la propria genitorialità.